Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15074 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15074 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Racale il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 1 febbraio 2023 emessa dalla Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, con sentenza emessa in data 10 marzo 2022 all’esito del giudizio abbreviato, ha condannato NOME COGNOME, ritenuta la recidiva specifica e infraquinquennale contestata e applicata la diminuente per il rito, alla pena di quattro anni e quattro mesi di reclusione ed euro 20.000 di multa per i delitti di cui agli artt. 81, 73, primo
quarto comma, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commessi in Racale (LE) in data 11 dicembre 2021.
Con la pronuncia impugnata la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza di primo grado, condannando l’imputato appellante al pagamento delle spese processuali.
AVV_NOTAIO, nell’interesse dell’imputato, ha presentato ricorso avverso tale sentenza e ne ha chiesto l’annullamento.
3.1. Con il primo motivo il difensore censura la decisione impugnata per aver configurato come reato plurimo, avvinto dalla continuazione, la detenzione a fini di cessione a terzi, accertata in un medesimo contesto, di sostanze stupefacenti (cocaina, hashish e marijuana) ascritte dal legislatore a diverse tabelle del d.P.R. n. 309 del 1990.
3.2. Con il secondo motivo il difensore deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche; la Corte di appello, infatti, nel negare l’applicazione delle attenuanti generiche, illogicamente non avrebbe considerato le dichiarazioni confessorie rese dall’imputato nell’udienza di convalida dell’arresto, il suo comportamento processuale e la condotta successiva al reato.
3.3. Con il terzo motivo il difensore chiede alla Corte di valutare il riconoscimento del vincolo della continuazione tra il fatto oggetto del presente procedimento e l’analogo reato di cui all’art. 73, quarto comma, d.P.R. 309 del 1990, commesso in Racale (LE) in data 21 ottobre 2021, accertato con sentenza della Corte di appello di Lecce n. 10 del 2022, divenuta irrevocabile il 1 dicembre 2022, dopo il deposito dei motivi di appello nel presente procedimento.
Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso è stato trattato con procedura scritta.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 15 febbraio 2024, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, nella persona del AVV_NOTAIO, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto i motivi proposti sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati.
g
n
Con il primo motivo il difensore censura la decisione impugnata, in quanto la Corte di appello avrebbe illegittimamente configurato come reato plurimo, avvinto dalla continuazione, la detenzione a fini di cessione a terzi, accertata in un medesimo contesto, di sostanze stupefacenti ascritte dal legislatore a diverse tabelle (cocaina, hashish e marijuana).
3. Il motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente ha invocato a sostegno delle proprie argomentazioni massime della giurisprudenza di legittimità anteriori alla sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, che, avendo ripristinato cornici sanzionatorie differenziate per le sostanze inserite in diverse tabelle, ha restituito reciproca autonomia alle fattispecie di cui ai commi 1 e 4 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, pertanto, in tema di stupefacenti, la reviviscenza dell’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, successivamente dichiarate incostituzionali dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014) comporta la configurabilità di reati distinti qualora la condotta abbia ad oggetto sostanze appartenenti a tabelle diverse, che possono dar luogo, a seconda delle evenienze, a concorso materiale, a concorso formale e alla continuazione tra reati, con effetti diversi sul piano del trattamento sanzionatorio (ex plurimis: Sez. 4, n. 14193 del 2021, Ventimiglia, Rv. 28101501; conf. Sez. 4, n. 43432 del 2015, COGNOME, Rv. 264778-01).
Correttamente, dunque, la Corte di appello di Lecce ha ritenuto integrati plurimi delitti di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, a fronte della detenzion illecita di sostanze stupefacenti appartenenti a tabelle diverse e, dunque, di “droghe leggere” e “droghe pesanti”, pur nel medesimo contesto spaziotemporale.
Con il secondo motivo il difensore deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
5. Anche questo motivo è manifestamente infondato.
La decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che nell’esercizio del relativ potere agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a meno che non sia viziato da errori logico-giuridici.
Per principio di diritto assolutamente consolidato ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti
generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso d potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostativ alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (ex plurimis: Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, COGNOME ed altri, Rv. 248244).
Tale obbligo, peraltro, nel caso di specie è stato pienamente assolto, in quanto la Corte di appello ha congruamente motivato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, facendo riferimento alla commissione dei fatti mentre l’imputato era ristretto in regime di arresti domiciliari, alla mancata segnalazione elementi concreti meritevoli di favorevole considerazione, allo scarso valore euristico della confessione resa a fronte di evidenze inoppugnabili, all’insufficienz della scelta del giudizio abbreviato, già corredata da una diminuzione di pena, quale giustificazione dell’ulteriore beneficio.
Con il terzo motivo il difensore ha chiesto alla Corte di valutare il riconoscimento del vincolo della continuazione tra il fatto oggetto del presente procedimento e il reato analogo accertato con sentenza divenuta irrevocabile il 1.12.2022, dopo il deposito dei motivi di appello.
7. Il motivo è, tuttavia inammissibile.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, è, infatti, improponibile davanti alla Corte di cassazione la richiesta di applicazione della continuazione tra il reato per il quale si procede, ancora sub iudice, e altro reato, per il quale sia intervenuta condanna definitiva successivamente alla pronuncia della sentenza gravata di ricorso, potendo in tal caso la continuazione essere applicata in sede esecutiva (ex plurimis: Sez. 6, n. 54638 del 2018, COGNOME, Rv. 274708-01; Conf.: Sez. 5, n. 5236 del 2014, COGNOME, Rv. 258880; Sez. 2, n. 3197 del 2015, COGNOME, Rv. 264180)
Alla stregua dei rilievi che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso in Roma, il 06/03/2024.