Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8628 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8628 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME nato il 26/05/1961 a Loreto avverso la sentenza in data 30/11/2023 della Corte di appello di Ancona
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria inviata dal difensore del ricorrente,
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30/11/2023 la Corte di appello di Ancona ha, in parziale riforma di quella del Tribunale di Macerata in data 13/01/2022, ridotto a mesi sei di reclusione la pena irrogata a NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 341-bis, 581, 612 cod. pen., commessi in danno del medico dott. NOME COGNOME che stava visitando la madre di COGNOME.
In particolare, la Corte ha escluso che nella condotta della persona offesa potessero ravvisarsi gli estremi di atti arbitrari o di una provocazione, giuridicamente rilevante.
Ha proposto ricorso COGNOME tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione al diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 393-bis cod. pen.
La Corte aveva erroneamente ritenuto che l’espressione del medico «ma insomma è anziana ‘sta donna, come dobbiamo fare?», pur reputata non professionale, non costituisse atto arbitrario tale da scriminare la condotta.
A fronte del dovere del medico di prendersi cura dei pazienti e di indirizzarli verso visite specialistiche opportune, prescrivendo terapie di supporto, la Corte non aveva valutato l’oggettiva sconvenienza e illegittimità della condotta della persona offesa rispetto al fine cui le funzioni avrebbero dovuto indirizzarsi.
2.2. Con il secondo motivo denuncia in subordine violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 2, cod. pen.
La condotta avrebbe dovuto ritenersi tenuta in violazione di doveri deontologici, tale da produrre lo stato d’ira del ricorrente, alla base della sua reazione.
La deduzione è riferita alle condotte verbali sia del medico che del ricorrente, rispetto alle quali avrebbe dovuto ritenersi inconferente che non fosse provata la negligenza del sanitario e che vi fosse stata anche un’aggressione fisica tale da integrare il delitto di percosse, profilo non assorbito dalle ragioni poste alla base del riconoscimento delle attenuanti generiche.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione alla mancata applicazione delle pene sostitutive di cui agli artt. 53 segg. legge 689 del 1981.
La Corte aveva dato rilievo ai precedenti del ricorrente, ma non aveva considerato la consistenza degli stessi, relativi a condanne a pena pecuniaria conseguenti a decreti penali, e neppure le finalità alla base delle modifiche della materia introdotte dal d.lgs. 150 del 2022, gravando sul giudice l’obbligo di spiegare le ragioni dell’inadeguatezza della pena sostitutiva in relazione alle peculiarità del caso.
Il Procuratore generale ha inviato la requisitoria concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha inviato una memoria di conclusioni, in cui ribadisce gli argomenti a sostegno del secondo e del terzo motivo.
Il procedimento si è svolto con trattazione scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono di per sé infondati.
In primo luogo, deve escludersi che la condotta tenuta dalla persona offesa possa essere inquadrata nell’ambito degli atti arbitrari, ai fini dell’applicazione dell’esimente di cui all’art. 393-bis cod. pen.
In particolare, deve aversi riguardo a condotte immediatamente motivanti e non possono dunque prendersi in considerazione profili inerenti ad una solo assertivamente dedotta colpa del medico nell’approccio diagnostico, pur a fronte del dato di fatto del decesso della madre del ricorrente, intervenuto qualche mese dopo i fatti.
In tale prospettiva va considerata la frase pronunciata dal medico al cospetto del ricorrente («ma insomma è anziana ‘sta donna, come dobbiamo fare?»), cui è seguita la reazione del predetto.
Orbene, pur dovendosi valutare l’eccesso e l’arbitrarietà, presi in considerazione dall’art. 393-bis cod. pen., in modo da ricomprendere non solo atti illegittimi e pervicacemente provocatori, ma anche atti eccedenti dalle attribuzioni perché connotati da difetto di congruenza tra modalità e finalità per le quali è attribuita la funzione, in ragione della violazione di elementari doveri di correttezza e civiltà (così Corte cost. sent. n. 140 del 1998; Sez. 6, n. 7255 del 26/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282906), nel caso di specie correttamente la Corte ha rilevato che la pur non professionale espressione utilizzata dal medico non fosse comunque connotata da profili di così marcata inurbanità e sconvenienza da poter essere qualificata come illegittima e comunque arbitraria nel senso indicato e da poter dare causa alla reazione del ricorrente, in quanto tale da risolversi in realtà in una cruda presa d’atto, non implicante, tuttavia, alcunché di diverso da una constatazione.
In secondo luogo, deve escludersi la configurabilità dell’attenuante della provocazione ai sensi dell’art. 62, comma secondo, n. 6 cod. pen.
In questo caso, anche volendo ravvisare una differenza tra gli elementi che integrano l’esimente e quelli che connotano l’attenuante (sul punto Sez. 6, n. 34089 del 07/07/2003, COGNOME, Rv. 226329, che peraltro muove da un inquadramento dell’esimente non in linea con quello prospettato dalla Corte costituzionale nella sentenza sopra richiamata), assumono comunque significato
dirimente, da un lato, la circostanza che l’espressione usata dal medico non potesse qualificarsi come del tutto sconveniente e, dall’altro, il fatto che la condotta del ricorrente fosse trasmodata in una reazione manifestamente sproporzionata, tale da esondare dai limiti di un collegamento eziologico e psicologico con il fatto altrui, a tal fine non potendosi aver riguardo alle sole espressioni oltraggiose, ma dovendosi considerare l’intera condotta, connotata da minacce e percosse in un crescendo di intensità e pericolosità.
Deve comunque rimarcarsi come i giudici di merito abbiano tenuto conto del contesto in cui si è sviluppata la condotta, in sede di determinazione della pena e di riconoscimento delle attenuanti generiche.
Il terzo motivo è del pari infondato, in quanto, contrariamente a quanto difensivamente dedotto, la Corte territoriale ha valutato i presupposti per l’applicazione o meno di una pena sostitutiva, giungendo ad escludere tale possibilità sulla base di una non irragionevole valutazione del quadro personologico, connotato da plurimi precedenti, anche della stessa indole, reputati tali da non consentire di formulare un giudizio in termini di affidabilità circa il rispetto delle prescrizioni connesse all’esecuzione della pena sostitutiva.
A fronte di ciò, deve, tuttavia, rilevarsi d’ufficio un profilo di illegalità del pena.
Va, infatti, rilevato che è stato fra l’altro ravvisato il delitto di percosse di c all’art. 581 cod. pen. e che in relazione allo stesso è stato computato agli effetti dell’art. 81 cod. pen. un aumento della pena detentiva pari a giorni sedici.
Tuttavia, il reato di percosse appartiene alla competenza del giudice di pace e per esso è prevista la sola pena pecuniaria, secondo il criterio di ragguaglio di cui all’art. 52 d.lgs. n. 274 del 2000.
Ciò significa che l’aumento è stato applicato senza tener conto dei limiti massimi della pena prevista e senza alcun ragguaglio tra tale pena e quella in concreto irrogata a titolo di aumento ai sensi dell’art. 81 cod. pen., valutando a tal fine anche i criteri indicati dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, 2 273750-51).
Di qui la rilevata illegalità della pena, che comporta l’annullamento della sentenza impugnata in parte qua, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 14/02/2025