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Recesso attivo: quando la chiamata al 118 vale

Un uomo, condannato per il tentato omicidio della moglie, ha impugnato la sentenza che gli negava l’attenuante del recesso attivo, nonostante avesse chiamato i soccorsi dopo l’aggressione. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, chiarendo che per il riconoscimento del recesso attivo conta la volontarietà e l’efficacia oggettiva dell’azione per impedire l’evento, non il movente soggettivo (come l’opportunismo o il tentativo di sviare i sospetti).

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recesso Attivo: Chiamare i Soccorsi Basta per l’Attenuante?

Nel complesso scenario del diritto penale, il concetto di recesso attivo rappresenta un’ancora di salvezza per chi, dopo aver commesso un’azione delittuosa, decide di invertire la rotta. Ma cosa succede se questa inversione è dettata più dall’opportunismo che da un sincero pentimento? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, analizzando il caso di un tentato omicidio in ambito familiare e stabilendo principi cruciali sulla valutazione della volontarietà dell’azione riparatrice.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine da un grave episodio di violenza domestica. Un uomo, al culmine di un litigio, aggrediva ripetutamente la moglie con un bastone di legno, causandole gravissime lesioni al cranio, al volto e alle mani. Per questi fatti, veniva condannato in primo e secondo grado per tentato omicidio.

Il punto cruciale del processo, tuttavia, non riguardava la colpevolezza dell’imputato, ma il mancato riconoscimento dell’attenuante del recesso attivo prevista dall’art. 56, comma 4, del codice penale. Dopo l’aggressione, infatti, l’uomo aveva telefonato al figlio e, su sollecitazione di quest’ultimo, aveva chiamato il numero del soccorso medico (118), un’azione che di fatto aveva salvato la vita della donna. I giudici di merito, però, avevano escluso l’attenuante, ritenendo che il gesto non fosse espressione di una genuina volontà di salvare la vittima, ma piuttosto un tentativo opportunistico di sviare da sé i sospetti.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Recesso Attivo

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della difesa, annullando con rinvio la sentenza della Corte d’Appello. Il cuore della decisione risiede nella critica al metodo valutativo adottato dai giudici di merito. Secondo la Cassazione, la Corte d’Appello ha errato nel focalizzarsi eccessivamente sulle motivazioni interiori dell’imputato (il suo presunto opportunismo), trascurando l’analisi oggettiva della sua condotta.

Il principio cardine ribadito è che, per configurare il recesso attivo, ciò che conta è la volontarietà della contro-condotta (l’azione volta a impedire l’evento) e la sua idoneità a interrompere il processo causale, non il movente psicologico che la ispira. L’indagine del giudice non deve trasformarsi in un’analisi introspettiva del reo, ma deve basarsi su elementi oggettivi.

Le Motivazioni: Volontarietà Oggettiva contro Movente Soggettivo

La Corte di Cassazione ha chiarito che la “volontarietà” richiesta dalla norma non è sinonimo di “spontaneità” o di “sincero pentimento”. È sufficiente che la scelta di agire per impedire l’evento sia libera, ovvero non determinata da fattori esterni che annullano la capacità di scelta dell’agente. La legge intende premiare chi, pur avendo già posto in essere una condotta criminale, sceglie di attivarsi per salvaguardare il bene giuridico leso.

Nel caso specifico, la chiamata al 118 era una condotta oggettivamente idonea a interrompere il “determinismo causale” che avrebbe portato alla morte della vittima. La Corte d’Appello, per escludere la volontarietà, avrebbe dovuto indicare elementi concreti e non mere ipotesi per dimostrare che l’imputato non avesse alcuna intenzione di salvare la moglie. Argomenti come la sollecitazione del figlio o il tentativo di fornire una versione falsa dei fatti non sono, di per sé, sufficienti a escludere la genuinità dell’intento salvifico. Anzi, la giurisprudenza ha già chiarito che il recesso attivo non è incompatibile con la volontà concorrente di alterare le prove.

I giudici di merito si sono limitati a valorizzare elementi non decisivi o ipotetici, senza spiegare perché la condotta dell’imputato non potesse essere considerata espressione di un ravvedimento, seppur tardivo e forse non eticamente puro.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza stabilisce un importante confine nell’interpretazione del recesso attivo. L’attenuante non può essere negata sulla base di una valutazione puramente soggettivistica e moraleggiante della condotta dell’imputato. Il giudice deve concentrarsi su dati oggettivi: l’imputato ha scelto volontariamente di agire? La sua azione era concretamente idonea a impedire l’evento? Se le risposte sono affermative, l’attenuante deve, di norma, essere riconosciuta.

Questa pronuncia implica che un’azione come la chiamata ai soccorsi, anche se effettuata dopo una sollecitazione o con l’intento di mitigare la propria posizione, può integrare il recesso attivo. Per escluderlo, è necessario che l’accusa fornisca la prova rigorosa che tale azione fosse una mera messinscena, priva di una reale intenzione di salvare la vittima, basandosi su elementi di fatto concreti e non su congetture circa i moti interiori del reo.

Cos’è il recesso attivo in un reato tentato?
È la condotta di chi, dopo aver compiuto gli atti per commettere un reato, si adopera volontariamente per impedire che l’evento si verifichi. Se l’azione ha successo, la legge prevede una significativa diminuzione di pena.

Per ottenere l’attenuante del recesso attivo è necessario un sincero pentimento?
No. Secondo la sentenza, la legge richiede che l’azione per impedire l’evento sia “volontaria”, cioè frutto di una scelta non coartata da fattori esterni. Non è necessario che sia motivata da un sincero pentimento o da ragioni etiche; può coesistere anche con un intento opportunistico, come quello di sviare i sospetti o alterare le prove.

Perché in questo caso la Corte di Cassazione ha annullato la decisione dei giudici di merito?
La Corte ha annullato la decisione perché i giudici di merito hanno fondato il loro diniego su una valutazione soggettiva e ipotetica delle intenzioni dell’imputato (opportunismo), invece di analizzare l’elemento oggettivo: la sua condotta (la chiamata al 118) era volontaria e concretamente idonea a salvare la vita della vittima. Mancava una motivazione basata su elementi concreti che escludessero la volontà di impedire l’evento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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