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Recidiva e continuazione: compatibili per la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 942/2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso, confermando la piena compatibilità tra gli istituti della recidiva e della continuazione. Anche se più reati sono uniti da un unico disegno criminoso, essi non perdono la loro autonomia ai fini della valutazione della recidiva, in quanto la continuazione è una ‘fictio iuris’ finalizzata solo a un trattamento sanzionatorio più mite.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva e continuazione: Due istituti compatibili secondo la Cassazione

L’interazione tra diversi istituti giuridici nel diritto penale può generare complesse questioni interpretative. Un recente caso esaminato dalla Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sulla compatibilità tra recidiva e continuazione, due concetti fondamentali per la determinazione della pena. Con l’ordinanza n. 942 del 2024, la Suprema Corte ha stabilito che l’applicazione della continuazione a precedenti condanne non impedisce di configurare la recidiva reiterata per un nuovo reato.

Il caso in esame

Un soggetto, condannato in primo e secondo grado per il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale (art. 496 c.p.), ha presentato ricorso in Cassazione. Il motivo principale del ricorso era incentrato su un aspetto tecnico ma di grande rilevanza pratica: la contestazione della cosiddetta ‘recidiva reiterata’.

L’imputato sosteneva che, poiché le sue precedenti condanne erano state unificate dal vincolo della continuazione (essendo state commesse in esecuzione di un unico disegno criminoso), non si potesse parlare di recidiva ‘reiterata’ (cioè commessa più volte), ma al massimo di recidiva ‘semplice’. L’idea di fondo era che la continuazione, unendo i reati, li trasformasse in un’unica entità giuridica, incapace di fondare una reiterazione della condotta criminale ai fini della recidiva.

La questione della compatibilità tra recidiva e continuazione

Il cuore della controversia legale era quindi stabilire se la finzione giuridica della continuazione, che attenua il trattamento sanzionatorio, potesse anche neutralizzare gli effetti della pluralità di condanne ai fini della recidiva. Si trattava di capire se i due istituti fossero tra loro incompatibili o se potessero coesistere, producendo ciascuno i propri effetti specifici.

La difesa puntava a un’interpretazione che vedeva nella continuazione una ‘unificazione ontologica’ dei reati, tale da farli contare come ‘uno’ anche per la recidiva. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha sposato una tesi diametralmente opposta, basandosi sulla propria consolidata giurisprudenza.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso ‘manifestamente infondato’, rigettando completamente la tesi difensiva. Gli Ermellini hanno chiarito che non esiste alcuna incompatibilità tra l’istituto della recidiva e quello della continuazione. La loro applicazione congiunta è possibile quando ne sussistono i rispettivi presupposti normativi.

La Corte ha spiegato che la continuazione non comporta una ‘unificazione ontologica’ dei diversi reati, che mantengono la loro individualità storica e giuridica. Essa è, piuttosto, una ‘fictio iuris’, ovvero una finzione creata dal legislatore con uno scopo preciso: temperare il trattamento sanzionatorio, evitando che la somma aritmetica delle pene per ogni singolo reato risulti eccessivamente gravosa.

Di conseguenza, sebbene ai fini della pena i reati in continuazione siano trattati come un unicum, essi rimangono distinti e plurimi a tutti gli altri effetti. Ciò significa che, ai fini della valutazione della recidiva, ogni singola condanna precedente, anche se avvinta dal vincolo della continuazione, conta. Pertanto, è del tutto legittimo che il giudice riconosca la recidiva reiterata basandosi su più condanne precedenti, anche se queste erano state unificate per il calcolo della pena.

Conclusioni

La decisione della Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la finalità degli istituti giuridici ne determina l’ambito di applicazione. La continuazione ha lo scopo di mitigare la pena, non di cancellare la realtà storica di una pluralità di reati. La recidiva, invece, ha lo scopo di sanzionare più gravemente chi, nonostante una o più condanne, delinque di nuovo, dimostrando una maggiore pericolosità sociale.

Questa ordinanza conferma che i due istituti operano su piani diversi e non si escludono a vicenda. Per i professionisti del diritto e per i cittadini, il messaggio è chiaro: aver beneficiato della continuazione in passato non offre alcuno ‘sconto’ sulla valutazione della recidiva in caso di commissione di nuovi reati. La sentenza rafforza così la funzione special-preventiva della recidiva, mantenendo al contempo la funzione di equità sanzionatoria della continuazione.

Cosa sono la recidiva e la continuazione?
La recidiva è la condizione di chi commette un nuovo reato dopo una condanna definitiva, e comporta un aumento di pena. La continuazione è un istituto che unifica più reati commessi per un medesimo disegno criminoso, consentendo una pena più mite rispetto alla somma delle singole pene.

La continuazione tra più reati esclude la recidiva reiterata per un reato successivo?
No. Secondo la Cassazione, la continuazione non esclude la recidiva. Anche se i reati precedenti sono stati unificati per la pena, essi restano distinti ai fini del calcolo della recidiva. Pertanto, è corretto applicare la recidiva reiterata basandosi su più condanne precedenti, anche se legate dalla continuazione.

Perché la continuazione è considerata una ‘fictio iuris’?
La continuazione è definita una ‘fictio iuris’ (finzione giuridica) perché tratta come un’unica violazione di legge una serie di reati che, nella realtà, sono molteplici e distinti. Questo meccanismo ha il solo scopo di applicare un trattamento sanzionatorio più favorevole e non cancella la pluralità dei reati commessi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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