Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 29966 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 29966 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CAIVANO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TERRASINI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CAMASTRA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CHIANNI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/10/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e ricorso);
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi propost nell’interesse di COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME annullars rinvio l’impugnata sentenza nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla rit recidiva (quarto motivo di ricorso), dichiararsi inammissibile nel resto il ricor declaratoria di irrevocabilità della condanna in relazione ai contestati reati.
udit) d difensore int -e’ ve.uro GLYPH utleIng
L’avvocato COGNOME NOME del foro di PISA in sostituzione dell’avvocato COGNOME NOME del foro di PISA in difesa di COGNOME NOME e in sostituzione
dell’avvocato COGNOME NOME del foro di LIVORNO in difesa di COGNOME NOME e quale difensore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, chiede preliminarmente dichiararsi l’improcedibilità per mancanza e/o difetto di querela in relazione ai capi di imputazione a), c), f), i), j) rispettivamente contestati ai ricorre Insiste per l’accoglimento dei ricorsi con riguardo agli altri reati.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME ricorrono avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 24/10/2022 (dep. 23/01/2023, fascicolo pervenuto in Corte di cassazione il 7/06/2024) che ha confermato la condanna inflitta ai ricorrenti con sentenza del Tribunale di Pisa del 16/11/2016 in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, con requisitoria-memoria del 21 giugno 20204, ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e, quanto a COGNOME NOME, per l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al diniego della recidiva, con inammissibilità nel resto del ricorso.
Con memoria del 28 giugno 2024, la difesa di COGNOME NOME ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
All’odierna pubblica udienza il difensore degli imputati ha eccepito il difetto di procedibilità, per mancanza e/o difetto di querela, dei reati di furto ascritti a imputati (capi A, C, F, I, J).
I motivi dei ricorsi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Anzitutto, osserva il Collegio, deve essere disattesa, in quanto inammissibile, l’eccezione preliminare di improcedibilità per i reati di furto ascrit agli imputati, sollevata dalla difesa sul rilievo della sopravvenienza dell procedibilità a querela per effetto del disposto normativo di cui all’art. 624, comma 3, cod. pen. così come sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs.10 ottobr 2022, n. 150.
Al riguardo, se è indubbio che la norma de qua sia stata introdotta successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata (emessa, come detto, in data 24/10/2022) e, dunque, debba ammettersi – non avendo potuto la questione essere dedotta o rilevata nel giudizio di merito (com’è avvenuto nella specie, in quanto effetto dello ius superveniens) la possibilità dell’imputato di farla valere con apposito motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. (v Sez. 4 n. 49513 del 15/11/20923), ciò non toglie che le modalità di deduzione debbano essere quelle prescritte per il giudizio di legittimità.
Ne deriva, pertanto, che l’eccezione avrebbe dovuto essere formulata se non col ricorso principale (essendo le impugnazioni state depositate nelle more della decorrenza del termine di cui all’art. 85 del decreto legislativo che stabiliva i
favore della persona offesa, già notiziata del reato, che il termine per la presentazione della querela decorresse dalla data di entrata in vigore del provvedimento normativo), quantomeno con i motivi aggiunti, nel termine perentorio di giorni quindici prima dell’udienza, stabiliti dall’art. 611, comma 1, cod. proc. pen. e non per la prima volta nel corso dell’udienza di discussione.
Inoltre, a fondamento dell’eccezione si è sottolineato che la querela sarebbe stata sporta in maniera irrituale, ovvero sarebbe financo mancante. Tenuto conto che i reati di furto oggetto di giudizio sono molteplici (si tratta dei capi A, C, F, 3) e che le persone offese ebbero diretta contezza degli atti predatori effettuati ai danni delle concerie di loro proprietà, occorreva specificare, in ossequio al principio di autosufficienza, per quali episodi furtivi vi era mancanza assoluta ovvero difetto di querela, provvedendosi, nel secondo caso, all’allegazione degli atti in relazione ai quali si prospetta che andrebbe esclusa la natura di querela.
2. I ricorsi degli imputati:
COGNOME NOME (capi A, B, C, D, I e 3).
2.1. Erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in punto di affermazione di responsabilità del ricorrente .
La censura attiene all’assenza di valenza probatoria – in relazione all’affermata colpevolezza dell’imputato in ordine ai capi A) e B) della rubrica delle dichiarazioni etero accusatorie rese dal COGNOME sulla presenza dell’imputato e sul ruolo svolto nelle fasi di procacciamento dell’immobile destinato ad allocare la merce rubata, da ritenersi intrinsecamente inattendibili.
Ad analoghe conclusioni poteva giungersi con riguardo al giudizio di colpevolezza del ricorrente raggiunto in ordine ai capi C) e D) della rubrica, che si sostiene esclusivamente fondato sulla circostanza (neppure smentita dalla difesa) che il ricorrente avesse visitato il capannone attiguo a quello del COGNOME, ovvero sul dato, di carattere equivoco, costituito dalla presenza sul luogo del furto di un’autovettura così comune, quale una Fiat Punto, attribuita all’imputato.
In conclusione, si era al cospetto di !abili indizi privi dei necessari requisiti certezza, univocità e concordanza per assurgere al rango di prova di colpevolezza, nel rispetto dei canoni interpretativi della prova enunciati dalla Corte di legittimit e del principio dell’affermazione della penale responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il motivo è inammissibile.
Quanto all’affermazione di responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi A) e B), il motivo è generico, posto che il ricorrente non si confronta con il dato, particolarmente significativo, che l’imputato è indicato tra coloro che il COGNOME vide intenti a scaricare nel magazzino le pelli rubate dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; parimenti generica è la dedotta inattendibilità della fonte di prova a carico, omettendo il ricorrente di confrontarsi con i plurimi elementi di riscontro pure indicati dal giudice del merito.
Anche quanto all’affermazione di responsabilità in ordine ai capi C) e D), il motivo risulta generico, in quanto la piattaforma indiziaria a carico del ricorrente si nutre anche dell’ulteriore elemento, di spiccata gravità indiziaria, costituito dall presenza di tracce biologiche dell’imputato rinvenute, unitamente a quelle degli altri correi indicati a pag. 10 della sentenza impugnata, all’interno del capannone utilizzato quale stoccaggio della merce rubata. Tale dato si pone in termini di continente convergenza con gli altri pure declinati dalla sentenza impugnata e costituiti dalla riconducibilità all’imputato, in orario compatibile con il fu dell’auto ripresa dalle telecamere in prossimità della RAGIONE_SOCIALE a cui venero sottratte le pelli e dal fatto di essersivf -ecato unitamente ad altro coimputato a visionare il capannone, ab origine individuato quale base logistica all’interno della quale allocare il compendio proveniente dai vari furti commessi ai danni delle concerie indicate nei capi di imputazione.
Peraltro, l’esistenza di un patto criminale che unisse l’imputato agli altri correi nella commissione degli atti predatori contestati si accresce:
in termini di logica convergenza, per modalità e analogia dei compendi presi di mira, degli ulteriori e successivi episodi furtivi di cui ai capi I) e J) della rub che coinvolgono la maggior parte degli imputati rei di avere commesso i primi due furti di cui ai capi A) e C) dell’imputazione;
dell’ulteriore vicenda legata allo smercio del pellame rubato alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che secondo gli accordi intrapresi dai correi COGNOME e il COGNOME col COGNOME, doveva essere da quest’ultimo venduto dopo averne cancellato le tracce attraverso un’operazione di mutazione del colore. Sebbene l’imputato risulterà estraneo alle minacce estorsive successivamente rivolte dai complici al COGNOME affinché rispettasse gli accordi stabiliti (tra le parti era insorta controversia sull’esa individuazione del prezzo di cessione delle pelli), resta il dato, particolarmente significativo, che sia il ricorrente ad attivarsi affinché la p.o. consegni un acconto, con ciò dimostrando il comune interesse che anche il COGNOME riponeva nella conclusione dell’affare che avrebbe consentito agli imputati rei del furto di monetizzare il valore del pellame rubato.
2. Errata applicazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione.
Si era disattesa la modesta offensività della condotta alla luce delle circostanze del fatto, nonché l’assenza di danno patrimoniale per le persone offese atteso il recupero della refurtiva.
Peraltro, si erano indicati a corredo del trattamento sanzionatorio elementi di disvalore che non attenevano alla posizione dell’imputato (il riferimento è anche alla protervia del tentativo di estorsione a cui il ricorrente era estraneo che alla capacità organizzativa desunta dal reperimento dei locali).
Privo di motivazione era l’aumento operato per la continuazione ed apparente il diniego delle attenuanti generiche.
Il motivo è manifestamente infondato.
Ai fini del trattamento sanzionatorio complessivamente inflitto la Corte d’appello ha attribuito pregante disvalore alle modalità della condotta, alla capacità organizzativa di coloro che ebbero a individuare e locare il capannone destinato allo stoccaggio del pellame rubato e ai notevoli danni patrimoniali cagionati alle persone offese, in ragione soprattutto dell’elevato valore del pellame furtivamente sottratto.
Si tratta di elementi continenti con la ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito che hanno ricostruito una vicenda ampiamente dimostrativa di un gruppo ben organizzato, con suddivisione dei ruoli e particolarmente scaltro, deputato alla commissione di ripetuti atti predatori ai danni delle concerie toscane.
In tale ambito, contrariamente a quanto dedotto, non affatto modesta si appalesa la condotta tenuta dal ricorrente, in quanto, sebbene allo stesso non si debba il reperimento della base operativa del gruppo, ovvero l’estorsione commessa ai danni del COGNOME, risulta pressoché unanimemente presente in tutti gli atti predatori contestati, con ruoli non affatto marginali.
A nulla vale, poi, a sminuire uno degli elementi indicati a sostegno della gravità del reato, che il pellame rubato sia stato poi rinvenuto dalla polizia giudiziaria. A parte la circostanza dei danni comunque arrecati dall’esecuzione dell’atto predatorio (a conferma di ciò le ripetute effrazioni commesse), va ribadito che, in tema di furto l’entità del danno cagionato alla persona offesa deve essere verificata al momento della consumazione del reato costituendo la restituzione della refurtiva solo un “post factum” non valutabile a tale fine. (Fattispecie in cui il bene oggetto di furto era stato sottratto per breve tempo poiché recuperato, subito dopo la commissione del reato, dalle forze dell’ordine; Sez. 5, n. 19728 dell’11/04/2019, COGNOME, Rv. 275922;(5, n. 13817 del 25/01/2017, COGNOME, Rv. 269731 – 01; Sez. 2, n. 9610 del 28/11/2023, dep. 2024, Griggio, non mass.).
Peraltro, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito
della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 c (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Waychey, Rv. 258410; Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211582 – 01).
Inoltre, l’esclusione di elementi da valutare positivamente ai fini della concessione delle attenuanti generiche non si presta a censure di apparenza della motivazione, in quanto resa alla stregua degli elementi di pregnante disvalore enunciati riguardo al trattamento sanzionatorio e indicativa dell’assenza di implicito rilievo decisivo degli elementi dedotti da ciascuna difesa nei motivi di appello.
Quanto, poi, agli aumenti operati per la continuazione, va ribadito, in conformità al consolidato orientamento di legittimità che, in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base, vieppiù quando non è possibile dubitare del rispetto del limite legale del triplo della pena base ex art. 81, comma 1, cod. pen., in considerazione della misura contenuta degli aumenti di pena irrogati, e i reati posti in continuazione siano integrati da condotte criminose seriali ed omogenee (in termini, Sez. 5, n. 32511 del 14/10/2020, R., Rv. 279770 – 01; Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005 – 01; Sez. 4, n. 51604 del 6712/2023, dep. 2024, Bengasi, non mass.; Sez. 2, n. 27877 del 16/05/2023, RAGIONE_SOCIALE, non mass.; Sez. 3, n. 22091 del 9/03/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 1 n. 7781 del 21/12/2022, dep. 2023, Liga, non mass.).
3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
3.1. L’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, cod. proc. pen., l’estinzione per prescrizione dei reati di cui ai capi C) e J), contestati all’imputat ex artt. 624 e 625 n. 2 cod. pen., ma non rilevata, né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Milo, Rv. 266818 – 01; in motivazione la Corte ha precisato che l’art. 129 cod. proc. pen. non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione).
3.2. A diverse conclusioni deve pervenirsi con riguardo alle ricettazioni di cui ai capi B) e D), rispettivamente consumate il 19 maggio 2014 e il 3 giugno 2014, in quanto, a prescindere dal rilievo che l’inammissibilità del ricorso per cassazione
preclude la possibilità di rilevare, anche d’ufficio, la prescrizione in sede d legittimità (Sez. 2, n. 28848 dell’8/05/2013, COGNOME, Rv. 256463; S.U., n. 6903 del 27/5/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966), deve tenersi conto delle sospensioni intervenute nel corso del giudizio di appello (tra cui risulta sufficiente indicare quella di gg. 64 dovuta a Covid-19).
3.3. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186).
COGNOME NOME (capi A, B, C, D, E, F, I).
1. Violazione di legge, inosservanza di norma processuale (art. 192 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei reati contestati ai capi A) e B).
La censura si appunta anzitutto sull’attendibilità del COGNOME, quale fonte di prova a carico, avendo disatteso la Corte di merito di vagliare le doglianze difensive che, sulla scorta delle emergenze processuali, evidenziavano l’esistenza di un’ accesa acredine del teste-imputato di reato connesso nei confronti dello COGNOME e degli altri soggetti napoletani in riferimento alle questioni patrimoniali legate all’accordo delle lavorazioni delle pelli (che dovevano essere trasformate nel colore). In particolare, erano state trascurate le seguenti circostanze difensive: il teste COGNOME, proprietario del magazzino non era stato mai contattato dal COGNOME, né messo a conoscenza che questi avrebbe consegnato le chiavi a terze persone; non vi è prova di un furto alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il 19 maggio 2014, anzi vi era stato un sequestro in data antecedente e quello successivo nella esclusiva disponibilità del COGNOME; non vi era prova di colui che avrebbe dovuto fare da intermediario tra il COGNOME ed il gruppo dei napoletani a cui dovevano essere destinate le pelli per la chiusura dell’affare; non vi era prova dei nominativi degli acquirenti del pellame, tra cui l’amico cinese; il COGNOME non aveva mai denunziato il predetto accordo ai Carabinieri e al proprietario del magazzino.
Con riguardo, poi, all’episodio furtivo consumatosi ai danni della RAGIONE_SOCIALE e alla ricettazione del camion impiegato per trasportare il compendio rubato, si sostiene, per un verso, l’assenza di decisività degli elementi addotti a sostegno del coinvolgimento del ricorrente, e, per altro, si lamenta di avere disatteso i rilievi difensivi: non era emerso con certezza che le pelli rubate alla RAGIONE_SOCIALE fossero state allocate nel magazzino di INDIRIZZO; non vi era prova che la RAGIONE_SOCIALE NOME avesse subito un furto; non vi era prova che le pelli furtivamente sottratte fossero state rinvenute nella disponibilità dello COGNOME; i COGNOME non aveva fornito elementi che consentissero di ricondurre le pelli che
stava lavorando alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; non vi è prova dell’asserita base operativa del gruppo; non vi è prova delle vicende relative all’autocarro che sarebbe stato utilizzato per trasportare le pelli rubate, come sia arrivato al magazzino, né chi lo abbia utilizzato, né chi si sia occupato del suo smaltimento.
Violazione di legge, inosservanza di norma processuale (art. 192 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei reati contestati ai capi C) e D).
Si lamenta la mancata valutazione delle specifiche doglianze difensive proposte con l’atto di appello e, segnatamente: il COGNOME non coinvolgeva lo COGNOME nell’accaduto del 3-4 giugno 2014, ma solo il COGNOME; i filmati delle videoriprese di sorveglianza non raffigurano l’imputato transitare nella zona della RAGIONE_SOCIALE presa di mira; non vi è prova che le analisi del cronotachigrafo del camion individu4no gli utilizzatori di tale mezzo; non vi è prova di intercettazioni telefoniche precedenti o successive al 3-4 giugno 2014 (data del furto); il teste qualificato COGNOME non aveva coinvolto lo COGNOME negli episodi del 3-4 giugno; non vi era prova del giorno preciso in cui sarebbero stati lasciati nel magazzino i reperti biologici ivi rinvenuti; non vi era prova di chi avesse utilizzato e po abbandonato il camion servito per commettere il furto.
Entrambi i motivi sono manifestamente infondati.
Anzitutto va sottolineato – deducendo la difesa che la Corte di merito non abbia specificamente confutato i rilievi difensivi sollevati con l’atto di appell (pedissequamente riprodotti nei motivi di ricorso) -che la sentenza di merito non è tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4, senU n. 26600 del 13/05/2011, COGNOME, Rv. 250900; Sez. 2, n. 28547 del 20/06/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 27323 del 25/01/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, COGNOME, Rv. 250105-01; Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005, dep. 2006, Mirabilia, Rv. 23318701).
Si tratta di una premessa necessaria perché la sentenza impugnata, mediante anche il richiamo di quella di primo grado, si è premurata di indicare gli elementi di prova aventi carattere determinante ai fini dell’affermazione di responsabilità che, solo in parte, ricevono specifica censura nei motivi di ricorso per cassazione che sono per lo più volti a reiterare le asserite lacune motivazionali in cui sarebbe
incorso il giudice di appello. Peraltro, i vizi di motivazione denunciati fanno leva su una rilettura delle emergenze processuali preclusa in questa sede, in quanto diretti a sollecitare la Corte di cassazione a sostituire la propria valutazione a quella operata dai giudici di merito, ponendosi al di fuori del perimetro del giudizio di legittimità.
Tanto precisato, dalla lettura delle sentenze di merito risulta che tracce biologiche dell’imputato furono rinvenute, unitamente a quelle di altri correi, dai Carabinieri nel capannone di INDIRIZZO, ove i militari si erano recati il 4 giugno 2014 a seguito di segnalazione da fonte confidenziale; in occasione del controllo 7 venne anche rinvenuto il pellame che la notte precedente ignoti avevano furtivamente sottratto ai danni della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Si legge poi che quel capannone era stato affittato, nel maggio di quell’anno, dall’imputato, insieme al COGNOME NOME, dal COGNOME NOME, il quale conduceva in locazione quello del INDIRIZZO ove esercitava la propria attività di RAGIONE_SOCIALE (denominata Brasil); il COGNOME disponeva delle chiavi del capannone affittato all’imputato, nonché di altro (situato al INDIRIZZO) avendo ricevuto dal proprietario (COGNOME NOME) l’incarico di trovare dei possibili locatari.
Entrambe le sentenze di merito sottolineano come il capannone costituisse la base operativa per lo stoccaggio del pellame di provenienza furtiva. La destinazione illecita del capannone è avvalorata non solo, per quanto già osservato, dal rinvenimento del pellame furtivamente sottratto alla RAGIONE_SOCIALE, ma anche da quanto ictu ocuti percepito dal COGNOME, il quale, il precedente 19 maggio 2014, aveva sorpreso gli imputati, tra cui il ricorrente, mentre scaricavano all’interno le pelli rubate alla RAGIONE_SOCIALE. COGNOME ha dichiarato che l’imputato e il COGNOME gli proposero di trasferire le pelli rubate alla COGNOME nel sua adiacente RAGIONE_SOCIALE (ove in seguito verranno rinvenute dalla p.g.) per trasformarle in crust, al fine di poter essere riciclate sul mercato, procurandogli anche i documenti che avrebbero dovuto giustificare la lecita provenienza della merce al fine di poter essere rivenduta (le bolle, risultate false, vennero rinvenute dalla p.g. a seguito della perquisizione del capannone del COGNOME). Il COGNOME assumeva l’obbligo di curare la vendita del compendio furtivo ad un prezzo concordato (anche se sorse questione sull’esatta entità del prezzo dovuta alla misura del pellame). Risulta, infine, che l’imputato, unitamente al COGNOME, aveva ricevuto due acconti dal COGNOME – il quale nelle more aveva rinvenuto anche un acquirente -per la lavorazione del pellame rubato alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e che in più occasioni (il 3, 6 e 9 giugno) aveva minacciato il COGNOME e i suoi familiari di pagare il dovuto (anche se permaneva il contrasto con riguardo all’esatta individuazione del prezzo). Inoltre, sempre dalla ricostruzione del fatto estorsivo di cui al capo E), la sentenza di primo grado (v. in particolare pag. 8 di quella di primo grado)
precisa che, il rinvenimento da parte dei Carabinieri del pellame rubato alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, aveva “incattivito” gli animi degli imputati, tanto che il COGNOME, dopo essere stato contattato dal COGNOME e dal COGNOME che gli sollecitavano il pagamento di quanto dovuto per il piazzamento delle pelli rubate alla RAGIONE_SOCIALE, il 6 giugno, mentre si trovava in auto, fu affiancato dallo COGNOME e dal COGNOME che lo costrinsero a fermarsi e l’imputato, dopo averlo accusato di avere fatto la spia ai Carabinieri ritenendolo responsabile dell’operazione che aveva condotto i militari al rinvenimento delle pelli rubate alla RAGIONE_SOCIALE, “gli toglieva anche cento euro con la scusa che aveva urgente bisogno di denaro perché doveva tagliare la corda”. Il successivo 9 giugno, si legge in sentenza, sempre l’imputato, alla presenza del COGNOME, minacciò il COGNOME e i suoi familiari affinché corrispondesse quanto ancora dovuto (l’incontro fu monitorato dai Carabinieri). Infine, il 13 giugno 2014, i Carabinieri rinvenivano il pellame rubato alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (pressoché corrispondente nel numero alle pelli denunciate come rubate e riconosciuto dal titolare della RAGIONE_SOCIALE depredata) presso il capannone del COGNOME.
Se questo è, dunque, il contesto di fatto asseverato dai giudici di merito, nessuna illogicità sconta la sentenza impugnata per avere ritenuto l’imputato coinvolto in entrambi i furti aggravati contestati ai capi A) e C) (ai danni delle concerie RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE). Quanto a quello effettuato ai danni della RAGIONE_SOCIALE egli affittò il capannone dove poi lo stesso imputato, unitamente ai correi, provvide allo stoccaggio della merce, per poi trasferirla al COGNOME, con il quale concluse l’accordo illecito volto al riciclaggio della stessa affinché fosse rivenduta sul mercato, percependo degli acconti. Sempre al ricorrente, poi, si debbono le reiterate minacce – della cui natura estorsiva si dirà a proposito del capo E) affinché il COGNOME onorasse la sua obbligazione, in conseguenza delle quali la p.o. versò un ulteriore anticipo.
Riguardo al furto aggravato ai danni della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente è, dunque, presente nell’ambito di tutta la filiera necessaria per organizzare il furto, collocare la merce rubata e rimetterla in circolazione e i diversi contributi resi sono corrisposti unitamente agli altri coimputati. Non può ‘dunque,trovare applicazione l’ipotesi della ricettazione delle pelli per come prospettato dalla difesa (peraltro neppure prescritta in ragione delle sospensioni maturate nel corso del giudizio di appello), in quanto la disponibilità del compendio furtivo da parte dell’imputato non costituisce un isolato accadimento avulso dal contesto illecito che ha condotto i coimputati alla programmazione ed esecuzione del furto da cui detto compendio proviene, ma costituisce lo sviluppo di una condotta di programmazione ed esecuzione del reato che allo stesso imputato materialmente si deve sia prima che dopo la realizzazione della condotta punibile.
E tanto alla luce non solo della tipizzazione unitaria del concorso di persone nel reato, la quale assegna rilievo, a pari titolo, a chi compie la condotta tipica rispetto a colui o a coloro che hanno apportato un contributo qualsiasi, purché dotato di rilevanza causale nell’ambito della realizzazione collettiva del fatto, ma anche perché può ricadere nell’alvo del concorso di persone nel reato:
il contributo agevolante o facilitante che risulti, con un giudizio “ex post”, tale da prestarsi in concreto ad essere valutato come una “condì do sine qua non” dell’evento (Sez. 4, n. 6664 del 28/01/1993, COGNOME, Rv. 195476 – 01);
l’attività materiale post delictum, laddove costituisca un programmato contributo all’altrui condotta criminosa che ha consentito una più agevole commissione del reato avuto di mira. In tema di concorso di persone, l’accordo preventivo alla commissione del delitto presupposto tra l’autore materiale e colui che promette assistenza ed aiuto post delictum, integra concorso morale qualora si manifesti con forme agevolatrici della condotta illecita idonee a determinare, istigare o rafforzare il proposito criminoso altrui, con conseguente esclusione della configurabilità della responsabilità per ricettazione (ex multis, Sez. 1, n. 17541 del 12/01/2021, Di Bari, Rv. 281219 – 01).
Per tale ragione, correttamente ne è stata fatta derivare anche l’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine alla ricettazione del camion impiegato dagli autori del furto. Del resto, che tale mezzo fosse a pieno titolo destinato a strumento per commettere il programmato furto si ricava altresì dal rinvenimento nella RAGIONE_SOCIALE del COGNOME – deputato a trasformare le pelli – dei documenti del camion unitamente alle false bolle in conto di lavorazione che avrebbero dovuto occultare la provenienza furtiva del compendio, documentazione di cui lo stesso imputato si fece latore con il COGNOME COGNOME che, all’evidenza, ngiavvalora ulteriormente il legame con l’intera vicenda illecita descritta ai capi A) e B) della rubrica.
Anche con riferimento al furto aggravato ai danni della RAGIONE_SOCIALE le conclusioni raggiunte dal giudice del merito in punto di affermazione di colpevolezza si sottraggono ai vizi di legittimità denunziati.
Invero, anche laddove, per come propugna la difesa, l’impronta rinvenuta all’interno del capannone fosse stata rilasciata dall’imputato in occasione del precedente accesso conseguito allo stoccaggio delle pelli rubate alla RAGIONE_SOCIALE (per come ebbe de visu a percepire il COGNOME che sorprese gli imputati mentre scaricavano le pelli), ovvero in altra precedente occasione in cui egli vi si recò, resta il dato, particolarmente significativo, della persistete destinazione illecita che il capannone svolge anche rispetto all’allocazione delle pelli sottratte alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. E tale destinazione è impressa proprio dall’imputato a cui si deve l’attività volta al rintraccio e alla locazione del bene immobile. Se a ciò si aggiunge, poi, che il ricorrente era ben consapevole degli eventi che avevano
portato al sequestro del compendio rubato alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, tanto che ciò lo determinò ad agire al fine di realizzare ad ogni costo l’accordo illecito concluso con il COGNOME, se ne ricava come lo COGNOME, lungi dall’aver interrotto la catena logica che lega il capannone ai successivi furti, ne sia invece ancora parte integrate, quale concorrente che ha comunque consapevolmente assicurato, anche per tale atto predatorio, la base logistica messa a disposizione a tale illecito fine. Sussiste, pertanto, un’attività materiale ascrivibile all’imputato che si pone in termini di diretta efficienza e di rafforzo dell’operato dei correi che hanno poi materialmente commesso il furto aggravato ai danni dell’RAGIONE_SOCIALE, i quali hanno potuto contare su detta base operativa.
Violazione di legge, inosservanza di norma processuale (art. 192 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato contestato al capo E).
Censurate le dichiarazioni del COGNOME in punto di riscontri, che la difesa sostiene non specificati dalla sentenza impugnata nella parte in cui avvalorerebbero l’accusa di estorsione mossa all’imputato, si sottolinea come le prove a carico indicate dai giudici di merito non restituiscano alcuna minaccia esplicita che l’imputato avrebbe rivolto al COGNOME.
Inoltre, si evidenzia la contraddittorietà della sentenza impugnata nella parte in cui per lo stesso episodio il giudice del merito era pervenuto all’assoluzione dei coimputati COGNOME e COGNOME.
Infine, si lamenta che non siano state tenute in considerazioni le censure difensive evidenziate nell’atto di appello e, segnatamente: non vi era prova di un furto alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il 19 maggio 2014; il COGNOME non aveva mai denunciato l’accordo conclusosi tra lo stesso e il gruppo dei napoletani per la lavorazione del pellame ai Carabinieri, né al proprietario del capannone; il COGNOME non aveva mai informato il proprietario della consegna delle chiavi al gruppo dei napoletani del capannone senza concordare peraltro un canone di locazione; mancava qualsiasi costrizione nei confronti del COGNOME e le somme richieste dovevano ricondursi all’accordo relativo alla lavorazione delle pelli che le parti avevano concluso; difettava il requisito dell’ingiustizia del profitto stante la sussistenza dell’accord contrattuale; mancava la prova di una condizione di sudditanza psicologica che sarebbe stata posta in essere nei confronti del COGNOME; il pellame oggetto di furto era stato ritrovato il 13 giugno 2014 nella disponibilità del COGNOME all’interno dell sua RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è manifestamente infondato.
La circostanza che l’imputato abbia minacciato il COGNOME, allorché tra le parti sorse controversia in ordine all’esatta determinazione del prezzo da corrispondere per la cessione e la rivendita delle pelli rubate alla RAGIONE_SOCIALE, si ricava dalle
precise e circostanziate dichiarazioni rese sul punto dalla persona offesa, le quali hanno rinvenuto molteplici elementi di riscontro – trattandosi di affermazioni provenienti da imputato di reato connesso – nell’attività di indagine svolta dalla p.g., puntualmente indicata alle pagine 15 e 16 della sentenza di primo grado.
In particolare, è stato financo monitorato dalla p.g. l’incontro tra l’imputato e il COGNOME nel corso del quale il primo avrebbe minacciato il secondo di fargli saltare in aria la sua RAGIONE_SOCIALE prefigurando atti di violenza contro i suoi familiari, per come è stato altresì corroborato dal richiamo al contenuto di un’intercettazione captata in quel contesto.
Gli elementi di prova che – secondo la difesa – la sentenza impugnata avrebbe pretermesso di considerare non scalfiscono affatto la tenuta della motivazione di condanna in ordine alla vicenda estorsiva, in quanto, per un verso, sono ampiamente disattesi dalla motivazione resa in punto di sussistenza del furto aggravato alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito del quale l’imputato svolge un ruolo fondamentale, dovendosi allo COGNOME il reperimento e la locazione del capannone destinato alla stoccaggio della merce rubata e, per altro, ridondano in censure di fatto non scrutinabili in questa sede.
Quanto, poi, alla qualificazione giuridica del fatto, i rilievi difensivi risult parimenti manifestamente infondati. La circostanza che le minacce di morte vennero rivolte anche contro i familiari del COGNOME e, dunque, si diressero contro soggetti estranei al preteso rapporto obbligatorio, esclude in radice l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, alla luce del principio affermato dalla Corte d legittimità a mente del quale è configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, quando ad un’iniziale pretesa di adempimento di un credito effettuata con minaccia o violenza nei riguardi del debitore seguano ulteriori violenze e minacce di terzi estranei verso il nucleo familiare del debitore, sicché l’iniziale pretesa arbitraria si trasforma in richiest estorsiva, sia a causa delle modalità e della diversità dei soggetti autori delle violenze, che per l’estraneità dei soggetti minacciati alla pretesa azionata (ex multis, Sez. 2, n.5092 del 20/12/2017, dep. 2018, Gatto, Rv. 272017 – 01).
Peraltro, l’esclusione della ragion fattasi va ravvisata anche nel fatto che l’asserita pretesa vantata dallo COGNOME non sarebbe tutelabile dinanzi al giudice civile, in quanto relativa a pattuizione con causa illecita, essendo le parti addivenute alla conclusione del contratto per un motivo illecito comune ad entrambe. L’accordo negoziale era, infatti, volto a rimettere sul mercato con parvenza di liceità un compendio di provenienza delittuosa, così eludendo anche le norme imperative dettate in materia di circolazione delle cose mobili e di tutela dell’affidamento dei terzi.
Infine, nessuna illogicità sconta la sentenza impugnata per avere assolto dall’editto estorsivo gli altri coimputati COGNOME, COGNOME e COGNOME. Sul punto censura è financo aspecifica, in quanto il ricorrente omette di confrontarsi con i puntuali argomenti evidenziati dal giudice del merito ad esclusione del concorso di detti imputati. Si legge, infatti, a pag., 15 della sentenza di primo grado che, quanto al COGNOME, nessuna accusa nei suoi confronti è stata formulata dal COGNOME; che il COGNOME, al qualepure si deve l’iniziale proposta illecita (formulata unitamente alla COGNOME),rimase estraneo alla fase delle trattative; che ) nei confronti di COGNOME e AVV_NOTAIO non sono stati rinvenuti riscontri al dichiarato del COGNOME.
Violazione di legge, inosservanza di norma processuale (art. 192 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato contestato al capo F).
La censura si incentra sulla mancata disamina delle censure difensive sollevate con l’atto di appello per come evidenziato con analogo motivo a proposito della posizione del coimputato COGNOME (vedi sub 2).
Il motivo è manifestamente infondato per quanto evidenziato a proposito della posizione del coimputato ricorrente COGNOME (vedi oltre). La sorpresa dell’imputato all’atto di scaricare il pellame rubato si nutre non solo delle circostanze di tempo e di luogo che logicamente consentono di attribuire a tale condotta l’epilogo conseguenziale di quella di carattere furtivo poco prima commessa, ma anche della comunanza predatoria che lega i correi per come acclarato in relazione ai pregressi fatti furtivi ai danni delle concerie RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE che vedono protagonisti il ricorrente, unitamente al COGNOME e al COGNOME.
Violazione di legge, inosservanza di norma processuali (art. 192 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato contestato al capo I).
Si lamenta l’omesso esame di doglianze difensive relative al contenuto di alcune intercettazioni, specificamente indicate nell’atto di appello, dalle quali emergeva che l’imputato si trovava alla guida di un furgone distante dallo scenario del furto.
Inoltre, si rappresenta come per la terminologia usata nessun contenuto accusatorio alle stesse fosse attribuibile.
Si lamenta, infine, che la sentenza impugnata aveva omesso di spiegare da quali conversazioni si potesse ricavare il concorso morale del ricorrente nel contestato furto.
Il motivo è manifestamente infondato.
La circostanza che l’imputato fosse distante dallo scenario del furto non rileva ai fini dell’esclusione dell’ipotesi concorsuale, trattandosi di delitto tentato, la c condotta materiale ex art. 56 cod. pen. si deve ai correi COGNOME e COGNOME (v.
pagg. 19 e 20 sentenza di primo grado), mentre all’imputato è ascritto un contributo di tipo agevolativo-rafforzativo consistito nell’essere a disposizione all’occorrenza dei correi, per come si ricava dal contenuto delle intercettazioni indicate a pag. 20 dal primo giudice.
Violazione di legge (art. 133 cod. pen.) e vizio di motivazione in relazione all’individuazione della pena base. Si lamenta che la Corte d’appello – a fronte di doglianza sull’eccessività del trattamento sanzionatorio e in ordine all’erroneità del reato base per insussistenza del reato di estorsione di cui all’art. 629, comma 2, cod. pen. – aveva reso una motivazione apparente facendo ricorso ad una clausola di stile.
Il motivo è manifestamente infondato. La pena base di anni sette di reclusione in relazione all’estorsione è dovuta all’aggravante delle persone riunite. In particolare, per come precisato dalla sentenza di primo grado (v. pag. 14), le reiterate minacce rivolte dall’imputato al COGNOME risultano avvenute non solo alla presenza dei diversi correi di volta in volta indicati dalle sentenze di merito (COGNOME il 3 giugno, COGNOME il 5 giugno, il COGNOME il 13 giugno, nonché anche altre persone per come indicato alle pagine 26 e 27 anche in relazione a quanto emerso dalle intercettazioni), la cui simultanea presenza, per le circostanze di tempo e di luogo, ha rafforzato la pretesa oggetto dell’intimidazione, ma anche in concorso con le ulteriori condotte minacciose poste in essere dagli stessi correi.
Violazione di legge (art. 99 cod. pen.) e vizio di motivazione in relazione alla recidiva reiterata contestata, la cui sussistenza era stata affermata ricorrendo ad una mera clausola di stile.
Il motivo è fondato.
La Corte di merito, a fronte di uno specifico motivo di appello dedotto dalla difesa sul punto (il numero 9), ove si lamentava che il riconoscimento della recidiva qualificata era conseguito alla mera elencazione dei precedenti penali annoverati dall’imputato, per lo più datati, ha richiamato, ritenendola “corretta e congrua” la decisione di primo grado (“si ritiene corretta e congrua la quantificazione della pena in virtù del riconoscimento della recidiva..’), così disattendendo di esaminare il motivo di appello. L’aggravante, pertanto, è stata riconosciuta sul solo dato formale costituito dai precedenti penali, omettendosi qualsiasi richiamo alla negativa personalità dell’imputato e al necessario maggior disvalore che i fatti oggetto del presente giudizio annoverano in ragione di quei precedenti in punto di pericolosità sociale.
È, infatti, illegittima la decisione con cui il giudice applichi l’aumento di pena per effetto della recidiva senza operare alcuna concreta verifica in ordine alla sussistenza degli elementi indicativi di una maggiore capacità a delinquere del reo, considerato che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto
della recidiva rientra nell’esercizio dei poteri discrezionali del giudice, che deve fornire adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo che giustifichi l’aumento di pena (Cfr.,Corte cost. sent. n. 185 del 2015 ;,Sez. 2, n. 50146 del 12/11/2015, COGNOME).
Va, pertanto, annullata la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto.
Violazione di legge (art. 81 cod. pen.) e vizio di motivazione con riferimento all’eccessivo aumento operato per la continuazione.
Violazione di legge (art. 62-bis cod. pen.) e vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Si lamenta che la sentenza impugnata abbia omesso financo di indicare quali fossero gli elementi ostativi alla concessione delle circostanze attenuanti generiche.
I motivi dedotti in punto di trattamento sanzionatorio con riguardo all’aumento apportato per la continuazione e al diniego delle circostanze attenuanti generiche sono assorbiti, in quanto dipendenti dall’annullamento in punto di recidiva.
In conclusione, la sentenza impugnata va annullata con rinvio limitatamente al diniego della recidiva, restando, di conseguenza, assorbiti per detto imputato gli altri motivi dedotti in ordine al trattamento sanzionatorio, in quanto dipendenti da tale rinnovato giudizio.
Va, invece, dichiarato inammissibile nel resto il ricorso.
Essendo il giudizio di rinvio deputato a riesaminare il motivo di appello dedotto in punto di recidiva qualificata ed incidendo il riconoscimento della circostanza sul tempo necessario a prescrivere dei reati, al giudice del rinvio competeranno le questioni relative all’eventuale declaratoria di estinzione dei reati maturata nel corso del procedimento. Sul punto, infatti, va richiamato l’orientamento di legittimità a mente del quale, in caso di annullamento parziale della sentenza, qualora siano rimesse al giudice del rinvio questioni relative al riconoscimento di una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa e/o ad effetto speciale, che condiziona ex art. 157, comma 2, cod. pen. il tempo necessario a prescrivere il reato (nella specie, recidiva reiterata), il giudicato formatosi sull’accertamento del reato non impedisce la declaratoria di estinzione del reato stesso per prescrizione, maturata prima della pronuncia di annullamento (Sez. 5, n. 22781 del 30/03/2021, Riviello, Rv. 281316 – 01; Sez. 4, n. 5478 del 14/12/2017, dep. 2018, V., Rv. 271934 – 01).
COGNOME NOME (capi A, B, C e D).
1 . GLYPH Erronea applicazione degli artt. 624 e 625 cod. pen. e vizio di motivazion in relazione alla qualificazione in termini di furto aggravato del reato di cui a A) della rubrica (ai danni della RAGIONE_SOCIALE il 19/05/2014).
Mancanza di motivazione in relazione all’accertamento della responsabilità dell’imputato per il reato di ricettazione di cui al capo B) della rubrica (ricet dell’autocarro tg. TARGA_VEICOLO – provento di furto in danno della ditta RAGIONE_SOCIALE utilizzato per commettere il reato di furto di cui al capo A) della rubrica).
La censura attiene alla sussistenza di elementi idonei ad asseverare coinvolgimento dell’imputato nel furto ai danni della RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, risulta accertato soltanto che il ricorrente aveva ricevuto le pelli, ma non che avesse p parte alla pianificazione del furto e alla relativa esecuzione. Da qui la difes conseguire anche l’esclusione nella ritenuta responsabilità concorsuale ne ricettazione del camion di provenienza furtiva utilizzato nell’occasione trasportare le pelli rubate.
I motivi sono manifestamente infondati.
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che l’imputato è stato indic dal COGNOME – imputato di reato connesso per i delitti di favoreggiamen riciclaggio di cui è stata vagliata l’attendibilità alla stregua di convergenti e di riscontro del narrato – come uno dei duelN t l . ìro era lo COGNOME, per come acclarato anche dalla individuazione effettuata da una teste) che, ai prim maggio 2014, affittarono uno dei capannoni di cui egli aveva la disponibili (quello sito al INDIRIZZO di INDIRIZZO Tommaso di Santa Croce sull’Arno, prossim al INDIRIZZO ove il COGNOME aveva stabilito la sua attività di RAGIONE_SOCIALE denom Brasil) destinato allo stoccaggio del pellame rubato; l’imputato venne sorpreso COGNOME (il 19 maggio), insieme agli altri coimputati, mentre all’intern capannone scaricava le pelli rubate alla RAGIONE_SOCIALE e sempre all’imputa (unitamente al coimputato COGNOME) si deve la richiesta, rivolta al COGNOME di quello stesso giorno, di lavorare le pelli affinché cambiassero col (così da poterle rivendere sul mercato), con l’assicurazione che avrebbe ricev delle “bolle in conto lavoro” (risultate false e rinvenute dalla p.g. presso la co del COGNOME ove erano state allocate le pelli rubate affinché fossero trasforma crust al fine di poter essere rivendute a terzi) in grado di giustificare l prestata al verificarsi di eventuali controlli.
COGNOME, pertanto, nei confronti dell’imputato le stesse argomentazioni principi di diritto affermati con riguardo alla posizione del concorrente COGNOME sostanzialmente sovrapponibile con riguardo alla vicenda furtiva ai danni del RAGIONE_SOCIALE (capi A e B) a cui può integralmente farsi riferimento (vedi sub 12, ricorso COGNOME).
2,, GLYPH Manifesta illogicità della motivazione in relazione all’accertamento della responsabilità dell’imputato per il reato di furto aggravato di cui al capo C) dell’imputazione (ai danni della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, tra il 3 e 4 giugno 2014).
Mancanza di motivazione in relazione all’accertamento della responsabilità dell’imputato per il reato di ricettazione di cui al capo D) della rubrica (ricettazione dell’autocarro tg. TARGA_VEICOLO – provento di furto in danno della ditta RAGIONE_SOCIALE per commettere il reato di furto di cui al capo C) della rubrica).
Si lamenta l’inidoneità (assenza di univocità) degli elementi in forza dei quali il giudice del merito ha affermato il concorso del ricorrente anche in questo furto di pellame, in quanto costituiti dalla mera presenza dell’imputato – in epoca antecedente il furto – nel capannone ove era stato rinvenuto il compendio rubato alla RAGIONE_SOCIALE e dal rinvenimento di un mozzicone di sigaretta, da cui non poteva trarsi, parimenti, alcuna indicazione sul momento in cui era stato lasciato all’interno del medesimo capannone e tantomeno farne derivare una presenza coeva al momento della commissione dell’azione furtiva. Da qui la difesa ne fa conseguire anche l’esclusione nella ritenuta responsabilità concorsuale nella ricettazione del camion di provenienza furtiva utilizzato nell’occasione per trasportare le pelli rubate alla RAGIONE_SOCIALE.
I motivi sono manifestamente infondati, in quanto la dedotta estraneità dell’imputato si fonda su una lettura parcellizzata del compendio probatorio, a fronte, invece, di una pluralità di elementi di ,91 -79 convergente logicamente dimostrativi del concorso dell’imputato anche in questo ennesimo episodio furtivo.
Invero, al ricorrente, per come in precedenza evidenziato a proposito del furto commesso ai danni della RAGIONE_SOCIALE, si deve il rinvenimento e la locazione del capannone all’interno del quale poi la p.g. ha rinvenuto le pelli rubate alla RAGIONE_SOCIALE. Peraltro, dagli accertamenti di p.g., risulta che le pelli all’interno de magazzino sono state ivi condotte dagli autori del furto, per come comprovato dall’uso dei mezzi impiegati per trasportare il compendio rubato e collocarlo all’interno. Del resto, è lo stesso COGNOME che, pur non coinvolto nel furto, quella stessa notte si presta a fornire agli altri imputati un muletto elevatore per riporre le pelli, scorgendo le tracce del camion con cui i pellami erano stati ivi trasportati.
Acclarata, pertanto, la diretta strumentalità del magazzino quale luogo ove riporre la merce che veniva di volta in volta rubata alle concerie e l’allocazione della stessa ad opera degli autori dei furti, la circostanza che tracce biologiche del ricorrente rinvenuta all’interno non sia di per sé dimostrativa della presenza dell’imputato al momento dell’allocazione della merce sottratta alla RAGIONE_SOCIALE non ne esclude il rilievo concorsuale. In tema di concorso materiale di persone nel reato, infatti, è penalmente rilevante non solo l’ausilio necessario ma anche quello che si limita ad agevolare o facilitare il conseguimento
dell’obiettivo finale. Il contributo agevolante o facilitante appare non necessario o non indispensabile soltanto in astratto ma non già in concreto, perché con un giudizio “ex post” è tale da prestarsi ad essere valutato come una “condicio sine qua non” dell’evento (Sez. 4, n. 6664 del 28/01/1993, COGNOME, Rv. 195476 – 01). Il magazzino affittato dall’imputato si presta a programmata base operativa ove successivamente stoccare la merce rubata e tanto basta ad asseverarne il concorso nei reati di furto e ricettazione del mezzo utilizzato per trasportare all’interno l merce, in quanto attività strumentale necessaria all’occultamento del corpo del reato ed alla successiva allocazione del compendio, manifestandosi detta antecedente attività in rapporto di causalità efficiente col successivo programmato furto e la comune ricettazione del camion quale strumento altrettanto indispensabile per trasportare la merce rubata tenuto conto della natura e del peso delle pelli.
Erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione.
Erronea applicazione dell’art. 133 cod. per). e vizio di motivazione.
Si lamenta che la Corte di merito abbia disatteso, con generica affermazione, il motivo di appello con cui si valorizzava, tanto ai fini circostanziali quanto dell determinazione della pena, il diverso apporto causale dell’imputato rispetto a quello più grave apportato dagli altri correi.
I motivi sono manifestamente infondati per quanto evidenziato a proposito del comune motivo dedotto dal coimputato COGNOME in ordine al trattamento sanzionatorio. Peraltro, al ricorrente si deve anche l’attività preparatoria per l’allocazione della merce rubata, essendo indicato come colui che affittò il capannone dal COGNOME, divenuto la base operativa per gli atti predatori. Inoltre, il ricorrente è indicato, unitamente allo COGNOME, come colui che formulò al COGNOME la proposta di trasferire le pelli rubate alla COGNOME nella sua RAGIONE_SOCIALE per trasformarle in crust, proponendogli di venderle ad un prezzo concordato. Infine, è stato riconosciuto responsabile della commissione di ben quattro reati, con la conseguenza che il giudizio confermativo espresso dalla Corte di merito in punto di particolare disvalore della condotta e di congruità della pena complessivamente inflitta dal primo giudice si rivela esente da illogicità.
5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, cod. proc. pen., l’estinzione per prescrizione del reato di furto aggravato da una sola circostanza per come contestato al capo C), ma non rilevata, né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Milo, Rv. 266818 – 01; in motivazione la Corte ha precisato che l’art. 5.1.
129 cod. proc. pen. non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione).
A diverse conclusioni deve pervenirsi con riguardo alle ricettazioni di cui ai capi B) e D), rispettivamente consumate il 19 maggio 2014 e il 3 giugno 2014, in quanto, a prescindere dal rilievo che l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare, anche d’ufficio, la prescrizione in sede di legittimità (Sez. 2, n. 28848 dell’8/05/2013, COGNOME, Rv. 256463; S.U., n. 6903 del 27/5/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966), deve tenersi conto delle sospensioni intervenute nel corso del giudizio di appello (tra cui risulta sufficiente indicare quella di gg. 64 dovuta a Covid-19). 5.2.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186). 5,3.
COGNOME NOME (capi C, D e F della rubrica)
Violazione di legge, inosservanza dell’art. 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per i capi C) e D) della rubrica.
La censura si appunta sull’episodio furtivo consumatosi ai danni della RAGIONE_SOCIALE tra il 3 ed il 4 giugno 2014 e sulla ricettazione del camion impiegato per trasportare il compendio rubato (capi C) e D), sostenendosi, per un verso, l’assenza di decisività degli elementi addotti a sostegno del coinvolgimento del ricorrente e, per altro, l’aver disatteso i rilievi difensivi (il COGNOME e il COGNOME non coinvolgono l’imputato in questo accaduto, non vi è prova che il ricorrente sia mai sceso dall’auto pure individuata nei luoghi di causa, non vi è prova di chi abbia condotto il camion utilizzato per trasportare la merce, non vi sono intercettazioni coeve al fatto, non vi è prova di quando sarebbero stati lasciati i reperti biologici rinvenuti all’interno del magazzino).
Il motivo è manifestamente infondato.
L’affermazione di responsabilità dell’imputato, quale concorrente nel furto ai danni della RAGIONE_SOCIALE e della correlativa ricettazione dell’autocarro utilizzato per la consumazione del reato, si nutre di elementi di coinvolgimento aventi natura individualizzante, primo tra tutti quello costituito dalla presenza, unitamente al complice COGNOME, allorché, proprio la notte del furto, pretesero dal COGNOME il
prestito di un camion e poi di un muletto, che il COGNOME assecondava quanto al muletto, poi utilizzato per scaricare la merce rubata. Con la conseguenza che l’accertamento che restituisce, sempre quella notte, il transitare dell’auto in uso all’imputato nei pressi della RAGIONE_SOCIALE presa di mira in orario compatibile con il furto commesso, non fa altro che avvalorare – anche quale riscontro al propalato del COGNOME – il coinvolgimento del ricorrente, la cui presenza all’atto della richiesta dei mezzi necessari per eseguire il furto è di per sé già logicamente dimostrativa della previa intesa intervenuta coi correi nel disegno di perpetrate il reato. La circostanza, poi, che non sia databile con esattezza il momento in cui l’imputato ha lasciato le sue tracce biologiche su un paio di guanti e su un bicchierino presenti all’interno del capannone (essendo l’accesso della p.g. avvenuto dopo il furto) non elide la valenza indiziante di tali elementi, in quanto si legano con la immanente destinazione illecita che al capannone è stata conferita dai correi, essendo stato accertato come la locazione dello stesso rispondesse all’unico fine di allocarvi il pellame che gli imputati dovevano sottrarre nell’ambito del comune e programmato intento predatorio. Con la conseguenza che di tali tracce il giudice del merito ben può tenere conto ai fini della dimostrazione dei comuni legami di tipo illecito intercorsi tra gli imputati.
Violazione di legge, inosservanza dell’art. 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il capo F) della rubrica.
Anche con questo motivo si lamenta, per un verso, l’assenza di elementi di prova direttamente dimostrativi del coinvolgimento del ricorrente nel furto ai danni della RAGIONE_SOCIALE” e, per altro, l’assenza di motivazione in ordine alle deduzioni difensive sollevate con l’atto di appello (l’intervento dei Carabinieri nel capannone era avvenuto allorché il furto era stato commesso, non vi era prova che il pellame fosse stato rubato la sera prima, il trasporto del pellame dalla Toscana sino a Casoria era stato commissionato da COGNOME COGNOME (poi deceduto), il pellame rinvenuto apparteneva a quest’ultimo ed il casolare ove era stato rinvenuto risultava locato ad una cooperativa non profit di ex detenuti, non vi era prova del contenuto del colloquio intercorso tra COGNOME ed il COGNOME nei pressi di Chiesina Uzzanese).
Il motivo è manifestamente infondato.
Dalla lettura delle sentenze di merito (v. anche pagg. 17 e 18 di quella di primo grado) risulta che l’imputato nel COGNOME del 9 luglio 2014 venne sorpreso dai Carabinieri mentre era intento, unitamente ai coimputati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME (quest’ultimo poi deceduto) e COGNOME NOME (datosi alla fuga) a caricare, su un camion appartenente ad una ditta di trasporti, delle pelli che risultavano essere state rubate alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (a cui sono state restituite). Le sentenze di merito hanno, al riguardo, richiamato
le dichiarazioni della p.o., la quale ebbe a constatare il furto la mattina dell’8 luglio allorché rinvenne una grata dello stabilimento forzata e la sottrazione di un furgone con sei pianali di pelli. Le pelli, per come precisato dal teste COGNOME, titolare della RAGIONE_SOCIALE a cui apparteneva il camion su cui gli imputati vennero sorpresi dai Carabinieri a caricare le pelli rubate, erano destinate ad essere trasferite a Casoria. Il teste ha, infatti, dichiarato che la mattina del 9 luglio si erano presentati nella sede della sua azienda RAGIONE_SOCIALE NOME, il ricorrente e RAGIONE_SOCIALE, il quale gli aveva commissionato il trasporto del pellame. Per tale ragione, prosegue il teste, il COGNOME si era fatto accompagnare dal suo autista sul posto, ossia presso il capannone abbandonato locato ad una cooperativa non profit di ex detenuti gestita dal RAGIONE_SOCIALE, ove poi sono intervenuti i Carabinieri che monitoravano gli spostamenti del COGNOME, essendone emerso, a seguito di alcune conversazioni intercettate tra il 7 e 1’8 luglio con il COGNOME, il coinvolgimento “in un’impresa ladresca in quel momento ancora imprecisata”.
Tanto premesso, la circostanza, su cui fa leva la difesa, dell’assenza di prova diretta del coinvolgimento dell’imputato nella sottrazione furtiva della merce, non appare affatto decisiva ai fini dell’esclusione dell’ipotesi concorsuale nel furto aggravato, in quanto la sorpresa nella flagranza della disponibilità del compendio furtivo logicamente si lega, per le circostanze di tempo (appena il giorno dopo la denuncia del furto), di luogo (nell’ambito di un capannone situato in zona isolata deputato allo stoccaggio delle pelli per il successivo trasporto altrove) e di contesto (lo stesso imputato è presente la mattina allorché viene rivolta al COGNOME la richiesta di farsi carico del successivo trasporto della merce dal capannone in Casoria), alla pregressa sottrazione senza soluzione di continuità quale attività in precedenza programmata tra i correi ed indispensabile alla commissione del reato.
Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio, con particolare riguardo all’individuazione della pena base.
Si lamenta l’eccessività della pena base – stabilita sul capo C) della rubrica e l’assenza di motivazione in ordine ai criteri specifici per cui ci sia discostati i modo rilevante dal minimo edittale (nella formulazione antecedente alla legge n. 103 del 2017 che ha elevato il minimo ad anni due di reclusione), confermandosi una pena pari ad anni quattro di reclusione a fronte di un anno di reclusione stabilito dall’art. 625, comma 1, cod. pen.
Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al riconoscimento della recidiva.
Il motivo sulla recidiva è fondato, restando assorbito quello dedotto in punto di determinazione della pena base.
La Corte di merito, a fronte di uno specifico motivo di appello dedotto dalla difesa sul punto, ove si lamentava che il riconoscimento della recidiva facoltativa
era conseguito alla mera elencazione del precedente penale annoverato dall’imputato, per lo più datato e a pena condizionalmente sospesa (relativo ad una condanna a pena sospesa per fatti di bancarotta fraudolenta ed appropriazione indebita commessi nel 2011), ha richiamato, ritenendola “corretta e congrua” la decisione di primo grado, così disattendendo di esaminare il motivo di appello. Invero, dalla lettura della sentenza del Tribunale, risulta che “deve essere applicata la recidiva contestata che è sostanziata da una condanna … la quale giustifica l’aumento di pena”. L’aggravante, pertanto, è stata riconosciuta sul solo dato formale costituito dai precedenti penali, omettendosi qualsiasi richiamo alla negativa personalità dell’imputato.
In tema di recidiva facoltativa, per come affermato dalla Corte di legittimità, è invece richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274782 – 01. In motivazione la Corte ha chiarito che tale dovere risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato).
La fondatezza del motivo sulla recidiva consente al Collegio di rilevare la prescrizione già maturata in relazione ai furti di cui ai capi C) (“artt. 624, 625 n. 2 c.p.”) ed F) (“artt. 110, 624, 625 n. 2 c.p.”), l’ultimo dei quali commesso tra il 7 e 1’8 luglio 2014, nonostante 186 giorni di sospensione maturati in appello (64 gg. per rinvio dovuto all’emergenza COVID, due rinvii pari a giorni 61 ciascuno per legittimo impedimento degli imputati, ud. 25/02/2022 al 13/05/2022 e dal 13/05/2022 al 24/10/2022).
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, nei confronti del ricorrente:
senza rinvio in relazione ai reati di cui ai capi C) ed F) perché estinti per prescrizione, con eliminazione della relativa pena;
con rinvio in ordine al riconoscimento della contestata recidiva con riguardo al capo D).
Va, invece, dichiarato inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l’affermazione di responsabilità in ordine al capo D), tenuto conto del giudicato formatosi sull’accertamento del reato e dell’irrilevanza che, ai fini della prescrizione del reato, svolge la questione oggetto di rinvio, trattandosi di recidiva semplice che, ai sensi dell’art. 157, comma 2, cod. pen., non assume rilievo ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere.
La diversa sezione della Corte di appello di Firenze a cui saranno trasmessi gli atti, dopo avere rinnovato il giudizio sulla recidiva attenendosi al principio di diritt in precedenza richiamato, provvederà alla determinazione ex novo della pena in
ordine al restante ed unico delitto di ricettazione di cui al capo D), non potendosi al riguardo fare riferimento al calcolo operato dal giudice del merito in quanto per l’estorsione è stato operato un aumento in continuazione con i furti di cui ai capi C) ed F).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME in relazione ai reati di cui ai capi C) ed F) perché estinti per prescrizione, con eliminazione della relativa pena.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME in ordine al riconoscimento della contestata recidiva, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME 4. e irrevocabile l’affermazione di responsabilità di COGNOME NOME in ordine al reato di cui al capo D).
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 18 luglio 2024
nsore
Il Presidente