Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3346 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3346 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 3/4/2023 della Corte di appello di Roma
Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; udita la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 aprile 2023 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza emessa il 15 settembre 2022 dal Tribunale della stessa città, ritenuta la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90, ha
rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME e ha revocato la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici e la confisca del denaro in sequestro.
L’imputato è stato riconosciuto colpevole del reato di detenzione, al fine di spaccio, di sostanza stupefacente del tipo cocaina e dello spaccio di una dose a NOME COGNOME.
Avverso la sentenza di appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:
3.2. difetto di motivazione in ordine alla mancata esclusione della recidiva, pur a fronte di un motivo di appello specifico;
3.1. difetto di motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità. La Corte di appello avrebbe trascurato che la detenzione e la cessione della sostanza stupefacente a NOME COGNOME erano state realizzate materialmente da NOME COGNOME, senza alcuna partecipazione fisica del ricorrente, e avrebbe erroneamente ritenuto che l’invito a scendere fosse stato rivolto dal ricorrente a COGNOME mentre i finanzieri nell’immediatezza avevano riferito che l’invito a scendere era stato indirizzato a NOME. Il quadro probatorio, quanto alla condotta di cessione, si fonderebbe su due soli elementi fattuali: la presenza del ricorrente all’interno del lavatoio al momento dell’arrivo di NOME e il fatto che quest’ultimo lo aveva cercato prima di concludere l’affare soltanto con COGNOME. La presenza del ricorrente all’interno del lavatoio, però, avrebbe potuto avere una molteplicità di spiegazioni alternative alla condivisione delle attività svolte da COGNOME. Quanto all’altra condotta, il giudizio d responsabilità si sarebbe fondato sull’avvertimento, diretto a NOME, della presenza delle guardie ma con tale condotta il ricorrente aveva inteso solo aiutare NOME a sottrarsi all’atto di polizia. La Corte territoriale avrebb trascurato, inoltre, la piena confessione resa da NOME e l’esclusione da parte sua di qualsiasi profilo di responsabilità del ricorrente; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.3. difetto di motivazione quanto al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva. Premesso che il motivo di appello, con cui si era chiesta l’esclusione della recidiva, implicava necessariamente anche la richiesta del riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche, il ricorrente ha ricordato che la Corte costituzionale con la sentenza n. 94/2023 ha affermato l’illegittimità costituzionale del divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva in relazione ai delitti più gravi punit con l’ergastolo. Secondo il ricorrente, se è incostituzionale il divieto di prevalenza delle attenuanti, anche generiche, sulla recidiva in relazione ai delitti più gravi
puniti con l’ergastolo, a maggior ragione il divieto dovrebbe riguardare i delitti meno gravi, sanzionati con la reclusione. Qualora non si ritenesse che la sentenza numero 94/2023 abbia fatto venir meno il divieto di prevalenza sulla recidiva delle circostanze attenuanti anche con riferimento ai reati puniti con le pene detentive temporanee, dovrebbe sollevarsi la questione di incostituzionalità dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. nonché con il principio di ragionevolezza;
3.4. difetto di motivazione riguardo alla determinazione della pena, quantificata in anni quattro di reclusione, vicino al massimo edittale, senza tenere conto sia del fatto che gli elementi valorizzati (l’intensità del dolo e la dedizione a delinquere del ricorrente) erano già stati valutati al fine dell’applicazione della recidiva sia che si era trattato della cessione di una sola dose di stupefacente e della detenzione di meno di una dose;
3.5. difetto di motivazione in ordine alla mancata sostituzione della pena della reclusione con quella dei lavori socialmente utili ex art. 20 bis cod. pen. Trattandosi di impugnazione per cui i termini erano scaduti prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 152/2022, il giudice dell’impugnazione avrebbe dovuto applicare la norma di cui all’art. 545 bis cod. proc. pen. anche in assenza della richiesta dell’imputato di sostituzione ex art. 20 bis cod. pen. Peraltro, nel caso dell’imputato, la pena comminata all’esito del giudizio di primo grado sarebbe stata sostituibile solo con la semilibertà o con la detenzione domiciliare: misure entrambe detentive e non appetibili. La pena, irrogata al ricorrente, era divenuta sostituibile con quella dei lavori socialmente utili solo dopo la sua riduzione operata dalla Corte di appello, che avrebbe avuto l’obbligo, dopo la lettura del dispositivo, di prospettare all’imputato la possibilità di sostituire reclusione con quella pena alternativa. Qualora, invece, non avesse ritenuto meritevole l’imputato di aspirare alla misura sostitutiva, la Corte di appello avrebbe avuto l’obbligo di dare conto delle ragioni di questa sua decisione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato solo in relazione al motivo concernente la recidiva, il cui accoglimento assorbe le altre censure sul trattamento sanzionatorio, mentre è inammissibile nel resto.
Il primo motivo del ricorso, relativo all’affermazione della responsabilità, non è consentito.
Giova premettere che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione, di cui si saggia
l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando precluse la rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr.: ex plurimis: Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, COGNOME, Rv. 284556 – 01; Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, F., Rv. 280601 – 01).
Nel caso in esame, la Corte di appello ha ricostruito i fatti e ha valorizzato, in particolare, la circostanza che un acquirente di sostanza stupefacente, bussando alla porta della mansarda, aveva chiesto espressamente del ricorrente e quest’ultimo, accortosi della presenza delle Forze dell’ordine, aveva messo in guardia il coimputato.
A fronte della motivazione della sentenza impugnata, adeguata e logica, le deduzioni del ricorrente sono tese a sollecitare una rivalutazione del compendio probatorio: operazione estranea, però, al giudizio di legittimità.
3. Il secondo motivo è fondato.
Costituisce ius receptum (ex multis: Sez. 4 6779 del 18/12/2013, Rv. 259316) il principio secondo cui, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte nella sentenza di primo grado, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relationem; quando, invece, sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere le deduzioni proposte con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie.
Nel caso in esame, il giudice di primo grado aveva riconosciuto e applicato la recidiva poiché l’imputato era gravato da una precedente condanna per reati della stessa specie e il fatto per cui si procedeva era la dimostrazione dello svolgimento di attività di spaccio di sostanze stupefacenti con il carattere della stabilità.
Con l’atto di appello l’imputato aveva dedotto che il Tribunale si era limitato a prendere atto della ricorrenza dei presupposti formali per la contestazione della recidiva, senza prendere in considerazione la natura del reato, per il quale l’imputato aveva riportato una precedente condanna (art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90) nonché la sua risalenza nel tempo. Inoltre, l’imputato aveva dedotto di avere prodotto documentazione a dimostrazione dell’intrapresa attività lavorativa stabile e, quindi, della netta cesura rispetto al suo comportamento precedente.
Al cospetto di siffatti rilievi, specifici e decisivi, con cui il ricorrente av censurato la valutazione, compiuta dal Giudice di primo grado, sulla ritenuta pericolosità sociale dell’imputato, la Corte territoriale, benché onerata, ha omesso di dare risposta.
Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Il pronunciato annullamento assorbe gli altri motivi del ricorso in ordine al trattamento sanzionatorio, dovendosi ad ogni modo precisare che al ricorrente è stata contestata ed applicata dal Giudice di primo grado la recidiva specifica infraquinquennale mentre la pronuncia della Corte costituzionale n. 94/2023, evocata nel ricorso, concerne la recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata in relazione alla valutazione della recidiva, con assorbimento dei motivi sul trattamento sanzionatorio, e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso 1’11/1/2024