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Recesso attivo: quando non si applica nel tentato reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato per tentata rapina, escludendo l’applicazione del recesso attivo. La Corte ha chiarito che l’abbandono del bene non fu una scelta volontaria, ma una conseguenza della colluttazione con la vittima, un fattore esterno che ne ha impedito il riconoscimento.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recesso Attivo: La Scelta Deve Essere Volontaria, non Indotta da Fattori Esterni

Il recesso attivo, previsto dall’articolo 56, comma 4, del codice penale, rappresenta una circostanza che può portare a una significativa riduzione della pena per chi, dopo aver iniziato un’azione criminale, si adopera volontariamente per impedirne il compimento. Ma cosa si intende esattamente per ‘volontariamente’? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, chiarendo che la scelta di desistere non deve essere condizionata da eventi esterni, ma deve nascere da una decisione autonoma dell’agente. Analizziamo insieme la decisione per comprendere meglio questo importante principio del diritto penale.

I Fatti del Caso

Un uomo veniva condannato in primo grado, a seguito di accordo tra le parti (c.d. patteggiamento), per i reati di tentata rapina e lesioni personali volontarie. L’originaria accusa di rapina aggravata era stata riqualificata in tentata rapina dal Giudice per le Indagini Preliminari. La difesa dell’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, non per contestare i fatti in sé, ma per un aspetto giuridico specifico: il mancato riconoscimento della circostanza attenuante del recesso attivo.

L’Impugnazione e la Tesi della Difesa

Secondo il difensore, all’imputato avrebbe dovuto essere applicata la riduzione di pena prevista per il recesso attivo. La tesi si basava sul fatto che l’uomo, pur avendo iniziato l’azione criminosa, aveva poi abbandonato l’oggetto del reato (un cavo) prima di portarla a compimento. Questo abbandono, secondo la difesa, costituiva una condotta attiva finalizzata a impedire l’evento e, di conseguenza, integrava i presupposti per l’applicazione della più favorevole disciplina sanzionatoria.

Le Motivazioni della Cassazione: Quando il Recesso Attivo non è Volontario

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile e fornendo una motivazione chiara e dirimente sul concetto di volontarietà nel recesso attivo. I giudici hanno sottolineato che un ricorso contro una sentenza di patteggiamento è ammissibile solo in casi eccezionali, come un errore palese nella qualificazione giuridica del fatto o nella determinazione della pena, condizioni non riscontrate nel caso di specie.

Il punto cruciale della decisione risiede nella distinzione tra una scelta volontaria e una scelta necessitata da fattori esterni. La Corte ha stabilito che la decisione di interrompere l’azione criminosa o di impedirne l’esito deve essere il frutto di una scelta autonoma dell’agente. Non può essere considerata tale se è riconducibile a una causa indipendente dalla sua volontà.

Nel caso specifico, l’abbandono della refurtiva non è avvenuto per un ripensamento spontaneo, ma è stato la diretta conseguenza della lite, degenerata in scontro fisico, con la persona offesa all’interno dell’esercizio commerciale. L’azione dell’imputato, quindi, non è stata libera, ma condizionata da un fattore esterno e contrario: la reazione della vittima. Questo ha reso impossibile qualificare la sua condotta come un genuino e volontario recesso attivo.

Conclusioni

La pronuncia della Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale: affinché si possa beneficiare della significativa attenuante del recesso attivo, non è sufficiente che l’evento criminoso non si verifichi per un’azione dell’imputato. È necessario che tale azione sia il risultato di una libera e autonoma determinazione interiore, non influenzata o causata da ostacoli esterni o dalla reazione della vittima. La volontarietà, intesa come scelta non condizionata, è l’elemento imprescindibile che distingue un meritevole ripensamento da una semplice resa di fronte a circostanze avverse.

Cos’è il recesso attivo e quando si applica?
Il recesso attivo è la condotta di chi, dopo aver iniziato l’esecuzione di un delitto, si adopera volontariamente e attivamente per impedire che l’evento si verifichi. Se l’azione ha successo, comporta una pena significativamente ridotta rispetto a quella prevista per il semplice tentativo.

Perché in questo caso la Corte di Cassazione ha escluso il recesso attivo?
La Corte ha escluso il recesso attivo perché l’abbandono del bene da parte dell’imputato non è stato frutto di una scelta volontaria, ma è stato condizionato da un fattore esterno: lo scontro fisico che si era innescato con la persona offesa. La sua azione non era libera, ma necessitata dagli eventi.

È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento in Cassazione?
No, non è sempre possibile. Il ricorso per Cassazione contro una sentenza di patteggiamento è ammesso solo in casi limitati, ad esempio quando la qualificazione giuridica del reato o l’entità della pena concordata risultano palesemente errate o manifestamente eccentriche rispetto ai fatti contestati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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