Recidiva e attenuanti: quando la valutazione del giudice è insindacabile
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema centrale del diritto penale: la valutazione della recidiva e attenuanti generiche. La decisione ribadisce un principio fondamentale: l’apprezzamento del giudice di merito sulla personalità dell’imputato e sulla sua pericolosità sociale, se sorretto da una motivazione logica e coerente, non può essere messo in discussione in sede di legittimità. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia.
I fatti di causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo contro una sentenza della Corte di Appello, la quale aveva confermato la sua condanna a un anno e due mesi di reclusione. La Corte territoriale aveva inoltre confermato l’applicazione della recidiva reiterata infraquinquennale e negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione lamentando un vizio di motivazione. In particolare, la difesa sosteneva che i giudici d’appello non avessero adeguatamente giustificato né il mantenimento della recidiva, né il diniego delle attenuanti.
La decisione della Corte di Cassazione sulla recidiva e attenuanti
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e basato su motivi ripetitivi e prettamente fattuali. Secondo gli Ermellini, il ricorrente non ha fatto altro che sollecitare una nuova valutazione degli elementi di fatto, attività preclusa al giudice di legittimità.
La Corte ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni
Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Cassazione ha respinto le censure del ricorrente, validando pienamente il ragionamento della Corte di Appello.
La valutazione della recidiva: non un fatto occasionale
La Cassazione ha evidenziato come la sentenza impugnata avesse fornito una motivazione specifica e puntuale sull’impossibilità di escludere la recidiva. La Corte di Appello aveva correttamente sottolineato che “le condanne antecedenti … costituiscono un antecedente fattuale che qualifica la maggior colpevolezza dell’imputato”.
Secondo i giudici di merito, i precedenti penali non erano un mero dato anagrafico, ma un indice concreto della “immutata se non ingravescente pericolosità sociale” dell’individuo. La condotta delittuosa non appariva quindi come un episodio isolato, ma come l’espressione di una “specifica attitudine” a delinquere. Questa valutazione, essendo logica e ben argomentata, non è sindacabile in Cassazione.
Il diniego delle attenuanti e la personalità dell’imputato
Anche riguardo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la motivazione è stata ritenuta ineccepibile. La Corte territoriale aveva chiarito che non erano emersi elementi positivi a favore dell’imputato. Al contrario, avevano assunto un rilievo decisivo e negativo sia la condotta tenuta, sia la sua “allarmante personalità”. Di fronte a una simile argomentazione, scevra da vizi logici, il ricorso si è risolto in una sterile richiesta di riconsiderazione dei fatti.
Conclusioni
Questa ordinanza riafferma con forza i limiti del sindacato della Corte di Cassazione. La valutazione discrezionale del giudice di merito sulla concessione delle attenuanti e sull’applicazione della recidiva è insindacabile se basata su una motivazione coerente, non contraddittoria e non manifestamente illogica. La personalità dell’imputato e la sua storia criminale restano elementi centrali per il giudizio, capaci di orientare la decisione del giudice sulla commisurazione della pena e sulla valutazione della pericolosità sociale, impedendo che il reato venga considerato un mero fatto episodico.
Perché la Corte di Cassazione ha confermato l’applicazione della recidiva?
La Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte di Appello fosse adeguata, poiché collegava correttamente i precedenti penali dell’imputato a una maggiore colpevolezza e a una “immutata se non ingravescente pericolosità sociale”, dimostrando una specifica attitudine a delinquere e non un comportamento occasionale.
Su quali basi sono state negate le circostanze attenuanti generiche?
Le attenuanti generiche sono state negate perché i giudici non hanno riscontrato alcun elemento positivo meritevole di considerazione. Al contrario, hanno attribuito un peso decisivo alla condotta dell’imputato e alla sua “allarmante personalità”.
Per quale motivo il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto manifestamente infondato. Le argomentazioni presentate erano una semplice ripetizione di quelle già esaminate in appello e miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20656 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20656 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/06/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti;
Esaminati il ricorso e la sentenza indicata in epigrafe, emessa dalla Corte di appello di Catania, che ha confermato il riconoscimento della recidiva reiterata infraquinquennale applicata dal Tribunale di Catania, in relazione all’affermazione di penale responsabilità di NOME COGNOME e alla condanna del medesimo alla pena di anni uno e mesi due di reclusione, per il reato di cui all’art. 75 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159;
Rilevato che – avverso tale sentenza – COGNOME ricorre per cassazione tramite il difensore AVV_NOTAIO, deducendo vizio di motivazione, quanto alla mancata esclusione della recidiva e con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La difesa si duole che non sia stata esclusa la recidiva contestata, come già invocato in sede di gravame e lamenta che non siano state esplicitate le ragioni poste a fondamento del diniego delle circostanze ex art. 62 -bis cod. pen.;
Ritenuto che il ricorso sia inammissibile, in quanto manifestamente infondato e proposto per motivi reiterativi e interamente versati in fatto, dunque non consentiti. Invero, senza dubbio specifica risulta la motivazione della sentenza impugnata, in ordine all’impossibilità di escludere la recidiva contestata considerata dal primo Giudice. Rileva al riguardo la Corte territoriale che: “le condanne antecedenti annoverate dal COGNOME …. Costituiscono un antecedente fattuale che qualifica la maggior colpevolezza dell’imputato nella sua ricaduta nei fatti-reato di cui trattasi e la sua immutata se non ingravescente pericolosità sociale … tale che la condotta delittuosa di cui si discute non appare occasionale o episodica ma indice della specifica attitudine …”;
Rilevato poi che la sentenza impugnata sottolinea come elementi positivi, in punto di concessione delle circostanze attenuanti generiche, non siano rinvenibili, assumendo invece rilievo dirimente tanto la condotta serbata dall’imputato, quanto la sua allarmante personalità;
Ritenuto che, a fronte di dette argomentazioni, scevre da vizi logici e giuridici, il ricorrente insiste, in maniera aspecifica, sugli stessi rilievi svolti in appello, co quali la Corte territoriale risulta essersi ampiamente confrontata, sollecitando una mera rivalutazione di elementi fattuali, in questa sede non consentita;
Ritenuto che alla dichiarazione di inammissibilità debba conseguire, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024.