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Recidiva e pena: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. I motivi, incentrati sulla valutazione della recidiva e sul calcolo della pena, sono stati considerati questioni di merito, non sindacabili in sede di legittimità in presenza di una motivazione congrua e logica da parte del giudice di secondo grado.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva e Calcolo della Pena: I Limiti del Ricorso per Cassazione

Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui confini del giudizio di legittimità, ribadendo un principio fondamentale: le valutazioni relative alla recidiva e alla quantificazione della pena rientrano nell’ambito del giudizio di merito e non sono, di norma, sindacabili in sede di Cassazione. La pronuncia trae origine dal ricorso di un soggetto condannato per il suo ruolo di vertice in un’associazione dedita al traffico di stupefacenti.

I Fatti del Processo

Il ricorrente era stato condannato dalla Corte d’Appello per il reato di cui all’art. 74, comma 6, del d.P.R. 309/1990, ovvero associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Dalle indagini era emerso il suo ruolo apicale all’interno del sodalizio criminale, con compiti di gestione dei contatti con i fornitori e di acquisto di ingenti quantitativi di droga, come confermato dal sequestro di 650 grammi di marijuana.

I Motivi del Ricorso: Recidiva e Continuazione Sotto Esame

L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a due principali motivi di doglianza:

1. Violazione di legge in ordine alla ritenuta recidiva: Il ricorrente contestava la decisione dei giudici di merito di applicare l’aggravante della recidiva, ritenendola ingiustificata.
2. Violazione di legge sul quantum della pena: Il secondo motivo riguardava l’entità dell’aumento di pena applicato per la continuazione con altri reati, ai sensi dell’art. 81 del codice penale.

La Decisione della Corte: una Questione di Merito

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando entrambe le doglianze come questioni che esulano dal perimetro del giudizio di legittimità, collocandosi invece sul piano del merito. Vediamo perché.

L’analisi sulla recidiva

La Corte ha sottolineato che le determinazioni del giudice di merito sul trattamento sanzionatorio, e in particolare sulla recidiva, non possono essere messe in discussione in Cassazione se supportate da una motivazione congrua, logica e priva di vizi giuridici. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva ampiamente giustificato la sua decisione, evidenziando come il ruolo di vertice del ricorrente, i suoi molteplici precedenti specifici e l’assenza di qualsiasi contributo alla ricostruzione dei fatti dimostrassero un incremento della sua pericolosità sociale e del suo spessore criminale.

La valutazione sul quantum della pena

Anche la seconda doglianza, relativa all’aumento di pena per la continuazione, è stata ricondotta al piano del merito. La Cassazione ha osservato che i giudici di grado inferiore avevano ritenuto l’aumento di quattro mesi non solo congruo, ma addirittura “troppo mite”, in considerazione dell’ingente quantitativo di droga rinvenuto e della gravità dei reati oggetto della precedente condanna del 2014.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Cassazione si fonda su un caposaldo del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione è giudice della legge, non del fatto. Le valutazioni discrezionali del giudice di merito, come quelle sulla gravità del reato, sulla personalità dell’imputato ai fini della determinazione della pena e sull’applicazione della recidiva, sono insindacabili se il percorso logico-giuridico che le sostiene è corretto e coerente. Il giudice d’appello, nel caso concreto, ha fornito una motivazione esauriente, ancorata a elementi fattuali precisi (ruolo apicale, quantitativo di droga, precedenti penali), rendendo così l’impugnazione un mero tentativo di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza riafferma che il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. Per contestare con successo la determinazione della pena o l’applicazione della recidiva, non è sufficiente dissentire dalla valutazione del giudice. È necessario, invece, dimostrare un vizio specifico della motivazione, come la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà o una palese violazione di legge. In assenza di tali vizi, la decisione del giudice di merito resta sovrana, confermando l’ampia discrezionalità che la legge gli attribuisce nella commisurazione della sanzione penale.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione sulla recidiva fatta da un giudice?
Sì, ma solo se la motivazione della decisione del giudice di merito è manifestamente illogica, contraddittoria o viziata da errori di diritto. La Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito se quest’ultima è adeguatamente argomentata.

Cosa intende la Corte quando definisce un motivo di ricorso ‘una questione di merito’?
Significa che il motivo di ricorso non riguarda una presunta violazione di una norma giuridica (questione di legittimità), ma attiene alla valutazione dei fatti, delle prove e delle circostanze del caso concreto. Queste valutazioni rientrano nel potere discrezionale del giudice di primo e secondo grado e non sono, di regola, riesaminabili in Cassazione.

Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché entrambe le censure, relative alla recidiva e alla quantificazione della pena, sono state considerate questioni di merito. La Corte ha ritenuto che la decisione del giudice d’appello fosse sorretta da una motivazione congrua, logica e priva di vizi giuridici, e quindi non sindacabile in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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