Reazione Atti Arbitrari: Quando la Difesa non Basta? L’Analisi della Cassazione
La difesa basata sulla reazione atti arbitrari di un pubblico ufficiale, prevista dall’art. 393-bis del codice penale, rappresenta una causa di giustificazione di grande rilevanza, specialmente nei casi di resistenza. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 19695/2024) ci ricorda che l’invocazione di tale scriminante non è sufficiente se la versione dei fatti dell’imputato non supera il vaglio di attendibilità del giudice di merito. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, disciplinato dall’art. 337 del codice penale. L’imputato, ritenendo ingiusta la condanna emessa dalla Corte d’Appello, ha proposto ricorso per Cassazione. La sua linea difensiva si fondava su un punto cruciale: il suo comportamento non costituiva reato in quanto rappresentava una legittima reazione a un atto arbitrario posto in essere dal pubblico ufficiale.
La Scriminante della Reazione Atti Arbitrari
L’articolo 393-bis del codice penale stabilisce che non è punibile chi commette un reato come la resistenza o la violenza contro un pubblico ufficiale se ha agito per reagire a un atto arbitrario di quest’ultimo. Si tratta di una “scriminante” che, se provata, rende il fatto lecito.
Nel caso di specie, la difesa sosteneva che le azioni dell’imputato rientrassero pienamente in questa fattispecie. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva già esaminato e respinto questa tesi, fornendo una motivazione dettagliata sul perché la versione dei fatti raccontata dall’imputato fosse stata giudicata inattendibile.
La Valutazione dei Giudici di Merito
I giudici dei gradi precedenti avevano escluso la configurabilità della scriminante basandosi su una valutazione probatoria completa. La sentenza impugnata, in particolare, aveva spiegato in modo esaustivo le ragioni per cui la narrazione dell’imputato non era credibile, smontando di fatto il presupposto su cui si fondava la difesa per la reazione atti arbitrari.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte, investita della questione, ha dichiarato il ricorso inammissibile perché “manifestamente infondato”. Questo significa che i motivi proposti erano così palesemente privi di pregio da non meritare un esame approfondito. La Cassazione ha sottolineato come la motivazione della sentenza d’appello fosse “corretta, logica ed esaustiva”. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale: la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione delle prove a quella dei giudici di merito. Il suo compito è verificare che la motivazione della decisione impugnata sia logica, non contraddittoria e legalmente corretta. Poiché la Corte d’Appello aveva spiegato in modo impeccabile perché la versione dell’imputato non era credibile, e di conseguenza perché la scriminante non fosse applicabile, non vi era spazio per un annullamento della condanna. La difesa dell’imputato, di fatto, chiedeva una nuova valutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità.
Le Conclusioni
La decisione in commento offre un’importante lezione pratica: per invocare con successo la scriminante della reazione atti arbitrari, non basta semplicemente affermare di aver subito un’ingiustizia da parte di un pubblico ufficiale. È indispensabile che la propria versione dei fatti sia credibile e supportata da elementi che possano convincere il giudice. Se la ricostruzione dell’imputato viene ritenuta inattendibile con una motivazione logica e coerente, le possibilità di successo di un ricorso in Cassazione si riducono drasticamente. La sentenza conferma che il giudizio sull’attendibilità di un testimone o dell’imputato stesso è una prerogativa del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché manifestamente infondato. La Corte di Cassazione ha giudicato la motivazione della sentenza di condanna come corretta, logica ed esaustiva nel confutare la tesi difensiva, basata sull’inattendibilità della versione dei fatti fornita dall’imputato.
Qual era l’argomento principale della difesa?
L’argomento principale era che il comportamento dell’imputato non costituiva reato perché si trattava di una reazione giustificata da un atto arbitrario del pubblico ufficiale, secondo quanto previsto dalla scriminante dell’art. 393-bis del codice penale.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente?
In seguito alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19695 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19695 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GENOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/06/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NUMERO_DOCUMENTO – COGNOME NOME
OSSERVA
Il motivo dedotto con il ricorso avverso la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 337 cod. pen. è inammissibile perché manifestamente infondato.
In particolare, la prospettazione difensiva, secondo cui il fatto sarebbe scriminato ex art. 393-bis cod. pen., è smentita dalla corretta, logica ed esaustiva motivazione della sentenza impugnata, la quale correttamente esclude la configurabilità nel caso di specie della scriminante in parola fornendo una breve ma esaustiva spiegazione delle ragioni della inattendibilità della versione resa dall’imputato (cfr. p. 6 del provvedimento impugnato).
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/04/2024