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Reazione a un atto arbitrario: quando è legittima?

Un cittadino minacciava dei pubblici ufficiali durante l’arresto del figlio. Assolto in primo grado sulla base della scriminante della reazione a un atto arbitrario putativa, veniva poi condannato in appello. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che tale causa di giustificazione si applica solo in caso di errore su un fatto e non per una mera errata interpretazione della legittimità dell’operato degli agenti. La sentenza chiarisce i limiti e i presupposti per invocare questa difesa.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reazione a un Atto Arbitrario: la Cassazione Definisce i Confini tra Fatto e Diritto

La questione della reazione a un atto arbitrario del pubblico ufficiale rappresenta un tema delicato, che bilancia il diritto del cittadino a difendersi da soprusi e il dovere di rispettare l’autorità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 11083 del 2024, è intervenuta per chiarire i presupposti, spesso fraintesi, della causa di giustificazione prevista dall’art. 393-bis del codice penale, specialmente nella sua forma ‘putativa’, cioè quando si crede erroneamente che l’atto sia illegittimo.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da un episodio di tensione tra un cittadino e alcuni pubblici ufficiali. Questi ultimi stavano procedendo all’arresto del figlio dell’uomo, sorpreso fuori dalla sua abitazione nonostante fosse sottoposto alla detenzione domiciliare. Il padre, ritenendo l’intervento un sopruso, reagiva minacciando di morte gli operanti al fine di impedirne l’azione.

In primo grado, il Tribunale aveva assolto l’imputato, riconoscendo la scriminante della reazione a un atto arbitrario in forma putativa. Secondo il giudice, l’uomo aveva ragionevolmente percepito come ingiusta la privazione della libertà del figlio, il quale si era allontanato solo momentaneamente per una necessità. A rafforzare questa visione, la successiva assoluzione del figlio dal reato di evasione.

La Corte di Appello, tuttavia, ribaltava la decisione, condannando il padre per il reato di minaccia a pubblico ufficiale. Da qui il ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la Risposta della Corte

La difesa ha basato il ricorso su due argomenti principali:

1. Vizio procedurale: La Corte di Appello avrebbe violato l’obbligo di rinnovare l’esame di alcuni testimoni prima di condannare un imputato assolto in primo grado e non avrebbe fornito una ‘motivazione rafforzata’.
2. Errata applicazione della legge: La Corte territoriale avrebbe escluso a torto l’applicazione della scriminante della reazione a un atto arbitrario putativa.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le censure con argomentazioni molto chiare.

Le Motivazioni della Corte

Sul piano procedurale, la Cassazione ha osservato che la rinnovazione dell’esame dei testimoni non era necessaria, poiché le parti processuali vi avevano concordemente rinunciato. Inoltre, ha ritenuto che l’obbligo di motivazione rafforzata non fosse stato violato, in quanto la sentenza di primo grado era estremamente sintetica e assertiva, mentre quella d’appello, seppur concisa, presentava una forza esplicativa superiore e una valutazione più completa delle prove.

Il punto cruciale della sentenza riguarda però il secondo motivo. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: la scriminante della reazione a un atto arbitrario putativa (art. 59 c.p.) si fonda su un errore sul fatto, non su un errore di diritto. In altre parole, il cittadino deve credere erroneamente di trovarsi di fronte a una situazione fattuale che, se fosse reale, renderebbe l’atto del pubblico ufficiale un’aggressione arbitraria ai propri diritti. Non è sufficiente, invece, che il privato si limiti a interpretare erroneamente la legge, qualificando come illegittimo un atto che in realtà è pienamente conforme alle norme.

Nel caso specifico, l’imputato non ha fornito alcuna prova di un errore sulla percezione dei fatti. Ha semplicemente ritenuto, a torto, che l’arresto del figlio fosse un abuso. Gli agenti, invece, stavano legittimamente eseguendo il loro dovere di fronte a una violazione delle prescrizioni della detenzione domiciliare. L’onere di allegare e provare i dati concreti che hanno generato l’erroneo convincimento spettava all’imputato, onere che non è stato assolto.

Conclusioni

La sentenza n. 11083/2024 della Cassazione offre un importante monito: la reazione violenta o minacciosa nei confronti delle forze dell’ordine non può essere giustificata da una semplice opinione personale sulla legittimità del loro operato. La causa di giustificazione prevista dall’art. 393-bis c.p. è una tutela per il cittadino contro abusi palesi e concreti, non uno scudo per chi si oppone a un’azione legittima dell’autorità. Per invocare la versione ‘putativa’ di tale scriminante, è indispensabile dimostrare di essere caduti in un errore su elementi di fatto, e non in una mera, soggettiva, valutazione giuridica errata.

Quando è giustificata la reazione del cittadino a un atto del pubblico ufficiale?
La reazione è giustificata, ai sensi dell’art. 393-bis del codice penale, solo quando l’atto del pubblico ufficiale è oggettivamente arbitrario, ovvero compiuto in violazione dei suoi doveri o con abuso di potere, e la reazione è proporzionata all’offesa.

Cosa significa che la scriminante della reazione a un atto arbitrario è ‘putativa’?
Significa che il cittadino reagisce perché crede erroneamente, a causa di un’errata percezione della realtà fattuale, che l’atto del pubblico ufficiale sia arbitrario. Se la situazione fosse stata come lui l’aveva immaginata, l’atto sarebbe stato effettivamente illegittimo.

È sufficiente essere convinti che l’azione di un agente sia ingiusta per poter reagire con minacce?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non rileva l’errore di diritto, ovvero la personale e sbagliata convinzione che un atto legittimo sia illegale. È necessario dimostrare di essere incorsi in un errore su un fatto concreto, che ha indotto a credere di subire un sopruso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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