Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25148 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25148 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 28/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a REGGIO CALABRIA il 13/05/1971 COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 21/11/1986 NOME COGNOME nato a MELITO DI PORTO SALVO il 02/09/2000 COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 01/06/1990 COGNOME NOME nato a MANDANICI il 23/08/1987 NOME nato a MESSINA il 28/01/1969
avverso la sentenza del 10/06/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluiga chiedendo il rigetto dei ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e per l’inammissibilità dei ricorsi proposti da COGNOME e NOME COGNOME. E’ presente l’Avvocato NOME COGNOME del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di NOME COGNOME il quale spiega le motivazioni poste alla base del ricorso e e ne chiede l’integrale accoglimento.
E’ presente l’Avvocato COGNOME NOME del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di COGNOME il quale evidenzia le proprie ragioni ed insiste per l’accoglimento del ricorso. E’ presente l’Avvocato COGNOME del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME il quale rileva le proprie motivazioni ed
insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 giugno 2024 la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia del G.U.P. del locale Tribunale del 26 aprile 2023, ha rideterminato la pena inflitta nei confronti di: COGNOME NOME in anni sei, mesi otto di reclusione ed euro 32.000 di multa; COGNOME NOME in anni quattro, mesi otto di reclusione ed euro 24.000 di multa; COGNOME NOME NOME in anni tre di reclusione ed euro 14.200 di multa; COGNOME NOME in anni sei di reclusione ed euro 24.000 di multa; COGNOME NOME in anni quattro di reclusione ed euro 18.000 di multa; COGNOME NOME in anni tre di reclusione ed euro 20.000 di multa. I suddetti imputati sono stati condannati per le varie ipotesi di reato loro distintamente ascritte, tutte di rilievo ai sensi dell’art. 73 D.P.R ottobre 1990, n. 309.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Messina hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei loro rispettivi difensori, tutti i suddett imputati, deducendo i motivi di impugnazione di seguito enunciati ai sensi dell’art. 173, comma 1, cod. proc. pen.
COGNOME NOME ha eccepito due motivi di doglianza, con il primo dei quali ha lamentato vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla ricorrenza della sua responsabilità penale per i tre reati ascrittigli.
Con riguardo, in primo luogo, all’imputazione rubricata al capo 1), avrebbero errato i giudici di merito nel desumere il suo coinvolgimento nell’attività di cessione dello stupefacente al Cuscinà dal mero esame di conversazioni captate, dalle quali, invece, non emergerebbe nessuna condotta imputabile al ricorrente, non essendovi mai un diretto riferimento alla sua persona.
Allo stesso modo, con riferimento ai delitti di cessione di sostanza stupefacente contestati ai capi 2) e 3), il COGNOME sarebbe stato autore di condotte solo marginali e passive, inidonee a configurare la sua responsabilità penale, dalle quali sarebbero state evinte, peraltro, mere deduzioni presuntive, prive di un adeguato rilievo probatorio oltre ogni ragionevole dubbio.
Con la seconda doglianza il ricorrente ha dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla mancata concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, di cui ricorrerebbero i presupposti applicativi, tenuto conto del ruolo estremamente marginale da lui ricoperto.
COGNOME NOME ha proposto tre motivi di censura, con il primo dei quali ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al disposto riconoscimento della sua responsabilità penale per i reati ascrittigli ai capi 7) e 8) di imputazione.
La Corte di merito avrebbe, infatti, fondato il disposto giudizio di colpevolezza su mere illazioni e congetture, prive di adeguati riscontri nel panorama probatorio in atti, così incorrendo nel vizio della manifesta illogicità della motivazione. Tali congetture avrebbero, in particolare, riguardato: il mancato rinvenimento del denaro sulla persona del ricorrente; l’assenza di contatti e intercettazioni tra il COGNOME e il COGNOME; la rilevanza delle dichiarazi rese da parte di due collaboratori di giustizia, dalle quali si evincerebbe come l’imputato non fosse fornitore del Cuscinà; la richiesta di assoluzione del ricorrente avanzata in un parallelo procedimento penale.
Con la seconda doglianza il COGNOME ha eccepito violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla mancata riqualificazione dei fatti contestatigli nell’ipotesi criminosa di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, atteso che l’occasionalità della fornitura di droga in favore del Cuscinà e la modestia della sostanza effettivamente ceduta giustificherebbero la configurazione dell’ipotesi della lieve entità. Ciò, d’altro canto, risulterebbe confortato da mancanza di riscontri sul quantitativo di droga effettivamente ceduto dal COGNOME, dall’assenza di ogni suo contatto con fornitori all’ingrosso e dalla mancanza di una disponibilità economica tale da consentirgli di procurarsi stabilmente apprezzabili quantitativi di stupefacente.
Con il terzo motivo, infine, il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio inflittogli, da ritenersi eccessivo in relazione alle condotte da lui effettivamente perpetrate, nonché con riguardo all’omessa concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, peraltro lamentandosi che il relativo mancato riconoscimento sia avvenuto con motivazione generica e cumulativa, senza analizzare le singole posizioni dei vari imputati.
5. COGNOME NOME COGNOME ha dedotto tre motivi di ricorso, con il primo dei quali ha eccepito violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al disposto riconoscimento della sua responsabilità penale per i reati ascrittigli ai capi 7) e 8), non essendo ravvisabile un suo contributo attivo e consapevole alle attività di cessione di sostanza stupefacente.
Sarebbe, infatti, contraddittoria e illogica la motivazione con cui è stata ritenuta la sussistenza di una condotta concorsuale da lui effettivamente perpetrata, erroneamente evinta dal mero rapporto di parentela avuto con il
coimputato COGNOME NOME, senza considerare, peraltro, che la sua presenza sull’autoambulanza, in occasione dei fatti, sarebbe stata unicamente dovuta al previsto espletamento delle sue incombenze lavorative, in quanto assunto dallo zio con mansioni di autista.
Non vi sarebbe prova alcuna, pertanto, del suo effettivo coinvolgimento nella perpetrazione degli illeciti, potendo, al più, essere considerata la sua condotta quale ipotesi di connivenza non punibile.
Con la seconda doglianza sono state dedotte violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla mancata riqualificazione dei fatti nell’ipotesi criminosa di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, atteso che l’occasionalità della fornitura di droga effettuata al Cuscinà giustificherebbe i riconoscimento della fattispecie della lieve entità.
Con la terza censura il COGNOME ha lamentato violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio applicatogli, per essere stata erroneamente determinata, senza la previsione di un’adeguata motivazione, la pena base in misura distante dal minimo edittale e per essere stato effettuato in modo eccessivo l’aumento di pena previsto per il reato posto in continuazione.
COGNOME NOME ha proposto due motivi di censura, con il primo dei quali ha eccepito, in maniera articolata, violazione di legge e vizio di motivazione, per essere stati erroneamente ritenuti integrati gli elementi costitutivi del reato d cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina contestatogli al capo 9), invece da ritenersi del tutto insussistenti, nonché per non essere stato riqualificato il suddetto reato nelle più gradate ipotesi di cui ai commi 5 o 4 dell’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990.
Non vi sarebbe prova, infatti, né del fatto che il Sulas avesse consegnato della droga al Cuscinà, né che quest’ultimo gli avesse poi corrisposto, in controprestazione, una somma di denaro. Mancherebbe, infatti, ogni elemento di riscontro al riguardo, ben potendo la condotta del Sulas essere considerata quale attività di favoreggiamento conseguente ad una cessione di stupefacente da altri effettuata.
La circostanza, poi, che la tipologia e il quantitativo di droga ceduta non siano noti renderebbe consequenziale disporre, anche in applicazione del principio del favor rei, la derubricazione dell’illecito ascrittogli nelle più favorevoli ipotesi previste dai commi 4 o 5 dell’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990.
Con la seconda doglianza il ricorrente ha eccepito violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 99, comma 4, cod. pen., per essere stata erroneamente applicata la recidiva reiterata e infraquinquennale, senza
l’adozione di una motivazione adeguata, esplicativa delle ragioni di ricorrenza di una sua accentuata pericolosità sociale.
COGNOME NOME ha proposto due motivi di censura, con il primo dei quali ha lamentato violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al disposto di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen.
Sarebbe del tutto erronea, infatti, la modalità con cui i giudici di merito hanno ritenuto di evincere la responsabilità del prevenuto dalla sola ricorrenza di un credito avente ad oggetto una somma di denaro vantata nei confronti del Cuscinà, non essendo da ciò desumibile, oltre ogni ragionevole dubbio, che la stessa rappresentasse il corrispettivo di una fornitura di droga precedentemente effettuata. La motivazione sarebbe, pertanto, meramente assertiva, in quanto priva di argomenti probatori validi e logici.
Con la seconda doglianza il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando l’omessa riqualificazione del reato ascrittogli nella fattispecie prevista dall’art. 73, comma 4, D.P.R. n. 309 del 1990.
La genericità dell’imputazione, nella quale non sono stati precisati né la quantità né la qualità della droga ceduta, dovrebbero indurre infatti, in applicazione del principio del favor rei, a riqualificare il delitto nella più lieve ipotesi invocata, non assumendo rilievo, in senso contrario, l’entità del prezzo concretamente pagato per l’acquisto dello stupefacente.
COGNOME NOMECOGNOME infine, ha proposto due diversi ricorsi per cassazione, a firma di due distinti difensori.
8.1. Con la prima impugnazione ha dedotto due motivi di ricorso, con il primo dei quali ha lamentato violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’omessa riqualificazione dei reati contestatigli ai capi 12) e 13) nell’ipotes prevista dall’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990.
Avrebbero errato, infatti, i giudici di merito per non aver configurato le indicate fattispecie quali ipotesi di lieve entità, pur a fronte di episodi di spacc riguardanti droga di tipologia e quantità mai accertata.
La sporadica modalità delle cessioni effettuate dal COGNOME, e quindi l’attività di piccolo spaccio da lui perpetrata, avrebbero dovuto determinare, dunque, la riqualificazione dei fatti a lui ascritti ai sensi della norma dell’art. 73, comma D.P.R. n. 309 del 1990.
Con la seconda doglianza il ricorrente ha eccepito vizio di motivazione e violazione di legge con riguardo alla mancata concessione in suo favore della circostanza attenuante comune del conseguimento di un lucro di speciale tenuità, ex art. 62 n. 4 cod. pen., della quale ricorrerebbero i presupposti applicativi.
8.2. Con il secondo ricorso per cassazione COGNOME NOME ha dedotto quattro motivi di doglianza, con il primo dei quali ha lamentato vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 544 cod. proc. pen., eccependo che la sentenza impugnata sarebbe priva di motivazione in quanto pronunciata solo per reationem a quella di primo grado, senza, tuttavia, provvedere in modo effettivo all’esame delle doglianze dedotte con i motivi di appello.
Con la seconda censura il COGNOME ha lamentato vizio di motivazione e violazione di legge in ordine al disposto erroneo riconoscimento della sua responsabilità penale per i delitti contestatigli ai capi 12) e 13) della rubrica.
Tale giudizio sarebbe stato espresso, infatti, con motivazione illogica e contraddittoria, nonché con travisamento probatorio, essendo stato sottoposto a condanna sulla scorta di elementi di riscontro inidonei a esprimere una certezza oltre ogni ragionevole dubbio della sua partecipazione, anche a titolo di concorso morale, nelle condotte di cessione ascrittegli.
Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge in relazione all’art. 62-bis cod. pen., lamentando l’omessa concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, pur nella ricorrenza di elementi idonei a consentirne il relativo riconoscimento.
Con l’ultima doglianza, infine, è stata eccepita violazione di legge in relazione alla dosimetria della pena, essendone stata applicata una di entità sproporzionata rispetto ai fatti a lui contestati, senza, peraltro, l’indicazione d criteri ex art. 133 cod. pen. osservati ai fini della relativa sua determinazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio ritiene di accogliere, in quanto fondata, la censura di COGNOME Daniele relativa alla ritenuta recidiva, con conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata sul punto, invece dovendo essere dichiarata l’inammissibilità nel resto degli ulteriori motivi di ricorso eccepiti, così come tutti quelli dedotti da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME Giuliano, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
In primo luogo deve essere rilevato come tutti i vizi dedotti dagli imputati con riferimento al disposto riconoscimento della loro responsabilità penale in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti – primo motivo di ricorso d COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME Giuliano, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché seconda censura eccepita da COGNOME COGNOME nel secondo ricorso per cassazione da lui proposto – afferiscano ad aspetti
unicamente riguardanti il merito, e cioè all’apparato motivazionale con cui è stata ritenuta l’avvenuta integrazione da parte dei prevenuti delle singole fattispecie criminose loro rispettivamente ascritte in materia di stupefacenti.
La precedente analitica esplicitazione dei singoli motivi di ricorso, in uno con la tecnica argomentativa della sentenza di appello che ha confutato le varie deduzioni difensive, peraltro in ipotesi di c.d. «doppia conforme» pronuncia di riconoscimento della responsabilità penale, consente di evidenziare, in questa sede, la presenza di comuni profili di infondatezza, trasversali alle varie questioni eccepite con le diverse doglianze.
Esse risultano, infatti, reiterative di censure già dedotte con gli atti appello e motivatamente respinte dai giudici di secondo grado, conseguentemente rendendo i proposti motivi di ricorso privi di un adeguato confronto critico con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
In ogni modo, i suddetti motivi, con cui è stato sindacato l’apparato motivazionale riguardante l’accertamento della responsabilità penale degli imputati, afferiscono alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione delle prov assunte, e cioè a questioni non passibili di valutazione in questa sede di legittimità.
In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito di questo Collegio non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì quell stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi – dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti – e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, tra l tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428-01).
Esula, quindi, dai poteri della Corte la rilettura della ricostruzione storica de fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l’illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME e altri, Rv. 207944-01).
Sono precluse al giudice di legittimità, pertanto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal
ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i moltep arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 28060101; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507-01). E’, conseguentemente, sottratta al sindacato di legittimità la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento.
Le generiche argomentazioni di dissenso espresse dai ricorrenti nelle varie censure indicate propongono, quindi, solo una rivalutazione fattuale delle emergenze scaturite dall’esame delle conversazioni captate, nonché da altre risultanze probatorie presenti in atti, mediante cui i giudici di appello, adottando un’argomentazione logica e congrua, esente dai dedotti vizi, hanno desunto la ricorrenza della penale responsabilità dei prevenuti in ordine alle ipotesi criminose loro rispettivamente ascritte.
Nelle proposte doglianze, inoltre, è ravvisabile anche il tentativo di effettuare una diversa considerazione delle risultanze scaturite dalle conversazioni captate, rispetto a come interpretate, con apparato motivazionale privo di manifesta illogicità, da parte dei giudici di merito.
In materia di intercettazioni telefoniche, infatti, costituisce questione d fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337-01). Ne consegue che la prospettazione di un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito è ammissibile in sede di legittimità solo in presenza del travisamento della prova, ossia nel caso – non ricorrente nel caso di specie – in cui sia stato indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558-01).
Priva di ogni pregio è, poi, la censura con cui COGNOME COGNOME nel primo motivo del secondo ricorso per cassazione presentato, ha lamentato carenza motivazionale, per avere la Corte territoriale fatto solo richiamo per relationem alle argomentazioni rese da parte del primo giudice, senza tener conto degli specifici motivi di doglianza eccepiti con l’atto di appello.
Orbene, l’indicata censura non solo si palesa generica e assertiva, per non avere indicato in modo specifico le presunte censure non vagliate da parte del secondo giudice, ma appare, altresì, contraddetta dalla motivazione con cui la
Corte territoriale, sia pur nella sintesi, ha adeguatamente evidenziato i vari riscontri probatori e le argomentazioni logiche da cui ha desunto, in modo congruo ed esente da vizio alcuno, la ricorrenza della penale responsabilità dell’imputato in ordine alle fattispecie criminose ascrittegli.
Manifestamente infondata è anche la seconda censura eccepita da COGNOME Maurizio, relativa alla mancata riqualificazione del reato contestatogli nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 4, D.P.R. n. 309 del 1990, sul presupposto che, giusta applicazione del principio del favor rei, si sarebbe trattato della cessione di sostanza stupefacente di qualità non determinata.
Orbene, a fronte dell’indicata doglianza, assume decisivo rilievo la circostanza, adeguatamente evidenziata dai giudici di appello, con motivazione esente da vizi, per cui l’entità della somma (pari a euro 2.300,00) ricevuta dal COGNOME quale corrispettivo dello stupefacente ceduto consente di comprendere come oggetto dell’acquisto non potesse essere droga leggera.
In ragione dell’indicata motivazione, allora, non appare esservi dubbio di sorta in ordine al fatto che la Corte di merito abbia fornito adeguata e logica motivazione circa le risultanze fattuali considerate ai fini del riconoscimento della penale responsabilità dell’imputato per il delitto contestatogli ai sensi dell’art. 73 comma 1, D.P.R. n. 309 del 1990, rispetto a cui la censura del ricorrente si appalesa come sostanzialmente finalizzata solo ad ottenere una rivalutazione del materiale probatorio raccolto nelle fasi di merito, il che, avuto riguardo alla coerenza e alla logicità della motivazione espressa, fa ritenere la stessa del tutto priva di pregio.
Deve, poi, essere ritenuta la manifesta infondatezza delle censure con cui COGNOME NOME (secondo motivo di ricorso), COGNOME NOME COGNOME (secondo motivo di ricorso), COGNOME NOME (prima doglianza) e COGNOME NOME (primo motivo del primo ricorso per cassazione proposto) hanno eccepito l’illegittimità della motivazione con cui i giudici di merito hanno ritenuto di no riconoscere, rispetto ai reati loro rispettivamente contestati, la più lieve ipotesi cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990.
In proposito, infatti, deve darsi conto dell’indirizzo interpretativo espresso dalla giurisprudenza di legittimità per cui il riconoscimento dell’indicata fattispecie richiede un’adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza con riferimento al grado di purezza, in modo da pervenire all’affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali di offensività e proporzionalità dell pena (cfr. Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271959-01),
per cui il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, e, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità (così, tra le tante, Sez. n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256610-01).
E’ necessario, cioè, che la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 costituisca l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua entit alla luce dei criteri normativizzati e che tale percorso valutativo, così ricostruit si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata solo ad alcuni di essi.
Ciò premesso in punto di diritto, deve ritenersi, allora, che, nel caso di specie, la Corte territoriale abbia offerto una motivazione pienamente adeguata in ordine al disposto diniego del riconoscimento della fattispecie della lieve entità in favore dei suddetti imputati, essendo stati posti in rilievo aspetti rivelato della finalità di spaccio e della professionalità con cui lo stesso veniva svolto da parte degli imputati, altresì evidenziando come le condotte da ciascuno tenute fossero espressive di una certa dimestichezza con il settore degli stupefacenti nonché della contiguità con persone dedite all’attività di spaccio, peraltro conseguendo somme incompatibili con la cessione di modesti quantitativi di droga.
Con riferimento a COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME, poi, la Corte di merito ha congruamente esplicato come, a prescindere dalla corretta individuazione della natura e della quantità dello stupefacente ceduto, nonché del corrispettivo conseguito, debba essere esclusa l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 in ragione della logica considerazione per cui «non sarebbero certo state affrontate due trasferte rischiose, con l’uso scaltro dell’ambulanza posseduta per ragioni di lavoro, in un periodo particolare come quello del lockdown, per recapitare minimi quantitativi di droga o conseguire esigui guadagni».
In modo palesemente adeguato, quindi, la Corte di appello ha del tutto correttamente mostrato di aver valutato i plurimi e variegati dati probatori disponibili, negando la ricorrenza del fatto di lieve entità sulla base di elementi cui ha ritenuto di attribuire una rilevanza maggiormente significativa rispetto ad altri ai fini dell’esclusione della minima offensività.
Priva di ogni fondamento è, poi, la censura con cui COGNOME COGNOME nel secondo motivo del primo ricorso per cassazione presentato, ha dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla mancata concessione in suo favore della circostanza del conseguimento di un lucro di speciale tenuità, di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.
La Corte territoriale ha ritenuto di escludere l’indicata attenuante sul presupposto che, nel caso di specie, non sussistono elementi evincibili dagli atti processuali da cui desumere che la · droga acquisita dal prevenuto per l’effettuazione di successive cessioni fosse di quantità limitata, con conseguente possibilità di ottenere un lucro particolarmente modesto.
Orbene, tale argomentazione si pone in termini coerenti rispetto all’interpretazione, reiteratamente espressa da parte di questa Corte di legittimità, per cui la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effet pregiudizievoli che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della “res”, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (così, espressamente: Sez. 2, n. 5049 del 22/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280615-01; Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241-01).
Risulta, pertanto, logica e congrua la valutazione con cui il giudice di merito ha ritenuto che l’indimostrato quantitativo di droga destinato allo spaccio non potesse, comunque, corrispondere al valore economico irrisorio richiesto dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della concessione dell’attenuante ex art. 62 n. 4 cod. pen., così da precluderne il relativo riconoscimento.
Per come in precedenza accennato, è, invece, fondata e meritevole di accoglimento la seconda doglianza eccepita da parte di COGNOME Daniele, concernente la disposta applicazione nei suoi confronti della recidiva reiterata e infraquinquennale, per carenza di una congrua motivazione sul punto e, quindi, di un’effettiva valutazione di essa in termini concreti rispetto alla posizione del prevenuto, essendo presente in sentenza solo un generico riferimento all’esistenza di precedenti penali gravanti a carico degli imputati.
La Corte di appello, infatti, ha ritenuto di poter applicare l’indicata recidiva senza operare nessuna specifica valutazione sul punto, esplicando in concreto le ragioni dell’accresciuta pericolosità sociale del Sulas, palesata con la commissione del delitto oggetto del presente giudizio.
Nondimeno, considerato che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva rientra nell’esercizio dei poteri discrezionali del giudice, che ne deve fornire adeguata motivazione con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta a rivelare la maggior capacità a delinquere dell’imputato, tale da giustificare l’aumento di pena, il giudice non può esimersi dalla concreta verifica in ordine alla sussistenza degli elementi indicativi di una maggiore capacità a delinquere del reo – anche considerato che con la sentenza n. 185/2015 la Corte Costituzionale ha escluso che l’aumento di pena possa essere correlato ad una presunzione di maggiore pericolosità del reo, anche per le ipotesi di recidiva obbligatoria di cui all’art. 99, comma 5 cod. pen., senza alcun accertamento concreto della effettiva significatività del nuovo episodio delittuoso -.
Peraltro, alla stregua di quanto affermato da questa Corte di legittimità, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per il delitto a carico dell’imputat la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapport esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (così, tra le tante, Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270419-01; ma cfr. anche, in termini conformi, Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, P.G., COGNOME, Rv. 247838-01).
8. Con riferimento, quindi, alla doglianza con cui COGNOME Pasquale (secondo motivo di ricorso), COGNOME NOME (terza censura) e COGNOME NOME (terzo motivo del secondo ricorso per cassazione) hanno eccepito il mancato riconoscimento in loro favore delle circostanze attenuanti generiche, peraltro effettuato per il tramite di una motivazione generica e cumulativa riguardante la posizione di più imputati, il Collegio osserva come la, sia pur stringata, motivazione resa dalla Corte territoriale comunque ben rappresenti e giustifichi, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto d negare il riconoscimento del beneficio ex art. 62-bis cod. pen. a tutti gli imputati – con la sola eccezione di COGNOME NOME – precisando di non ravvisare in loro favore la ricorrenza di alcun elemento positivamente apprezzabile a tal fine.
Trattasi di motivazione che non palesa vizi logici e che si pone in coerenza con le emergenze processuali acquisite, con motivazione, pertanto, non
sindacabile in questa sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME e altri, Rv. 242419-01).
D’altro canto – in particolare dopo la modifica dell’art. 62-bis cod. pen. disposta dal d.l. 23 maggio 2008, n. 2002, convertito con modifiche dalla I. 24 luglio 2008, n. 125 – è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dare conto, come avvenuto nella situazione in esame, di avere valutato e applicato i criteri ex art. 133 cod. pen. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di tale adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da imporre un obbligo per il giudice, ove ritenga di escluderla, di doverne giustificare, sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (così, tra le tante, Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381-01). In altri termini, l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, COGNOME ed altro, Rv. 245241-01).
Manifestamente infondata, infine, è anche la censura con cui COGNOME NOME (terzo motivo di ricorso), COGNOME NOME COGNOME (terza doglianza) e COGNOME NOME (quarta censura del secondo ricorso per cassazione proposto) hanno lamentato l’eccessiva entità del trattamento sanzionatorio loro rispettivamente inflitto, in quanto contraddetta dalla logicità e adeguatezza con cui la Corte di appello, diversamente da quanto eccepito da parte dei ricorrenti, ha rappresentato le ragioni per cui ha ritenuto la congruità della sanzione nei loro confronti applicata, in quanto conforme alla effettiva gravità dei fatt integrati.
L’indicata motivazione prevede, pertanto, un indubbio – per quanto implicito – riferimento alla norma dell’art. 133 cod. pen., dei cui parametri è evidente che il giudice di merito abbia tenuto conto ai fini dell’effettuazione della sua valutazione.
Si tratta, pertanto, di una motivazione che, in quanto immune da vizi logici e coerente con il
dictum della sentenza, non può in questa sede essere
censurata.
In ogni modo, una specifica e dettagliata motivazione in merito ai criteri seguiti dal giudice nella determinazione della pena si richiede solo nel caso in cui
la sanzione sia quantificata in misura prossima al massimo edittale o comunque superiore alla media, risultando insindacabile, in quanto riservata al giudice di
merito, la scelta implicitamente basata sui criteri di cui all’art. 133 cod. pen. d irrogare una pena – come nel caso di specie – in misura media o prossima al
minimo edittale (così, tra le altre: Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME Rv.
271243-01; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 258356-01; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464-01; Sez. 4, n. 21294 del
20/03/2013, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 256197-01).
10. In conclusione, in accoglimento della seconda censura dedotta da COGNOME
NOME deve essere disposto l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti del suddetto imputato limitatamente alla ritenuta recidiva, rinviando per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Messina, nel resto dovendo essere dichiarata, invece, l’inammissibilità degli ulteriori motivi di ricorso eccepiti da parte dell’imputato.
Devono essere dichiarati inammissibili, inoltre, i ricorsi di COGNOME Pasquale, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME, COGNOME Maurizio e COGNOME NOMECOGNOME con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla ritenuta recidiva e rinvia sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Messina. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del Sulas. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 28 marzo 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente