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Recidiva: Cassazione annulla pena per motivazione assente

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di diversi imputati per reati di droga, confermando le condanne. Tuttavia, annulla con rinvio la sentenza per un imputato, poiché l’aumento di pena per la recidiva non era stato adeguatamente motivato, mancando una valutazione concreta della maggiore pericolosità sociale.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva: Quando la Motivazione è Tutto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale del diritto penale: l’aumento di pena per la recidiva non è automatico, ma richiede una motivazione specifica e concreta da parte del giudice. Il caso in esame, che vedeva coinvolti sei imputati condannati per reati legati agli stupefacenti, si è concluso con la dichiarazione di inammissibilità per la maggior parte dei ricorsi, ma con un importante annullamento con rinvio per uno di essi, proprio a causa di una motivazione carente sulla recidiva. Questa decisione offre spunti cruciali sulla differenza tra un riesame del merito, precluso in Cassazione, e un controllo sulla legittimità della decisione.

I fatti di causa e il percorso processuale

I sei imputati erano stati condannati in primo e secondo grado per diverse ipotesi di reato previste dall’art. 73 del D.P.R. 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti). La Corte d’Appello di Messina aveva parzialmente riformato la prima sentenza, rideterminando le pene. Contro questa decisione, tutti gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando una serie di doglianze. I motivi spaziavano dalla presunta erronea valutazione delle prove (in particolare le intercettazioni) alla richiesta di riqualificare i reati nell’ipotesi di lieve entità, fino alla contestazione del trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo, e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

I motivi del ricorso: tra merito e legittimità

La difesa degli imputati ha tentato di smontare l’impianto accusatorio, sostenendo che le condanne si basassero su mere congetture e non su prove solide. È stato contestato il coinvolgimento di alcuni imputati, la mancata riqualificazione del fatto come spaccio di lieve entità (nonostante l’occasionalità delle forniture, a loro dire) e, per un imputato in particolare, l’applicazione della recidiva reiterata e infraquinquennale senza un’adeguata giustificazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha adottato una decisione netta, distinguendo chiaramente tra i vari motivi di ricorso.

La maggior parte dei ricorsi dichiarati inammissibili

Per quasi tutti gli imputati, i ricorsi sono stati giudicati inammissibili. La Corte ha spiegato che le censure proposte erano in realtà un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, un’operazione che non rientra nei poteri del giudice di legittimità. Essendo in presenza di una “doppia conforme” (condanna sia in primo che in secondo grado), e dato che la motivazione della Corte d’Appello era logica e priva di vizi evidenti, la Cassazione non poteva sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito. Sono state respinte anche le richieste di riqualificazione del reato in fatto di lieve entità, poiché le modalità operative (come l’uso di un’ambulanza durante il lockdown per il trasporto della droga) indicavano una professionalità e una gravità incompatibili con tale ipotesi meno grave.

Il punto cruciale: la carenza di motivazione sulla recidiva

L’unico motivo di ricorso accolto è stato quello relativo all’applicazione della recidiva. La Corte ha rilevato che i giudici d’appello avevano aumentato la pena per uno degli imputati basandosi su un generico riferimento ai suoi precedenti penali. Questo, secondo la Cassazione, non è sufficiente. Il giudice che applica l’aumento di pena per la recidiva ha l’obbligo di spiegare in modo concreto perché la nuova condotta criminale sia un indicatore di una maggiore e perdurante capacità a delinquere. Non basta constatare l’esistenza di precedenti condanne; è necessario analizzare il rapporto tra il reato passato e quello presente, valutando se il nuovo delitto sia effettivamente sintomo di una pericolosità sociale accentuata che giustifichi un trattamento sanzionatorio più severo.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale, rafforzato anche da una pronuncia della Corte Costituzionale (sent. n. 185/2015). L’aumento di pena per la recidiva non è una conseguenza automatica della presenza di precedenti, ma rientra nel potere discrezionale del giudice. Tale potere, tuttavia, deve essere esercitato attraverso una motivazione adeguata che dia conto dell’effettiva significatività del nuovo episodio delittuoso. Il giudice deve esaminare, sulla base dei criteri dell’art. 133 c.p., il legame tra i fatti e le precedenti condanne, verificando se la pregressa condotta sia indicativa di una persistente inclinazione al delitto che ha influito sulla commissione del nuovo reato. Una motivazione assente o meramente apparente su questo punto vizia la sentenza e ne impone l’annullamento.

le conclusioni

La sentenza in esame è un importante promemoria del rigore richiesto nella motivazione delle decisioni giudiziarie, specialmente quando incidono sulla libertà personale attraverso l’inasprimento della pena. Mentre la valutazione dei fatti è riservata ai giudici di merito, il controllo sulla logicità e completezza della motivazione è una prerogativa fondamentale della Corte di Cassazione. In questo caso, pur confermando l’impianto accusatorio, la Corte ha censurato l’applicazione automatica di un istituto come la recidiva, annullando la sentenza su quel punto e rinviando a un nuovo giudice d’appello per una valutazione più approfondita e, soprattutto, adeguatamente motivata.

Perché la maggior parte dei ricorsi è stata dichiarata inammissibile?
Perché le censure presentate dagli imputati non riguardavano violazioni di legge o vizi logici della motivazione, ma miravano a ottenere una nuova valutazione delle prove e una ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dai giudici di primo e secondo grado. Questo tipo di riesame del merito è precluso in sede di legittimità, dove la Corte di Cassazione può solo controllare la corretta applicazione della legge.

Perché è stata annullata la sentenza per un solo imputato e solo riguardo alla recidiva?
La sentenza è stata annullata su questo specifico punto perché la Corte d’Appello ha applicato l’aumento di pena per la recidiva senza fornire una motivazione adeguata. Non è sufficiente un generico riferimento ai precedenti penali; il giudice deve spiegare in modo concreto perché il nuovo reato dimostra una maggiore pericolosità sociale dell’imputato, giustificando così una pena più severa. La mancanza di questa specifica motivazione costituisce un vizio di legittimità.

Cosa deve fare il giudice per applicare correttamente l’aumento di pena per la recidiva?
Il giudice non può limitarsi a constatare l’esistenza di precedenti condanne. Deve effettuare una valutazione concreta, basata sui criteri dell’art. 133 del codice penale, per verificare se esista un rapporto significativo tra il nuovo reato e le condanne passate. Deve motivare specificamente in che modo la nuova condotta riveli una maggiore capacità a delinquere e una persistente inclinazione al crimine, tale da giustificare l’aumento della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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