Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33198 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 33198 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 17/08/1968
avverso la sentenza del 16/12/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubbl . GLYPH inistero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha,C6cluso chiedendo
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza emessa in data 1/10/2013, resa a seguito di giudizio svoltosi nelle forme del rito ordinario, il Tribunale di Roma ha dichiarato COGNOME NOME colpevole degli episodi di furto contestati ai capi a) e b) della rubrica e, diversamente qualificati i fatti ai sensi degli articoli 624, 625, n. 7 e 61 n. 11, cod. pen., riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti ed alla ritenuta recidiva qualificata, lo ha condannato alla pena di mesi 9 di reclusione ed euro 800,00 di multa.
la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha assolto l’imputato dal reato di cui al capo a) della rubrica, come riqualificato dal primo giudice, per non aver commesso il fatto, ed ha rideterminato la pena per il residuo episodio di cui al capo b) in mesi 7 di reclusione ed euro 600,00 di multa.
Il reato per il quale è intervenuta pronuncia di condanna, consumato nella notte tra il 24 ed il 25 settembre 2004, riguarda il furto realizzato all’interno degli Uffici ragioneria ed economato della Libera Università degli studi San Pio V di Roma.
L’imputato, alla stregua delle emergenze probatorie illustrate nelle sentenze di merito, in concorso con altro soggetto legato da un rapporto di prestazione d’opera con l’ente, introdottosi all’interno della sede universitaria con violenza sulle cose, si era impossessato di valori ivi custoditi (denaro in contante, blocchetti di buoni pasto, assegni bancari), arrecando all’università un danno economico ingente, quantificato in circa 60.000,00 euro.
Avverso la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore, articolando i seguenti motivi di doglianza.
Vizio di motivazione e illogicità della stessa. Erronea applicazione della legge penale quanto alla mancata assoluzione dell’imputato anche dal reato sub capo b) della rubrica.
Il collegio non ha offerto compiuta risposta alle istanze difensive secondo le quali COGNOME, pur avendone la disponibilità, non si era reso responsabile della sottrazione dei buoni pasto dagli uffici dell’università. L’imputato aveva confidato alla vicina di casa di possedere dei buoni pasto da spendere, risultati essere quelli sottratti all’università, ma non aveva mai detto di averli rubati. La Corte d’appello avrebbe svolto un ragionamento del tutto illogico a sostegno del giudizio di condanna, non confrontandosi adeguatamente con le tesi alternative
prospettate dalla difesa, in base alle quali ben poteva essere accaduto che il responsabile del furto, amico di COGNOME, avesse deciso di cedere i buoni pasto a quest’ultimo, conoscendo le sue precarie condizioni di vita.
II) Vizio di motivazione. Erronea applicazione della legge penale quanto al mancato proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione.
La Corte d’appello ha ritenuto che la fattispecie di reato ascritta all’imputato non fosse estinta per intervenuta prescrizione, sottolineando che il termine prescrizionale fosse pari ad anni 22, mesi 2 e giorni 20. Tale calcolo viene svolto considerando la pena di anni 13 e mesi 4 per il furto pluriaggravato con aumento per la recidiva pari ad un terzo, a cui si aggiunge un ulteriore aumento per la recidiva qualificata, pari a due terzi. Tale impostazione sarebbe erronea, perché l’aumento per la recidiva viene considerato due volte, in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Il termine massimo di prescrizione non può essere superiore ad anni 16 e mesi 8, diversamente da quanto si legge in motivazione,
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
4. Il ricorso è inammissibile.
La censura riguardante l’intervenuta prescrizione del reato, la quale deve essere considerata in via principale, per il valore assorbente che rivestirebbe ove fosse accolta, è palesemente destituita di fondamento.
Il calcolo effettuato dalla Corte d’appello è ineccepibile alla luce dei principi di diritto stabiliti in questa sede.
Il reato di furto pluriaggravato è punito con pena massima di anni 10 di reclusione; nella concorrenza di più circostanze aggravanti ad effetto speciale, ai fini del computo del termine ordinario di prescrizione dovrà aggiungersi al periodo corrispondente al massimo edittale l’aumento di un terzo, in base al criterio dettato dall’art. 63, comma 4, cod. pen. (cfr. ex multis Sez. 6, n. 23831 del 14/05/2019, Pastore, Rv. 275986:”Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, deve aversi riguardo, in caso di concorso fra circostanze ad effetto speciale, all’aumento di pena massimo previsto dall’art. 63, comma quarto, cod. pen., per il concorso di circostanze della stessa specie, a nulla rilevando che l’aumento previsto da tale disposizione, una volta applicato quello per la circostanza più grave, sia facoltativo e non possa eccedere il limite di un terzo”).
Quanto alla necessità di effettuare un doppio aumento in presenza di atti interruttivi della prescrizione, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che la recidiva qualificata incida sia sul computo della prescrizione ordinaria, sia
sul computo del termine massimo in presenza di atti interruttivi .
Quanto alla possibilità di ritenere che il doppio aumento possa configurare una violazione del divieto di bis in idem, si richiamano i condivisibili principi recentemente ribaditi in materia da questa stessa Sezione (Sez. 4, n. 44610 del 21/09/2023, COGNOME, Rv. 285267, così massimata:”La recidiva reiterata, in quanto circostanza a effetto speciale, incide sia sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ex art. 157, comma secondo, cod. pen., sia, in presenza di atti interruttivi, su quello del termine massimo, ex art. 161, comma secondo, cod. pen., senza che tale duplice valenza comporti violazione del principio del “ne bis in idem” sostanziale o dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 10 febbraio 2009 nel caso RAGIONE_SOCIALE Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l’istituto della prescrizione”).
Si legge nella motivazione della sentenza richiamata che, a fronte di un unico isolato precedente di segno contrario, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità è volto a sostenere che la recidiva reiterata, quale circostanza ad effetto speciale, incida sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ai sensi dell’art. 157, comma secondo, cod. pen. e, in presenza di atti interruttivi, anche su quello del termine massimo, in ragione dell’entità della proroga, ex art. 161, comma secondo, cod. pen. (Sez. 5, n. 32679 del 13/06/2018, COGNOME Rv. 273490-01; Sez. 2, n. 5985 del 10/11/2017 – dep. 2018, COGNOME Rv. 272015; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 50089 del 28/10/2016, COGNOME Rv. 268214; Sez. 3, n. 50619 del 30/01/2017, COGNOME, Rv. 271802).
Tale orientamento non comporta alcuna violazione del principio del ne bis in idem in senso sostanziale in quanto è la fonte ordinaria ad indicare i criteri per applicare l’elemento astrattamente suscettibile di assumere doppia valenza.
Né si rinviene una violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 10 febbraio 2009 nel caso Zolotoukhine vs. Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l’istituto della prescrizione (Sez. 6, n. 48954 del 21/09/2016, COGNOME, Rv. 268224; Sez. 2,
n. 57755 del 12/10/2018, COGNOME, Rv. 274721; Sez. 5, n. 32679 del 13/06/2018, COGNOME, Rv. 273490).
Da quanto precede, in considerazione dell’esattezza del calcolo indicato in sentenza, il termine massimo di prescrizione del reato, pari ad anni 22, mesi 2 e giorni 20, maturerà il 14 dicembre 2026. A detto termine andranno poi aggiunti gli ulteriori periodi di sospensione della prescrizione come calcolati in sentenza.
5. Del pari inammissibile è il secondo motivo di ricorso.
Le ragioni di doglianza circa la riferibilità della condotta di furto all’imputato sono palesemente versate in fatto. Il sindacato di legittimità sul procedimento logico che consente di pervenire al giudizio di attribuzione del fatto con l’utilizzazione di criteri di inferenza, o massime di esperienza, è diretto a verificare se il Giudice di merito abbia indicato le ragioni del suo convincimento e se queste ragioni siano plausibili, verificando se siano stati rispettati i principi di completezza, correttezza, logicità e, pertanto, se le conclusioni siano coerenti con il materiale considerato e fondate su corretti criteri di inferenza.
La Corte di merito ha considerato una serie di elementi a sostegno del decisum, tutti conducenti ai fini dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, con cui la difesa manca di confrontrarsi. Ha osservato che il ritrovamento dei buoni pasto fu reso possibile grazie alla collaborazione dello stesso COGNOME, che indicò il supermercato dove furono spesi. La testimone COGNOME dichiarò che COGNOME le aveva riferito avere dei buoni pasto, chiedendole di andare a fare la spesa nel supermercato vicino alla sua abitazione, in località Colle INDIRIZZO. Successivamente, lo stesso imputato, avendole riferito di avere subito un controllo da parte dei carabinieri, l’aveva invitata a disfarsi dei ticket rimanenti.
Alla stregua delle risultanze evidenziate, la Corte di merito ha ritenuto provato che COGNOME avesse avuto la materiale disponibilità di una parte della refurtiva sottratta in occasione del furto avvenuto nella notte fra il 24 e il 25 settembre 2004, logicamente deducendo che egli avesse effettuato la sottrazione unitamente al coimputato, giudicato separatamente.
L’esame circa la gravità, precisione e concordanza degli indizi da parte della Corte di legittimità si esplica attraverso il controllo sul rispetto, da parte del Giudice di merito, dei criteri dettati in materia di valutazione delle prove dall’art. 192 cod. proc. pen., controllo che viene esercitato alla luce dei consueti parametri della esaustività, della correttezza e della logicità del discorso motivazionale, con esclusione di ogni forma di accertamento che si traduca in una ripetizione della esperienza conoscitiva del Giudice del merito (Sez. 1, n.
42993 del 25/09/2008, COGNOME, Rv. 241826; Sez. 6, n. 20474 del 15/11/2002, COGNOME, Rv. 225245).
Venendo al caso in esame, in considerazione di tali principi, deve ritenersi che le valutazioni espresse dai Giudici di merito, che hanno attribuito un carattere di gravità, precisione e concordanza agli elementi indiziari presi in considerazione, siano idonei a superare il vaglio demandato alla Corte di legittimità.
Tutto ciò premesso, non può non rilevarsi come il ricorrente solo apparentemente svolga una critica alle argomentazioni fornite dai giudici di merito, offrendo in realtà una propria diversa ricostruzione dei fatti, la quale non può essere delibata in sede di legittimità a fronte di una motivazione coerente e priva di aporie logiche.
Consegue alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/6/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In Roma, così deciso in data 23 settembre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente