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Reazione ad atto arbitrario: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso avverso una condanna per condotta aggressiva verso un pubblico ufficiale. L’imputato sosteneva si trattasse di una reazione ad atto arbitrario, ma i giudici hanno confermato la legittimità dell’operato del p.u., bollando i motivi del ricorso come una mera ripetizione di argomentazioni già respinte in appello e condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reazione ad Atto Arbitrario: Quando il Ricorso è Inammissibile

L’ordinanza della Corte di Cassazione in commento offre un importante chiarimento sui limiti della causa di non punibilità per reazione ad atto arbitrario di un pubblico ufficiale. Il caso analizza la situazione in cui un cittadino, condannato per una condotta aggressiva e violenta, tenta di giustificare le proprie azioni sostenendo di aver reagito a un comportamento illegittimo dell’autorità. La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo principi chiari sulla legittimità dell’azione del pubblico ufficiale e sui requisiti di ammissibilità del ricorso in Cassazione.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo per una condotta ritenuta aggressiva, violenta e minacciosa nei confronti di un pubblico ufficiale (p.u.) nell’esercizio delle sue funzioni. L’imputato, dopo la conferma della condanna in secondo grado da parte della Corte d’Appello, ha presentato ricorso per cassazione. Le sue difese si basavano su due punti principali: la contestazione della natura minacciosa della sua condotta e, soprattutto, l’invocazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 393-bis del codice penale, sostenendo che il suo comportamento fosse una reazione legittima a un atto arbitrario compiuto dal pubblico ufficiale.

La Decisione della Corte e la Reazione ad Atto Arbitrario

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato come i motivi presentati non fossero idonei a mettere in discussione la sentenza impugnata. In particolare, la Corte ha evidenziato che le doglianze sulla valutazione della condotta aggressiva non erano altro che una ripetizione di quanto già esposto e correttamente respinto dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva già fornito una risposta puntuale, collegando la condotta dell’imputato all’attività d’ufficio legittimamente svolta dal p.u. a cui l’imputato si opponeva.

L’Esclusione dell’Art. 393-bis c.p.

Il punto cruciale della decisione riguarda l’esclusione della scriminante della reazione ad atto arbitrario. La Suprema Corte ha confermato la correttezza della decisione di merito, la quale aveva escluso l’applicabilità di tale norma basandosi sul rilievo della “giustificata attività di ufficio da parte del p.u.”. In altre parole, affinché si possa parlare di reazione legittima, è necessario che l’atto del pubblico ufficiale sia oggettivamente ingiusto e compiuto al di fuori dei suoi doveri. Nel caso di specie, essendo stata accertata la piena legittimità dell’operato dell’agente, non vi era alcun presupposto per applicare la causa di non punibilità.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi consolidati della procedura penale. In primo luogo, un ricorso per cassazione non può essere una semplice riproposizione dei motivi d’appello. Deve, invece, individuare vizi di legittimità specifici nella sentenza impugnata, come un’errata applicazione della legge o una motivazione manifestamente illogica. La mera reiterazione di argomentazioni fattuali, già esaminate e respinte, conduce inevitabilmente a una dichiarazione di inammissibilità.

In secondo luogo, la Corte ribadisce che la causa di non punibilità per reazione ad atto arbitrario presuppone un’azione del pubblico ufficiale che ecceda i limiti delle proprie attribuzioni o che sia intrinsecamente ingiusta. Non è sufficiente che il cittadino percepisca l’atto come ingiusto; è necessaria una valutazione oggettiva della sua arbitrarietà. Poiché nel caso in esame l’attività del p.u. era stata ritenuta giustificata, la reazione dell’imputato non poteva che essere considerata illegittima.

Le Conclusioni

La decisione in esame ha importanti implicazioni pratiche. Anzitutto, chiarisce che la difesa basata sulla reazione ad atto arbitrario richiede una prova rigorosa dell’illegittimità della condotta del pubblico ufficiale. In assenza di tale prova, qualsiasi reazione violenta o minacciosa sarà punibile. Inoltre, l’ordinanza serve da monito: presentare un ricorso per cassazione meramente ripetitivo di motivi già respinti non solo è inutile ai fini processuali, ma comporta anche conseguenze economiche negative, come la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

Quando una reazione violenta a un pubblico ufficiale non è punibile?
Una reazione non è punibile quando costituisce una risposta diretta e proporzionata a un atto arbitrario del pubblico ufficiale, ovvero un’azione oggettivamente ingiusta e che esula dalle sue competenze e doveri, come previsto dall’art. 393-bis del codice penale.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti erano una semplice ripetizione di quelli già presentati e respinti in appello, e perché la Corte ha ritenuto infondata la tesi della reazione ad atto arbitrario, avendo accertato la piena legittimità dell’operato del pubblico ufficiale.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Come stabilito in questa ordinanza, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro a titolo di sanzione in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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