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Reazione ad atto arbitrario: quando è inapplicabile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per resistenza a pubblico ufficiale. L’imputato sosteneva di aver agito per una reazione ad atto arbitrario, ma la Corte ha stabilito che la condotta dei pubblici ufficiali era legittima e proporzionata. La decisione sottolinea che il sindacato di legittimità non può comportare una nuova valutazione dei fatti e che una percezione soggettiva di arbitrarietà non è sufficiente a giustificare la reazione se l’atto del pubblico ufficiale è conforme alla legge.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reazione ad Atto Arbitrario: i Limiti secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito importanti chiarimenti sui confini applicativi dell’esimente della reazione ad atto arbitrario, prevista dall’art. 393-bis del codice penale. La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: una condotta di resistenza a pubblico ufficiale non può essere giustificata da una mera percezione soggettiva di ingiustizia, se l’operato delle forze dell’ordine risulta oggettivamente legittimo e proporzionato.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla condanna di un uomo per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 337 c.p., confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello. L’imputato aveva reagito negativamente all’operato di alcuni agenti di polizia giudiziaria che lo stavano conducendo in Questura per accertamenti.

Il suo ricorso in Cassazione si fondava principalmente su due motivi:
1. La presenza, nella sentenza d’appello, di un riferimento errato a una pronuncia di primo grado relativa a un altro imputato.
2. La mancata applicazione dell’esimente della reazione ad atto arbitrario, sostenendo che l’azione degli agenti fosse stata ingiustificata e sproporzionata.

Secondo la difesa, l’imputato era stato coinvolto in una vicenda legata alla sparizione di un veicolo e, a suo dire, la richiesta degli agenti di seguirlo in ufficio per accertamenti era un atto arbitrario che aveva provocato la sua reazione.

La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le doglianze sollevate dal ricorrente. La decisione si articola su due punti chiave, uno di carattere procedurale e l’altro sostanziale, che tocca il cuore della questione sulla legittimità della reazione del cittadino di fronte a un’azione di un pubblico ufficiale.

L’irrilevanza del refuso nella sentenza

Sul primo punto, la Corte ha liquidato la questione come un semplice ‘refuso’, ovvero un errore materiale che non ha avuto alcuna incidenza sulla valutazione complessiva della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno osservato che, nonostante il riferimento errato, la sentenza impugnata aveva correttamente sintetizzato e valutato la posizione processuale del ricorrente, rendendo la doglianza priva di effettivo interesse giuridico.

I limiti della reazione ad atto arbitrario

Il fulcro della pronuncia riguarda il secondo motivo di ricorso. La Cassazione ha stabilito che la richiesta di applicare l’esimente dell’art. 393-bis c.p. si traduceva, in realtà, in un tentativo di ottenere una nuova valutazione delle prove e una rilettura dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Il compito della Cassazione, infatti, non è riesaminare il merito della vicenda, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

Le Motivazioni della Sentenza

Nelle motivazioni, la Corte ha spiegato perché l’operato degli agenti non potesse essere considerato arbitrario. La Corte territoriale aveva già sottolineato con argomenti corretti che l’azione dei poliziotti era pienamente legittima. Essi stavano conducendo accertamenti necessari dopo che la vittima della sparizione di un veicolo aveva indicato l’imputato come persona informata sui fatti o, comunque, coinvolta nel possibile reperimento del mezzo. La conduzione dell’uomo presso gli uffici della Questura rientrava in una normale e legittima attività di controllo.

Inoltre, non è emerso alcun elemento che potesse far pensare a modalità sproporzionate, scorrette o arbitrarie da parte degli agenti. Di conseguenza, non sussistevano i presupposti per invocare l’esimente, che richiede un atto del pubblico ufficiale oggettivamente ingiusto e contrario ai suoi doveri, non una semplice percezione soggettiva di abuso da parte del privato cittadino.

Le Conclusioni

L’ordinanza riafferma un principio cruciale: per poter invocare la scriminante della reazione ad atto arbitrario, non è sufficiente che il cittadino si senta vittima di un’ingiustizia. È necessario che l’atto del pubblico ufficiale sia oggettivamente illegittimo, ovvero compiuto al di fuori delle proprie competenze o con modalità abusive e vessatorie. Quando, come nel caso di specie, l’azione è legittima e rientra nei doveri d’ufficio, la reazione violenta o minacciosa del privato integra pienamente il reato di resistenza. La Corte di Cassazione, inoltre, ha colto l’occasione per ribadire che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sul fatto, ma di custode della corretta interpretazione e applicazione della legge.

Quando è giustificata la reazione di un cittadino a un’azione della polizia ai sensi dell’art. 393-bis c.p.?
La reazione è giustificata solo quando l’atto del pubblico ufficiale è oggettivamente arbitrario, ovvero compiuto violando i propri doveri e con modalità sproporzionate, non corrette o vessatorie. Una mera percezione soggettiva di ingiustizia da parte del cittadino non è sufficiente, se l’azione dell’agente è legittima.

Un errore materiale (refuso) in una sentenza d’appello è sufficiente per annullarla?
No, un semplice errore materiale, come il riferimento a un’altra persona, non è sufficiente per l’annullamento se non ha avuto alcuna incidenza concreta sulla valutazione e sulla decisione finale del giudice riguardo alla posizione del ricorrente.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No, non è possibile. Il ricorso in Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. La Corte può solo valutare se la legge è stata applicata correttamente e se la motivazione della sentenza è logica e non contraddittoria, ma non può effettuare una nuova e alternativa rilettura delle fonti di prova.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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