Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22868 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22868 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Gioia Tauro il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria in data 18/D4/2023
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Dr visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 18/04/2023, la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza 03/03/2016 del GUP del Tribunale di Palmi, rideterminava la pena inflitta a NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 73, comma 4, d.P.R. 309/90, 99-81 cod. pen., in anni tre reclusione ed C 8.000,00 di multa.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato.
2.1. Con il primo motivo, lamenta violazione di legge e di norme processuali e segnatamente degli artt. 454, comma 2, e 191, cod. proc. pen.. Evidenzia che non sono state osservate le formalità per l’estrazione di copia forense dal cellulare.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’articolo 73, comma 4, d.P.R. 309/90, sotto il profilo della identificazione della pers dell’imputato nell’utilizzatore della SIM n. 3664611256, in realtà prestata a tale NOMENOME opera straniero. Il ricorrente lamenta lo scorretto utilizzo della c.d. “prova logica”, in contrasto principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’articolo 73 d.P.R. 309/90, sotto il profilo della esistenza di un concorso nell’attivi coltivazione dello stupefacente di cui al capo a) della rubrica.
2.4. Con il quarto motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’articolo 73 d.P.R. 309/90, sotto il profilo del concorso nel reato di cui al capo b) rubrica, in cui il provvedimento impugnato rasenta l’assenza di motivazione.
2.5. Con il quinto motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’articolo 73, comma 5, d.P.R. 309/90, non riconosciuto dalla Corte di appello.
2.6. Con il sesto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli articoli 62-bis, 81, 99, 114 e 133 cod. pen.. Nella dosimetria della pena, la Corte di appel omette di motivare se non alla luce dei precedenti penali, risalenti, dell’imputato (ciò che ricorrente contesta soprattutto in riferimento all’applicazione della recidiva).
2.7. Con il settimo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alle pene accessorie di cui all’articolo 85 d.P.R. 309/90, applicate senza alcuna motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Correttamente evidenzia il Procuratore generale che, secondo la Corte, l’estrazione di dati archiviati in un supporto informatico, quale è la memoria di un telefono cellulare, soggiace all disciplina degli accertamenti tecnici irripetibili, e ciò anche dopo l’entrata in vigore della l 18 marzo 2008, n. 48, che ha introdotto unicamente l’obbligo di adottare modalità acquisitive idonee a garantire la conformità dei dati informatici acquisiti a quelli originali, c conseguenza che né la mancata adozione di tali modalità, né, a monte, la mancata interlocuzione delle parti al riguardo comportano l’inutilizzabilità dei risultati probatori acq «ferma la necessità di valutare, in concreto, la sussistenza di eventuali alterazioni dei da
originali e la corrispondenza ad essi di quelli estratti» (Sez. 1, Sentenza n. 38909 de 10/06/2021, Rv. 282072 – 01).
Ancora, si è ritenuto (Sez. 5, n. 22695 del 03/03/2017, La Rosa, Rv. 270139 – 01) che la suddetta disposizione prevede unicamente l’obbligo per la polizia giudiziaria di adottare modalità acquisitive idonee a garantire la conformità dei dati informatici acquisiti a que originalmente rinvenuti dalla stessa, giacché la genuinità di questi ultimi – e cioè la l corrispondenza a quelli in origine formati – può soltanto essere oggetto di valutazione i concreto da parte del giudice laddove dalle risultanze processuali emerga il sospetto di eventuali alterazioni precedenti all’intervento della polizia giudiziaria.
In sostanza, la norma di cui si tratta riguarda esclusivamente il procedimento acquisitivo della prova nel corso dell’indagine ed è finalizzata a prevenire il rischio del suo inquinament nel corso del medesimo, mentre la genuinità originaria della stessa è questione che attiene al merito della sua valutazione, che non può essere dedotta sotto il profilo della violazione d legge – e men che meno, per le ragioni anzidette, dell’art. 354 c.p.p. – bensì della tenuta del motivazione con la quale il giudice ha escluso il sospetto della sua alterazione.
E, con il motivo in esame, il ricorrente non ha dedotto come vizio della motivazione l’eventuale alterazione della prova, ma esclusivamente la sua inutilizzabilità.
Altrettanto correttamente evidenzia il P.G. come inconferente sia il richiamo operato dalla difesa a Sez. 6, Sentenza n. 34265 del 22/09/2020, Rv. 279949 – 01, pronuncia che, occupandosi dell’ipotesi di sequestro probatorio di dispositivi informatici o telematici e de successiva estrazione di copia integrale dei dati contenuti al fine di estrapolare i dati ritenu interesse investigativo, indica le regole di legittimità del provvedimento in punto di one motivazionale e di “proporzionalità” anche temporale della apprensione dell’intero archivio (stabilendo che qualora il sequestro sia realizzato attraverso l’ablazione «fisica» delle memorie, dapprima occorre creare una copia integrale del contenuto della strumentazione appresa, funzionale alla restituzione di quest’ultima al legittimo titolare. Successivamente, la cop integrale così ottenuta va sottoposta ad analisi per selezionare i contenuti informativi pertinen al reato per cui si procede; all’esito di tale selezione, la copia integrale c.d. «copia mezzo dev’essere restituita agli aventi diritto, giacché essa non rileva, di per sé, quale cosa pertine al reato, trattandosi di «un insieme di dati indistinti e magmatici»): insegnamento evidentemente differente dalla inesistente regola di inutilizzabilità che il ricorrente pretende ricavare per effetto dalla supposta violazione delle regole di apprensione dei dati contenuti in una utenza telefonica che – secondo la sua stessa tesi – non sarebbe peraltro nemmeno a lui riferibile.
In conclusione, poiché le disposizioni contenute nell’art. 354 c.p.p. non sono previste a pena di nullità o inutilizzabilità, non è possibile eccepire in sede di legittimità la loro ip violazione ai sensi della lett. c) dell’art. 606 c.p.p., che per l’appunto limita la deducibil
vizio in questione alle norme processuali assistite da sanzione (v., ex multis, Sez. 2, n. 29061 del 01/07/2015, COGNOME, Rv. 264572).
Il motivo, che non si confronta con la sedimentata giurisprudenza della Corte, è pertanto inammissibile per manifesta infondatezza.
3. Il secondo motivo è inammissibile.
3.1. Anche in questo caso coglie nel segno il Procuratore generale, laddove osserva che la sentenza di appello (così come quella di primo grado) appare del tutto immune da manifeste aporie logiche, avendo dato conto del perché – pur in assenza di una diretta osservazione del soggetto che si recava presso il sito deputato alla consegna dello stupefacente – non vi possano essere dubbi sul fatto che tale soggetto si identifichi proprio ed esattamente nel COGNOME, non potendosi appunto postulare, una volta collegati tutti gli elementi indiziari dunque non indebitamente atomizzandoli, come mostra di fare il ricorrente), alcuna ipotesi alternativa razionale (a partire da quella che l’utilizzatore sia l’operaio “NOME“).
Il ricorrente chiede in realtà a questa Corte di sovrapporre un nuovo, differente, giudizio quello operato dalle due conformi pronunce di merito, operazione non consentita in questa sede.
Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione la sentenza non può infatti essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettu orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a qu adottati dal giudice del merito, perché considerati maggiormente plausibili, o perché assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 49921 del 25/01/2018, Laboriosi, Rv. 274287 – 01; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, rv. 234148)
Ed infatti, nel giudizio di legittimità (v. da ultimo Sez. 3, n. 8466 del 17/01/2023, COGNOME n.m.) sono precluse la rilettura · degli elementi di fatto posti a fondamento della decision impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capaci esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/201 COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
Ciò determina l’inammissibilità di tutti quei profili che concernono la valutazione degl elementi di prova, quali il linguaggio contenuto nelle intercettazioni telefoniche o la valutazio delle immagini riprese, in cui si contesta la «lettura» degli elementi di prova da parte d giudici del merito, che sono pertanto inammissibili, posto che si chiederebbe alla Corte di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, operazione preclusa salvo che si deduca un risultato di prova incontestabilmente diverso da
quello reale; ed infatti, il vizio della motivazione, come vizio denunciabile, è coltivabile solo esso sia «evidente», cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu °cui/ (Sez. U., n. 14722 del 30/01/2020, Polito, Rv. 279005 – 01, cit.), circostanza non ricorrente nel caso di specie (s rinvia in proposito, oltre che alla motivazione offerta dalla sentenza impugnata, alle pagine 515 della prima sentenza e in particolare alla pag. 15, in cui si concatenano gli eventi, alla lu degli SMA, delle telecamere di videosorveglianza e dei servizi di osservazione, controllo e pedinamento, in modo indiziario ma assolutamente non illogico).
3.2. Il ricorrente paventa anche il vizio di travisamento della prova.
Anche tale profilo è inammissibile.
Per aversi tale vizio – soprattutto in ipotesi di «doppia conforme» – è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione (o di altro element prova) e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori eventualmente commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 3, n. 19599 del 19/04/2023, COGNOME, n.m.).
3.3. Ancora, il ricorrente lamenta che, attraverso un cattivo uso della c.d «prova logica», la Corte di appello abbia violato la regola dell’«al di là di ogni ragionevole dubbio».
Anche sotto tale profilo il motivo è inammissibile.
Il principio per il quale il giudice pronuncia sentenza di condanna «al di là di og ragionevole dubbio» non si riferisce alla necessità di considerare ovvero di confutare ogni possibile e diversa ricostruzione fornita dalle parti (Sez. 2, Sentenza n. 28957 del 03/04/2017, NOME, Rv. 270108).
Il citato criterio di valutazione, infatti, impone al giudice di procedere ad una valutazi complessiva nella quale siano considerate in modo coerente e logico tutte le risultanze processuali e siano state considerate, anche implicitamente, solo le ipotesi che non siano frutto di ragionamenti congetturali (Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014 dep. 2015, Rv 262280).
In tale contesto, pertanto, la violazione dell’«oltre ogni ragionevole dubbio» è configurabil esclusivamente quando il giudice, ancorando la decisione ad elementi privi di riscontro nelle emergenze processuali, non tenga in alcun conto della diversa e più coerente (in quanto fondata su elementi concreti, emersi ed acquisiti nel processo) ricostruzione alternativa, solo così idonea ad ingenerare un dubbio ragionevole.
Non può, al contrario, tale principio essere dedotto in sede di legittimità invocando una diversa valutazione delle fonti di prova, ovvero un’attività esclusa dal perimetro dell giurisdizione di legittimità, ma solo evidenziando vizi logici manifesti e decisivi del tess motivazionale, dato che oggetto del giudizio di cassazione non è la valutazione (di merito) delle prove, ma la tenuta logica della sentenza di condanna.
Non ogni «dubbio», infatti, sulla ricostruzione probatoria fatta propria dalla Corte di merit si traduce in una «illogicità manifesta», essendo necessario che sia rilevato un vizio logico che
incrini in modo severo la tenuta della motivazione, evidenziando una frattura logica non solo manifesta, ma anche decisiva, in quanto essenziale per la tenuta del ragionamento giudiziale giustificativo della condanna.
Il Collegio ritiene che il parametro di valutazione indicato nell’art. 533 cod. proc. pen., richiede che la condanna sia pronunciata se è fugato ogni «dubbio ragionevole», opera in modo diverso nella fase di merito e in quella di legittimità: solo innanzi alla giurisdizione di m tale parametro può essere invocato per ottenere una valutazione alternativa delle prove; diversamente, in sede di legittimità, tale regola rileva solo nella misura in cui la inosservanza si traduca in una manifesta illogicità del tessuto motivazionale (Sez. 2, n. 18313 del 09/01/2020, COGNOME, n.m.).
Infatti può essere sottoposta COGNOME al giudizio di cassazione solo la tenuta logica della motivazione, ma non la capacità dimostrativa delle prove, ove le stesse siano state legittimamente assunte; l’apprezzamento della capacità dimostrativa delle singole prove, come anche dei complessi indiziari è attività tipica ed esclusiva della giurisdizione di merito non può essere in alcun modo devoluta alla giurisdizione di legittimità se non nei limitati cas in cui si deduca, e si alleghi, un travisamento.
Diversamente, in sede di legittimità la violazione delle regole di valutazione delle prove e segnatamente, del criterio indicato dall’art. 533 cod. proc. pen. è invocabile solo quando precipiti in una illogicità manifesta del percorso argomentativo.
In sintesi: la “regola B.A.R.D.” (acronimo anglosassone per «beyond any reasonable doubt») in sede di legittimità rileva solo se la sua violazione «precipita» in una illogi manifesta e decisiva del tessuto motivazionale, l’unico ad essere sottpposto al vaglio di un organo giurisdizionale che non ha alcun potere di valutazione autonoma delle fonti di prova. La nuova o diversa valutazione delle prove può, invece, essere invocata nei gradi di merito, quando il rispetto del criterio dell’«oltre ogni ragionevole dubbio» non incontra il li funzionale che caratterizza il giudizio di cassazione (Cass. Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270108).
La violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio di cui all’art. 533, comma 1 cod. proc. pen., non può essere dedotta con ricorso per cassazione né quale violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., né ai sensi dell’art. 606, comma lett. c), cod. proc. pen., non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissib o decadenza, ma può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della ste norma, ossia esclusivamente ove la sua violazione si traduca nell’illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e)’ cod. proc. pen. (Sez 4, n. 2132 del 12/01/2021; Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017).
E’ quindi inammissibile il ricorso che censuri un vizio della motivazione ma si risolva i un’inammissibile sollecitazione alla rinnovata valutazione delle risultanze istruttorie d giudizio, delle quali la ricorrente propone una lettura alternativa (Sez. 6, n. 44148 d
10/10/2023, Cusenza, n.m.; nel caso di specie, il ragionevole dubbio sarebbe stato immanente nella ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata, ma si doleva di un’errata valutazione delle prove testimoniali assunte nel corso del giudizio dibatti mentale).
E ciò è proprio quanto avvenuto nel caso di specie, in cui, a fronte della motivazione espressa dalla Corte territoriale (e prima di lei dal Tribunale) in esito ad un ragionament induttivo (v. pag. 12 sentenza, in cui si evidenzia come il fantomatico NOME, che a detta de COGNOME non aveva legami stabili con il territorio calabrese, nelle conversazioni parlasse i dialetto calabrese; come la NOME, amante dell’imputato, abbia depistato le indagini riferendo l’utilizzo del telefono ad altro soggetto italiano; che, il giorno dopo ”arresto di COGNOME, l’imputato abbia iniziato ad utilizzare lo stesso dispositivo con una nuova scheda SIM) che non vulnera i canoni della logica, il ricorrente intende fornire un diverso approcci ricostruttivo del compendio probatorio, non consentito in sede di legittimità.
Il terzo e il quarto motivo possono essere trattati congiuntamente.
Essi sono inammissibili.
Il ricorrente, in entrambi i casi, propone una «rilettura» del contenuto degli SMS e delle intercettazioni telefoniche e ambientali in senso diverso da quello operato dai giudici de merito, operazione non consentita nel giudizio di cassazione.
Va infatti ricordato che la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni (così come degli SMS) costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650 – 01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 – 01; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, dep. 30/04/2008, Gionta, Rv. 239724).
È possibile prospettare in sede di legittimità una interpretazicne del significato un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabi (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, 2018. COGNOME Maro, Rv. 272558 – 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516 – 01; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252190 – 01; Sez.2, n. 38915 del 17/10/2007, dep. 19/10/2007, COGNOME, Rv. 237994), circostanza, anche questa, non sussistente nel caso in esame, come visto nel paragrafo che precede.
5. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 – 01) la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 può essere riconosciuta solo in ipotesi d minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, si dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), c la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio.
Orbene, nel caso di specie, in ragione del numero di piante coltivate (184 circa) e della quantità di THC estraibile (la perquisizione del locale adibito a serra ha consentito di rilevare produzione di un quantitativo di principio attivo pari a 426.510,1 mg di THC, da cui erano ricavabili 17.060 dosi medie singole), la Corte distrettuale evidenzia che proprio va riconosciuta una particolare diffusività del fenomeno illecito, tale da escludere la possibilità riconoscere la fattispecie della lieve entità, facendo un uso non illogico dei principi espressi questa Corte.
Il sesto motivo è fondato limitatamente alla recidiva.
6.1. Ed infatti, quanto al trattamento sanzionatorio, la pena è stata irrogata nel minimo edittale e l’aumento per la continuazione limitato alla sola pena pecuniaria, mostrando così i giudici una particolare benevolenza nella dosimetria della pena. Il motivo è quindi manifestamente infondato.
6.2. In ordine alle circostanze attenuanti generiche, i secondi giudici sono laconici su punto, ma soccorre, sul punto, la sentenza di primo grado. Va infatti rammentato che, nel caso in esame, ci si trova in presenza di una «doppia conforme» di merito.
Ed infatti il secondo giudice, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, non h richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice, ma ha «riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunto alla medesima conclusione» (v., ex multis, Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007, COGNOME, Rv. 236130 – 01, Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, COGNOME, Rv. 243636 – 01; per casi analoghi a quello in esame, v. Sez. 3, n. 21187 del 15/02/2023, COGNOME, n.m., in cui la riforma concerneva la concessione dei doppi benefici; Sez. 4, n. 5796 del 26/01/2021, COGNOME, n.m., in cui la riforma ha avuto ad oggetto il solo trattament sanzionatorio; Sez. 4, n. 43083 del 30/09/2021, COGNOME, n.m., in cui la riforma ha avuto a oggetto le sole statuizioni civili).
In questo caso, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01), ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificat sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo e le motivazioni dei due provvedimenti si integrano a formare un corpo unico,
con il conseguente obbligo per il ricorrente di confrontarsi in maniera puntuale con i contenuti delle due sentenze, circostanza, nel caso di specie, non sussistente (v. Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, COGNOME, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, COGNOME, Rv. 209145).
La prima sentenza (pag. 36) ha ritenuto insussistenti elementi di segno positivo al fine del riconoscimento delle circostanze atipiche, ed elemento ostativo al loro riconoscimento la sussistenza di plurimi precedenti penali.
Tale statuizione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (v. ex multis Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME), secondo cui il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME Crescenzo, Rv. 281590; inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi all concessione delle attenuanti (sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la s valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737), non essendo neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma sufficiente specificare a quale si inteso far riferimento (sez. 1 n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; analogamente Cass., Sez. VI, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME, Rv 242419: «la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere es dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato»). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rileva altresì la Corte che «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con i d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non é più sufficiente il solo s di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, Sentenza n, NUMERO_DOCUMENTO del 16/02/2017, )».
Ancora, «la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e
legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto co solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare riconoscimento del beneficio» (Sez. 3, n. 9836 del 9 marzo 2016).
Anche tale profilo di censura è quindi manifestamente infondato.
6.3. Fondato è invece il motivo in riferimento alla contestata recidiva reiterata.
In proposito, la giurisprudenza della Corte è nel senso che «in tema di recidiva facoltativa, è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda l sussistenza della stessa» (Sez. 2, n. 51257 del 16/11/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274782 – 01).
Già con sentenza n. 20798/2011 (ud. 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664 – 01), le Sezioni Unite della Corte hanno evidenziato che il giudizio sulla recidiva non riguarda l’«astratt pericolosità» del soggetto o un suo status personale svincolato dal fatl:o reato. Esso postula, piuttosto, la valutazione della gravità dell’illecito commisurata alla maggiore attitudine delinquere manifestata dal soggetto agente, idonea ad incidere sulla risposta punitiva – sia in termini retributivi che in termini di prevenzione speciale – quale aspetto della colpevolezza della capacità di realizzazione di nuovi reati, soltanto nell’ambito di una relazione qualificata i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente significativo in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, e avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 33 cod. pen., sotto il profilo della più accentuata colpevolez della maggiore pericolosità del reo.
Si è poi affermato che, in caso di contestazione della recidiva nelle ipotesi previste da uno dei primi quattro commi dell’art. 99 cod. pen., il giudice è tenuto a verificare in concreto se reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolo del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il seg alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e ad ogni al parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di prec:edenti penali (Sez. n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270419 – 01; Sez. 6, n. 43438 del 23/11/2010, COGNOME, Rv. 248960 – 01).
Ancora, si è precisato che il giudice è tenuto a verificare «se e in qual misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influi quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice» (Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284425 – 01).
Tale dovere, tuttavia, può ritenersi adempiuto anche nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di processo delinquenziale già avviato (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274782), è può essere adempiuto anche implicitamente, ove si dia conto della ricorrenza dei requisiti di
riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, come nel caso in cui la sentenza richiami la negativa personalità dell’imputato desumibile dalla particolare pericolosità social della condotta da costui posta in essere (Sez. 6, n. 20271 del 27/04/2016, Duse, Rv. 267130 01).
E’ comunque necessario che, dal complesso della motivazione, emerga che il giudice ha valutato i parametri di cui sopra e ritenuto che il nuovo delitto costituisca espressione di u una «maggiore capacità delinquenziale».
Specularmente, nell’ipotesi in cui il giudice, in applicazione dei principi stabiliti dalla costituzionale (sentt. nn. 192/2007 e 92/2008), ritenga di escludere che la contestata recidiva sia, di per sè, sintomo di una maggiore capacità delinquenziale, deve adeguatamente motivare al fine di escludere il previsto aggravamento di pena (Sez. F, n. 35526 del 19/08/2013, COGNOME Silvio, Rv. 256713 – 01).
L’onere di motivazione si fa ancor più pressante nei casi, quale quello in esame, in cui le precedenti condanne sono risalenti nel tempo. E’ stato infatti chiarito dalla Corte, conseguenza, che, tra gli elementi da tenere in considerazione per i motivi di cui sopra, vi è anche l’eventuale lasso di tempo trascorso tra le pregresse fattispecie e quella attualmente giudicata, certamente indice di una relazione qualificata (Sez. 3, n. 16047 del 14/03/2019, COGNOME, n.m.).
Nel caso concreto la Corte distrettuale, e prima di lei il Tribunale di Palmi, non hanno fatt buon governo degli anzidetti principi, limitandosi il primo giudice a evidenziare che i precedent vantati (due, con sentenze irrevocabili nel 1997 e 2000) erano «in numero tale a giustificare la contestata recidiva reiterata», con ciò venendo meno all’onere di valutazione in concreto della «più accentuata colpevolezza e maggiore pericolosità del reo» (così Sez. U., n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838) determinata dalla ricaduta delinquenziale.
La sentenza va pertanto annullata con rinvio per nuovo esame sul punto.
7. Il settimo motivo è fondato limitatamente al divieto di espatrio.
Come noto, la giurisprudenza della Corte è nel senso che «le pene accessorie del ritiro della patente di guida e del divieto di espatrio, previste dall’art. 85 del cl.P.R. 9 ottobre 1 n. 309, hanno natura facoltativa e non obbligatoria, per cui la loro irrogazione, in quant discrezionale, richiede una specifica motivazione da parte del giudice» (Sez. 3, n. 10081 del 21/11/2019, dep. 2020, Radoman, Rv. 278537 – 03).
La sentenza impugnata, a pag. 14, sottolinea come, avendo l’imputato commesso il delitto proprio utilizzando un veicolo, la sospensione della patente avrà un effetto deterrente nella commissione di ulteriori delitti, e che il divieto di espatrio priverà l’imputato della possibi procurarsi ulteriori occasioni per la commissione di delitti in materia di stupefacenti.
Se, in riferimento alla prima pena accessoria, il ragionamento della Corte territoriale appare coerente con la ratio dell’istituto e individualizzato in relazione al fatto e alla persona
dell’imputato, in riferimento al divieto di espatrio la motivazione non può che dirsi tautologi ed apparente, che ricorre allorquando essa – come nel caso di specie – «sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi i ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente» (Sez. 5, n. 24862 del 19/05/2010, COGNOME, Rv. 247682 – 01; Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263100 – 01).
La sentenza va pertanto annullata, limitatamente alla conferma della contestata recidiva e della pena accessoria del divieto di espatrio, con rinvio per nuovo esame sul punto, mentre le restanti doglianze vanno dichiarate inammissibili.
Il Collegio, ai sensi dell’articolo 624 cod. proc. pen., dichiara l’irrevocabilità statuizione sulla colpevolezza.
P.Q.M.
Annulla limitatamente alla pena accessoria del divieto di espatrio disposta ai sensi dell’articolo 85-bis del d.P.R. 309 del 1990 ed alla dichiarata recidiva la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
Così deciso il 08/03/2024.