LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Recidiva e motivazione: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per un reato connesso agli stupefacenti. L’imputato contestava la motivazione con cui i giudici di merito avevano riconosciuto l’aggravante della recidiva. La Suprema Corte ha stabilito che la motivazione della corte d’appello era adeguata, in quanto non si limitava a un mero elenco di precedenti, ma analizzava il ‘chiaro percorso criminoso’ dell’imputato, la natura dei reati e la loro omogeneità, ritenendo la reiterazione dell’illecito un sintomo di pericolosità sociale. Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva e Obbligo di Motivazione: la Cassazione Dichiara Inammissibile il Ricorso

L’applicazione dell’aggravante della recidiva non è mai un automatismo, ma richiede una valutazione concreta da parte del giudice. Con l’ordinanza n. 8194/2024, la Corte di Cassazione ribadisce questo principio, chiarendo quali elementi rendono la motivazione del giudice adeguata e quando, di conseguenza, un ricorso sul punto diventa manifestamente infondato e quindi inammissibile.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva condannato in primo e in secondo grado per un reato previsto dalla legge sugli stupefacenti (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90). L’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, non contestando il reato in sé, ma unicamente l’applicazione dell’aggravante della recidiva. Secondo la difesa, la Corte d’Appello non aveva fornito una motivazione sufficiente per giustificare tale aggravante, limitandosi a un generico riferimento ai precedenti penali.

La Decisione della Cassazione sulla recidiva

La Suprema Corte ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. I giudici hanno ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse, al contrario, completa e adeguata. La decisione non si basava su un semplice elenco di condanne passate, ma su un’analisi sostanziale della storia criminale del soggetto, che dimostrava una chiara tendenza a delinquere.

Le motivazioni

Il cuore della decisione risiede nel modo in cui la Cassazione valuta la sufficienza della motivazione sulla recidiva. La Corte sottolinea che i giudici di merito avevano correttamente evidenziato:

1. Plurimi precedenti penali: L’imputato aveva a suo carico diverse condanne per reati contro il patrimonio o a scopo di lucro.
2. Precedenti specifici: Esisteva una condanna pregressa per narcotraffico risalente al 2011, che dimostrava una continuità nel tipo di illecito commesso.
3. Un ‘percorso criminoso’: L’insieme dei precedenti non era casuale, ma delineava un preciso e consapevole percorso criminale, rendendo la commissione del nuovo reato non un episodio isolato, ma l’espressione di una consolidata propensione a delinquere.

La Cassazione ha richiamato un importante principio espresso dalle Sezioni Unite (sentenza n. 35738 del 2010): per applicare la recidiva, non basta il ‘mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali’. È necessaria una valutazione sostanziale che tenga conto della natura dei reati, della loro omogeneità, della distanza temporale, del grado di offensività e di ogni altro parametro che possa delineare la personalità e la pericolosità del reo. La Corte d’Appello, secondo gli Ermellini, aveva svolto proprio questo tipo di analisi, rendendo la sua motivazione immune da censure e, di contro, il ricorso dell’imputato palesemente privo di fondamento.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, conferma che i giudici devono motivare l’applicazione della recidiva andando oltre il semplice dato formale del certificato penale, effettuando un’analisi concreta della biografia criminale dell’imputato. In secondo luogo, chi intende contestare tale aggravante in Cassazione non può limitarsi a una generica doglianza sulla mancanza di motivazione, specialmente se il giudice di merito ha, nei fatti, considerato la natura e la sequenza dei precedenti. Un ricorso basato su motivi manifestamente infondati viene dichiarato inammissibile, con la conseguenza per il ricorrente di dover pagare non solo le spese processuali, ma anche una cospicua somma in favore della Cassa delle ammende.

Quali elementi deve considerare un giudice per motivare correttamente l’applicazione della recidiva?
Il giudice deve andare oltre il semplice elenco dei precedenti penali. Deve valutare la natura dei reati, il tempo trascorso tra di essi, l’omogeneità dei comportamenti, il grado di offensività e ogni altro parametro utile a definire la personalità e la pericolosità sociale del reo, dimostrando che il nuovo reato è sintomo di una riprovevolezza della condotta.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la contestazione del ricorrente, relativa a una presunta mancanza di motivazione sulla recidiva, è stata ritenuta ‘manifestamente infondata’. La Corte di Cassazione ha verificato che la Corte d’Appello aveva invece fornito una motivazione adeguata, analizzando il percorso criminale dell’imputato in linea con i principi giurisprudenziali.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità comporta, secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. In questo caso specifico, la somma è stata fissata in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati