Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3650 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 3650  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2023
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Erice il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Palermo il 24/02/2023
visti gli atti ed esaminato il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni e la memoria dell’AVV_NOTAIO, difensore dell’imputato, che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1 La Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto NOME dal reato di cui all’art. 116, commi 15 e 17, del Codice della Strada, ma ha confermato il giudizio di responsabilità per il reato previsto dall’art. 336 cod. pen.
All’imputato è contestato, di avere minacciato, durante le operazioni di notifica dei verbali di contestazione delle violazioni al Codice della strada, il maresciallo NOME COGNOME al fine di fargli ommettere il compimento di un atto del suo ufficio.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato articolando due motivi.
2.1. Con il primo si deduce vizio di motivazione quanto alla ritenuta recidiva di cui all’art. 99, comma 4, cod. pen.
La Corte si sarebbe limitata ad affermare che, in assenza di elementi favorevoli per escludere l’esistenza di un “nesso criminoso personologico tra il fatto in contestazione e i precedenti penali riportati”, non vi sarebbero nella specie le condizioni per escludere la contestata recidiva (così il ricorso),
Una motivazione, a dire del ricorrente, viziata, essendo stata ritenuta la recidiva senza una valutazione in concreto sulla maggiore attitudine a delinquere del reo.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione del divieto di reformatio in peius.
La Corte di appello, nel calcolare l’aumento di pena per la recidiva, avrebbe erroneamente operato un aumento di pena di un terzo laddove il giudice di primo grado aveva operato in maniera errata un aumento inferiore ad un terzo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
 Quanto al primo motivo, la Corte ha valorizzato, oltre ai precedenti penali dell’imputato, il comportamento e la condotta in concreto tenuta al fine di ritenere- a di là della imprecisa formula lessicale usata – il reato commesso espressione di una attuale pericolosità sociale idonea a giustificare in concreto la recidiva.
Nulla specifico è stato dedotto, essendosi limitato il ricorrente a censurare sul piano formale solo una parte della motivazione, senza tuttavia confrontarsi con il ragionamento complessivo compiuto dalla Corte e senza spiegare perché, nella specie, la recidiva dovrebbe essere esclusa.
 È inammissibile anche il secondo motivo di ricorso in quanto manifestamente infondato.
Il Tribunale aveva determinato la pena infliggendo rispetto a quella base di sei mesi di reclusione per il reato di cui all’art. 336 cod. pen., prima un aumento di un mese di reclusione a titolo di continuazione con gli altri reati e poi aumentando la pena di t mesi di reclusione per la recidiva; sulla pena finale di dieci mesi di reclusione il Tribun aveva operato la riduzione di un terzo per la scelta del rito abbreviato, infliggendo una pena finale di sei mesi e giorni venti di reclusione.
Dunque un procedimento di determinazione della pena errato, essendo stato operato l’aumento di pena per la recidiva dopo quello per la continuazione tra gli originari rea contestati.
La Corte di appello, dopo aver assolto dal reato originariamente posto in continuazione, ha corretto il procedimento determinativo della pena e, rispetto alle pena base di sei mesi di reclusione- la stessa indicata dal Tribunale – ha inflitto un aumento per la recidiva di tre mesi di reclusione, cioè lo stesso aumento di pena irrogata dal Tribunale per la ritenuta circostanza aggravante
Dunque, nessuna violazione del divieto di reformatio in peius.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2023.