Reazione ad Atto Arbitrario: i Limiti secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito importanti chiarimenti sui confini applicativi dell’esimente della reazione ad atto arbitrario, prevista dall’art. 393-bis del codice penale. La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: una condotta di resistenza a pubblico ufficiale non può essere giustificata da una mera percezione soggettiva di ingiustizia, se l’operato delle forze dell’ordine risulta oggettivamente legittimo e proporzionato.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dalla condanna di un uomo per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 337 c.p., confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello. L’imputato aveva reagito negativamente all’operato di alcuni agenti di polizia giudiziaria che lo stavano conducendo in Questura per accertamenti.
Il suo ricorso in Cassazione si fondava principalmente su due motivi:
1. La presenza, nella sentenza d’appello, di un riferimento errato a una pronuncia di primo grado relativa a un altro imputato.
2. La mancata applicazione dell’esimente della reazione ad atto arbitrario, sostenendo che l’azione degli agenti fosse stata ingiustificata e sproporzionata.
Secondo la difesa, l’imputato era stato coinvolto in una vicenda legata alla sparizione di un veicolo e, a suo dire, la richiesta degli agenti di seguirlo in ufficio per accertamenti era un atto arbitrario che aveva provocato la sua reazione.
La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le doglianze sollevate dal ricorrente. La decisione si articola su due punti chiave, uno di carattere procedurale e l’altro sostanziale, che tocca il cuore della questione sulla legittimità della reazione del cittadino di fronte a un’azione di un pubblico ufficiale.
L’irrilevanza del refuso nella sentenza
Sul primo punto, la Corte ha liquidato la questione come un semplice ‘refuso’, ovvero un errore materiale che non ha avuto alcuna incidenza sulla valutazione complessiva della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno osservato che, nonostante il riferimento errato, la sentenza impugnata aveva correttamente sintetizzato e valutato la posizione processuale del ricorrente, rendendo la doglianza priva di effettivo interesse giuridico.
I limiti della reazione ad atto arbitrario
Il fulcro della pronuncia riguarda il secondo motivo di ricorso. La Cassazione ha stabilito che la richiesta di applicare l’esimente dell’art. 393-bis c.p. si traduceva, in realtà, in un tentativo di ottenere una nuova valutazione delle prove e una rilettura dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Il compito della Cassazione, infatti, non è riesaminare il merito della vicenda, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.
Le Motivazioni della Sentenza
Nelle motivazioni, la Corte ha spiegato perché l’operato degli agenti non potesse essere considerato arbitrario. La Corte territoriale aveva già sottolineato con argomenti corretti che l’azione dei poliziotti era pienamente legittima. Essi stavano conducendo accertamenti necessari dopo che la vittima della sparizione di un veicolo aveva indicato l’imputato come persona informata sui fatti o, comunque, coinvolta nel possibile reperimento del mezzo. La conduzione dell’uomo presso gli uffici della Questura rientrava in una normale e legittima attività di controllo.
Inoltre, non è emerso alcun elemento che potesse far pensare a modalità sproporzionate, scorrette o arbitrarie da parte degli agenti. Di conseguenza, non sussistevano i presupposti per invocare l’esimente, che richiede un atto del pubblico ufficiale oggettivamente ingiusto e contrario ai suoi doveri, non una semplice percezione soggettiva di abuso da parte del privato cittadino.
Le Conclusioni
L’ordinanza riafferma un principio cruciale: per poter invocare la scriminante della reazione ad atto arbitrario, non è sufficiente che il cittadino si senta vittima di un’ingiustizia. È necessario che l’atto del pubblico ufficiale sia oggettivamente illegittimo, ovvero compiuto al di fuori delle proprie competenze o con modalità abusive e vessatorie. Quando, come nel caso di specie, l’azione è legittima e rientra nei doveri d’ufficio, la reazione violenta o minacciosa del privato integra pienamente il reato di resistenza. La Corte di Cassazione, inoltre, ha colto l’occasione per ribadire che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sul fatto, ma di custode della corretta interpretazione e applicazione della legge.
Quando è giustificata la reazione di un cittadino a un’azione della polizia ai sensi dell’art. 393-bis c.p.?
La reazione è giustificata solo quando l’atto del pubblico ufficiale è oggettivamente arbitrario, ovvero compiuto violando i propri doveri e con modalità sproporzionate, non corrette o vessatorie. Una mera percezione soggettiva di ingiustizia da parte del cittadino non è sufficiente, se l’azione dell’agente è legittima.
Un errore materiale (refuso) in una sentenza d’appello è sufficiente per annullarla?
No, un semplice errore materiale, come il riferimento a un’altra persona, non è sufficiente per l’annullamento se non ha avuto alcuna incidenza concreta sulla valutazione e sulla decisione finale del giudice riguardo alla posizione del ricorrente.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No, non è possibile. Il ricorso in Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. La Corte può solo valutare se la legge è stata applicata correttamente e se la motivazione della sentenza è logica e non contraddittoria, ma non può effettuare una nuova e alternativa rilettura delle fonti di prova.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 38655 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 38655 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a SAN DANIELE DEL FRIULI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/11/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSE COGNOME
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe, con cui è stata confermata la pronuncia di condanna per il reato di cui all’art. 337 cod. pen.;
esamínati gli atti e il provvedimento impugNOME;
rilevato che il motivo con cui il ricorrente ha censurato il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, a una pronuncia di primo grado afferente a un altro imputato non è sorretto da interesse, essendo evidente che si è trattato di un refuso, che non ha avuto alcuna incidenza sulla valutazione operata dalla Corte di appello, come dimostrato dal fatto che la menzionata Corte ha sintetizzato a pagina 3 la sentenza di primo grado, pronunciata nei confronti del ricorrente, ed è pervenuta alle sue conclusioni attraverso un iter logico e corretto;
rilevato, altresì, che la doglianza relativa alla mancata applicazione dell’art. 393 bis cod. pen. è tesa a sollecitare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità, ed è meramente riproduttiva di profili di doglianza già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal Giudice di merito (cfr. pagine 6, 7 e 8 della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale ha escluso la ricorrenza dei presupposti applicativi dell’invocata esimente, avendo sottolineato che gli operatori di polizia giudiziaria si erano limitati a condurre l’imputato presso gli uffici della Questura per procedere agli accertamenti del caso, che si imponevano in vista del fatto che la persona offesa, che aveva denunciato la sparizione di un veicolo, aveva indicato l’imputato come il soggetto che si era dichiarato disponibile a fornire informazioni per il reperimento della vettura dietro pagamento di un compenso o, comunque, come il soggetto che verosimilmente le aveva fornito l’informazione sul luogo in cui era stata condotta la vettura rubata. A fronte di un’attività legittima di control non risultava, inoltre, che gli operanti avessero utilizzato modalità sproporzionate, non corrette e arbitrarie, tali da cagionare nella persona offesa una reazione anche solo per aver ritenuto erroneamente di trovarsi di fronte ad atti arbitrari dei pubblici ufficiali);
rítenuto che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9/9/2024