Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18945 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18945 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in Albania il 13/02/1993;
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 15/10/2024;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;
sentito l’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza pronunciata (all’esito del rito abbreviato) il giorno 21 novembre 2023 il Tribunale di Ravenna, in composizione monocratica, dichiarava COGNOME NOME colpevole dei reati di cui agli artt. 23, commi 1, 3 e 41.110/75, 697, 56 624,625, comma primo n.2, cod. pen. (commessi in Ravenna il giorno 19 settembre 2023) e, riuniti gli stessi sotto il vincolo della continuazione e previa applicazione della contestata recidiva e con la diminuente per il rito prescelto, lo condannava alla pena di anni tre, mesi uno e giorni dieci di reclusione ed euro 8.000,00 di multa; il Tribunale, inoltre, dichiarava non doversi procedere per intervenuta remissione di querela in ordine al delitto di furto aggravato (così riqualificato il capo C della rubrica) ed ordinava la confisca e distruzione dell’arma in sequestro.
La Corte di appello di Bologna, investita del gravame proposto dall’imputato, con la sentenza in epigrafe ha provveduto alla correzione della decisione di primo grado ponendo le spese del procedimento relative al capo C a carico del querelato a norma dell’art. 340 del codice di rito e ha ordinato la confisca e distruzione anche delle munizioni sequestrate all’imputato unitamente all’arma oggetto di imputazione. Inoltre, la Corte territoriale – preso atto che nel dispositivo della A…t decisione di primo grado nulla era stato statuitokai due tentati furti diversi da quello in danno di NOME COGNOME (capo D della rubrica) e che nella parte motiva era stata indicata la mancanza di prove in ordine a tali due reati – ha dichiarato non doversi procedere rispetto a detti reati (tentati furti different rispetto a quello commesso in danno di NOME COGNOME) per mancanza di querela, confermando per il resto la sentenza appellata.
Avverso la sopra indicata sentenza della Corte di appello di Bologna l’imputato, per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’ar 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. la violazione degli artt. 33-bis e 33-ter del codice di rito e la conseguente nullità della decisione impugnata per non avere rilevato la
incompetenza per materia del Tribunale in composizione monocratica dato che, nel caso in esame, era competente il Tribunale in composizione collegiale alla luce del reato in materia di armi contestato.
2.2. Con il secondo motivo l’imputato deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione illogica e contraddittoria rispetto alla conferma della sua penale responsabilità, pur in assenza di elementi tali da farla ritenere dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio.
2.3 Con il terzo motivo COGNOME censura, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 162-ter cod. pen. in combinato disposto con l’art. 1208 cod. civ. ed il vizio di motivazione contraddittoria con riferimento alla proposta risarcitoria da lui effettuata e ritenuta insufficiente.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., della violazione dell’art. 99 cod. pen. per essere stata confermata la recidiva nei suoi confronti senza una reale motivazione sul punto.
2.5. Con il quinto motivo, infine, l’imputato deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà della motivazione rispetto al trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo rispetto alla concreta gravità dei fatti.
Con atto del 14 febbraio 2025 l’imputato ha nominato come difensore l’avv. NOME COGNOME
Infine, all’esito della discussione in pubblica udienza, le parti hanno concluso nei termini sopra riportati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso (i cui motivi sono in parte infondati ed in parte inammissibili) deve essere nel complesso respinto.
Il primo motivo è infondato poiché la relativa eccezione è stata sollevata dall’imputato per la prima volta in questa sede, mentre – a norma dell’art. 33quinquies cod. proc. pen. – doveva essere proposta non oltre la chiusura delle
formalità di apertura del giudizio di primo grado dato che, nel caso in esame, non vi è stata udienza preliminare.
Passando all’esame del secondo motivo deve ricordarsi che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del ‘devolutumi in caso di cosiddetta “doppia conforme” (come nel caso di specie fatta eccezione per le correzioni disposte in secondo grado) e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (ex multis: Sez. 5, n.48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
3.1. Come chiarito in seguito, le critiche esposte dati’ imputato – pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di illogicità della motivazione riguardano profili in fatto, coerentemente scrutinati nel corpo della decisione impugnata e la cui riproposizione è tesa – in tutta evidenza – ad una rivalutazione del peso dimostrativo degli elementi di prova. In tal senso, quindi il ricorso finisce con il proporre argomenti di merito la cui rivalutazione è preclusa in sede di legittimità.
E’ costante, infatti, l’ insegnamento di questa Corte per cui il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logicogiuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (si veda, tra le altre, Sez. 6, n. 11194 dell’ 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178). Così come va ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999 Rv. 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
3.2. Infine, non va dimenticato che ai fini del controllo di legittimità sul viz di motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizz nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01).
Ciò posto è opportuno ricordare che i fatti sono stati ricostruiti – sulla base degli atti acquisiti al fascicolo della pubblica accusa tra cui, il verbale perquisizione e di sequestro, la querela della vittima di uno dei tentati furti e l immagini tratte dagli impianti di videosorveglianza che avevano ripreso i fatti, tutti pienamente utilizzabili in considerazione del rito prescelto – da entrambi i giudici di merito nei seguenti termini.
4.1. Intorno alle ore 23:55 del 18 settembre 2023 la Centrale Operativa della Questura di Ravenna diramava una nota di ricerca di una autovettura Toyota Yaris di colore scuro che, poco prima, aveva impattato contro la vetrina di un negozio cercando di sfondarla e che poi si era data alla fuga. Poco dopo giungeva la segnalazione di altri due episodi simili posti in essere, con le stesse modalità e senza successo, ai danni di altri due esercizi commerciali di Ravenna; alle ore 01:10 del 19 settembre 2023 veniva intercettata e fermata una Toyota Yaris targata TARGA_VEICOLO in INDIRIZZO con a bordo l’odierno imputato. Sul pianale della macchina, in corrispondenza del lato del guidatore, gli operanti rinvenivano (e poi sequestravano) un’arma da sparo dotata di silenziatore con il cane armato, munita di cinque cartucce cal. 9×7 ed una già in canna pronta all’uso. L’autovettura risultava compendio di furto ai danni di NOME COGNOME, il quale aveva presentato denuncia ai Carabinieri di Ravenna qualche giorno prima precisando di averla in precedenza consegnata ad un certo NOME (poi identificato nell’imputato) che aveva dichiarato di volerla acquistare, ma che poi era sparito assieme all’auto; al momento del controllo il veicolo risultava danneggiato nella parte anteriore e, in particolare, nel paraurti vi erano dei graffi corrispondenti alla colorazione delle vetrine dei negozi oggetti dei tentativi di sfondamento.
4.2. La stessa notte il titolare dell’esercizio commerciale denominato ‘INDIRIZZO sporgeva denuncia-querela precisando che, intorno alle ore 23:41 del 18 settembre 2023, era scattato l’allarme del suo negozio e che egli era stato allertato dal servizio di vigilanza che egli aveva riferito che dalle immagini di videosorveglianza si poteva notare una autovettura Toyota Yaris (con la vistosa mancanza di vernice sulla parte anteriore sinistra) che andava ad impattare contro la vetrina del negozio con la parte anteriore sinistra tentando di sfondarla, per poi allontanarsi una volta scattato il segnale di allarme. Con riferimento all’arma rinvenuta nell’auto, il consulente del Pubblico ministero aveva accertato trattarsi di una pistola a salve trasformata in arma da sparo mediante adeguata modificazione della canna in modo da consentire la propulsione, il transito e l’espulsione dei proiettili e i cui meccanismi erano perfettamente funzionanti. L’arma, quindi, risultava efficiente rispetto alla espulsione dei colpi e letale nelle brevi distanze, caricata con proiettili di calibro adeguato e munita di silenziatore. L’imputato, dal canto suo, in sede di convalida si era avvalso della facoltà di non rispondere dichiarando spontaneamente che l’auto gli era stata consegnata dal proprietario quando questi era andato in vacanza e che non si era accorto della presenza dell’arma sino al momento del suo ritrovamento da parte della polizia.
4.3. Pertanto, sulla base di tali elementi la Corte territoriale, senza incorrere,,, in evidenti vizi logici /ha confermato la penale responsabilità di COGNOME per i reati di cui ai capi AeBe per il tentato furto in danno del negozio ‘INDIRIZZO‘ di cui è titolare NOME COGNOME; in particolare, l’arma era stata rinvenuta dagli operanti sul lato del guidatore già carica, con il cane armato e munita di silenziatore, di talché la tesi difensiva secondo la quale l’imputato non era a conoscenza della sua presenza appariva del tutto inverosimile.
4.4. Ne consegue che le censure sollevate dall’imputato con il secondo motivo sono inammissibili in quanto dirette, all’evidenza, ad una differente valutazione degli elementi probatori a suo carico rispetto a quella coerentemente svolta dalla Corte territoriale per confermare il giudizio di penale responsabilità nei suoi riguardi per la violazione della legge armi ed il tentato furto ai danni del negozio ‘INDIRIZZO‘.
Il terzo motivo è infondato; invero, con riferimento alla richiesta di rito abbreviato, dalla sentenza di primo grado risulta che l’imputato – dopo avere inizialmente chiesto il rito abbreviato condizionato a produzione documentale ed alla escussione del proprietario dell’auto – dopo che il Tribunale aveva ritenuto tali integrazioni probatorie non necessarie, aveva avanzato richiesta di rito abbreviato c.d. ‘secco’. Ciò posto, deve richiamarsi il condivisibile principio in base al quale qualora l’imputato, a seguito del rigetto da parte del giudice della udienza preliminare della richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, non riproponga tale richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (come previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 169 del 2003, dichiarativa della parziale incostituzionalità dell’ art. 438, comma 6, cod. proc. pen.), ma chieda, invece, di definire il processo con giudizio abbreviato non condizionato (come avvenuto nella fattispecie), la mancata ammissione della prova cui era subordinata l’iniziale richiesta non può essere dedotta come motivo di gravame, ferma restando la eventuale facoltà di sollecitare l’esercizio dei poteri di integrazione istruttoria “ex officio” ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 7012 del 05/12/2017, Rv. 272579 – 01).
Orbene, l’odierno ricorrente non deduce di avere riproposto la richiesta di giudizio abbreviato condizionato prima della apertura del dibattimento in primo grado, di talché la relativa questione non può essere sollevata in questa sede. Inoltre, correttamente la Corte territoriale ha escluso la estinzione dei reato di tentato furto in danno del Ferretti ai sensi dell’art. 162-ter cod. pen. in assenza di una offerta reale da parte dell’imputato (il quale non contesta di essersi limitato ad inviare una lettera alla persona offesa con una offerta di denaro peraltro ritenuta irrisoria rispetto all’entità dei danni indicati nella querela).
Infondato risulta anche il quarto motivo con il quale l’imputato contesta l’applicazione della recidiva nei suoi confronti; al riguardo è agevole constatare come la sentenza impugnata si sia fedelmente attenuta al consolidato principio di diritto (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247838; Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270419; Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263464; Sez. 6, n. 43438 del 23/11/2010, COGNOME, Rv. 248960), secondo cui, ai fini della rilevazione della
recidiva, il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illeci sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, alla loro distinta offensività, all consecuzione temporale, alla genesi della ricaduta, nonché ad ogni parametro significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.
Nel riconoscere l’aggravante, strettamente inerente alla persona del colpevole, la sentenza impugnata non si è infatti attestata sui soli precedenti penali dell’imputato, ma li ha posti in relazione con le rinnovate condotte delittuose, valorizzando la più accentuata capacità a delinquere da esse espressa (tenuto conto, in particolare, che egli ha detenuto e portato in luogo pubblico un’arma clandestina, tenendola pronta all’uso nell’auto utilizzata per cercare di sfondare la vetrina di un negozio), da intendere come persistenza di stimoli criminogeni e, quindi, di una perdurante inclinazione al delitto, che parallelamente giustifica l’accresciuto rigore sanzionatorio. Siffatta motivazione, palesemente esente da vizi del ragionamento logico, è incensurabile in questa sede.
Inammissibile per genericità è, infine, il quinto motivo che riguarda il trattamento sanzionatorio ritenuto dal ricorrente sproporzionato rispetto alla concreta gravità dei fatti; infatti, la Corte territoriale ha confermato il trattament sanzionatorio disposto dal Tribunale osservando che la determinazione della pena (per il più grave reato di porto in luogo pubblico di arma clandestina) in misura superiore al limite edittale si giustificava per la particolare gravità del fatt desunta dalla tipologia e dalle caratteristiche della pistola e dalla spiccata capacità a delinquere dell’imputato risultante dai suoi numerosi precedenti, dando quindi conto, come in tali casi necessario (Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153), degli indici di commisurazione di cui all’art. 133 cod. pen.; indici non illogicamente apprezzati.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2025.