Recidiva e Obbligo di Motivazione: la Cassazione Dichiara Inammissibile il Ricorso
L’applicazione dell’aggravante della recidiva non è mai un automatismo, ma richiede una valutazione concreta da parte del giudice. Con l’ordinanza n. 8194/2024, la Corte di Cassazione ribadisce questo principio, chiarendo quali elementi rendono la motivazione del giudice adeguata e quando, di conseguenza, un ricorso sul punto diventa manifestamente infondato e quindi inammissibile.
I Fatti del Caso
Un soggetto veniva condannato in primo e in secondo grado per un reato previsto dalla legge sugli stupefacenti (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90). L’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, non contestando il reato in sé, ma unicamente l’applicazione dell’aggravante della recidiva. Secondo la difesa, la Corte d’Appello non aveva fornito una motivazione sufficiente per giustificare tale aggravante, limitandosi a un generico riferimento ai precedenti penali.
La Decisione della Cassazione sulla recidiva
La Suprema Corte ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. I giudici hanno ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse, al contrario, completa e adeguata. La decisione non si basava su un semplice elenco di condanne passate, ma su un’analisi sostanziale della storia criminale del soggetto, che dimostrava una chiara tendenza a delinquere.
Le motivazioni
Il cuore della decisione risiede nel modo in cui la Cassazione valuta la sufficienza della motivazione sulla recidiva. La Corte sottolinea che i giudici di merito avevano correttamente evidenziato:
1.  Plurimi precedenti penali: L’imputato aveva a suo carico diverse condanne per reati contro il patrimonio o a scopo di lucro.
2.  Precedenti specifici: Esisteva una condanna pregressa per narcotraffico risalente al 2011, che dimostrava una continuità nel tipo di illecito commesso.
3.  Un ‘percorso criminoso’: L’insieme dei precedenti non era casuale, ma delineava un preciso e consapevole percorso criminale, rendendo la commissione del nuovo reato non un episodio isolato, ma l’espressione di una consolidata propensione a delinquere.
La Cassazione ha richiamato un importante principio espresso dalle Sezioni Unite (sentenza n. 35738 del 2010): per applicare la recidiva, non basta il ‘mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali’. È necessaria una valutazione sostanziale che tenga conto della natura dei reati, della loro omogeneità, della distanza temporale, del grado di offensività e di ogni altro parametro che possa delineare la personalità e la pericolosità del reo. La Corte d’Appello, secondo gli Ermellini, aveva svolto proprio questo tipo di analisi, rendendo la sua motivazione immune da censure e, di contro, il ricorso dell’imputato palesemente privo di fondamento.
Le conclusioni
Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, conferma che i giudici devono motivare l’applicazione della recidiva andando oltre il semplice dato formale del certificato penale, effettuando un’analisi concreta della biografia criminale dell’imputato. In secondo luogo, chi intende contestare tale aggravante in Cassazione non può limitarsi a una generica doglianza sulla mancanza di motivazione, specialmente se il giudice di merito ha, nei fatti, considerato la natura e la sequenza dei precedenti. Un ricorso basato su motivi manifestamente infondati viene dichiarato inammissibile, con la conseguenza per il ricorrente di dover pagare non solo le spese processuali, ma anche una cospicua somma in favore della Cassa delle ammende.
 
Quali elementi deve considerare un giudice per motivare correttamente l’applicazione della recidiva?
Il giudice deve andare oltre il semplice elenco dei precedenti penali. Deve valutare la natura dei reati, il tempo trascorso tra di essi, l’omogeneità dei comportamenti, il grado di offensività e ogni altro parametro utile a definire la personalità e la pericolosità sociale del reo, dimostrando che il nuovo reato è sintomo di una riprovevolezza della condotta.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la contestazione del ricorrente, relativa a una presunta mancanza di motivazione sulla recidiva, è stata ritenuta ‘manifestamente infondata’. La Corte di Cassazione ha verificato che la Corte d’Appello aveva invece fornito una motivazione adeguata, analizzando il percorso criminale dell’imputato in linea con i principi giurisprudenziali.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità comporta, secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. In questo caso specifico, la somma è stata fissata in 3.000,00 euro.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8194 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 8194  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASARANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/04/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
 Con sentenza del 14.4.2023 la corte di appello di Lecce confermava la sentenza del tribunale di Lecce del 5.12.2017 con cui NOME era stato condannato in ordine al reato di cui all’art. 73 comma 5 del DPR 309/90.
Avverso tale sentenza è stato proposto ricorso per cassazione, per violazione di legge e vizio di motivazione sub specie di mancanza motivazione in rapporto alle censure difensive sul punto, quanto alla riconosciuta recidiva.
Il ricorso è inammissibile.
La sentenza impugnata, spiega le ragioni della recidiva evidenziando plurimi precedenti penali a carico per reati a scopo di lucro o contro il patrimonio e sottolineando altresì la pregressa esistenza di condanne per fatti del 2011 in materia di narcotraffico spiegandone la incidenza sui fatti sub iudice siccome espressione di un chiaro percorso criminoso. Si tratta di una motivazione che nella sostanza dà conto della conclusione, necessaria ai fini della corretta rilevazione dell’aggravante, per cui la reiterazione dell’illecito appare sintomo effettivo di riprorevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penall (Sez. U, Sentenza n. 35738 del 27/05/2010 Rv. 247838 – 01). Di contro il ricorrente lamenta una carenza di motivazione per quanto sopra esposto insussistente.
La manifesta infondatezza dei motivi di impugnazione, non può che comportare l’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00. 
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del Ammende.
Così deciso in Roma il 15 dicembre 202:3
Il Co sigliere estenso e Il Presidente