Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27047 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27047 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento a carico di
COGNOME NOMECOGNOME nato a Reggio Calabria il 11/07/1972
avverso la ordinanza del 20/03/2025 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata .
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza del 20 marzo 2025, in accoglimento della richiesta di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. dello stesso Tribunale il 13 febbraio 2025, annullava il provvedimento impugnato disponendo la restituzione della somma di denaro sequestrata.
Il Tribunale escludeva il fumus del reato contestato all’indagato a i capi 276), 277) e 278) dell’imputazione provvisoria (concorso in truffa aggravata e continuata commessa in danno dell’Agenzia delle Entrate) in quanto riteneva che l’indicazione nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2016, 2017 e 2021 di elementi attivi o passivi inesistenti e la falsa indicazione dei presupposti per accedere a detrazioni fiscali non spettanti non configurassero il reato previsto dall’art. 640, secondo comma, n. 1, cod. pen. bensì quello ex art. 4 decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 o tuttalpiù quello ex art. 3 dello stesso decreto, nel caso di specie non punibili in quanto il beneficio fiscale conseguito da COGNOME era di molto inferiore alle soglie di 100.000 euro e 30.000 euro per ciascun periodo di imposta previste rispettivamente nei medesimi articoli.
L’ordinanza impugnata , inoltre, osservava che il provvedimento impugnato non conteneva alcuna autonoma valutazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora , vizio non sanabile dal Tribunale del riesame.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria chiedendone l’annullamento i n ragione di due motivi.
2.1. Violazione della legge penale in relazione agli artt. 640, secondo comma, n. 2 cod. pen., 3 e 4 decreto legislativo n. 74 del 2000, per avere il Tribunale erroneamente riqualificato la truffa aggravata nelle fattispecie di natura tributaria di cui ai suddetti articoli, non punibili per mancato raggiungimento delle soglie previste, omettendo di valutare tutte le ulteriori condotte di artifici e raggiri che impediscono l’operatività del principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen. nonché il profilo della indebita consegna di parte del profitto illecito alla struttura associativa che non consente di limitare e perimetrare il fine della condotta alla sola evasione fiscale.
Lo stesso Tribunale ha dato atto che le condotte dei contribuenti andavano valutate nel contesto della operatività di ‘un’articolata associazione criminale diretta alla commissione di plurimi reati in danno dell’Agenzia delle Entrate, che riusciva ad assicurare a soggetti compartecipi (o anche solo compiacenti) l’indebita percezione di rimborsi IRPEF nel complesso di ingente portata’.
Fra le condotte idonee a costituire gli artifici e raggiri il ricorrente ne ha indicate alcune in particolare: la creazione di falsi profili di operatori accreditati presso diversi CAF; la creazione di false sedi di CAF; la ripartizione di compiti di procacciamento dei contribuenti compiacenti; la raccolta illecita di dati identificativi, credenziali di accesso e PIN; la raccolta di dati anagrafici e fiscali; l’inserimento di una mole significativa di dichiarazioni, rettifiche e successive
integrazioni; la fraudolenta indicazione di codici IBAN e coordinate bancarie per l’accreditamento delle somme.
L’ammontare dei guadagni ottenuti dall’associazione in forza dell’attività fraudolenta era di gran lunga superiore alle soglie di punibilità previste per la singola dichiarazione.
2.2. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta insussistenza del periculum in mora e in particolare del pericolo di dispersione delle somme, confermato dall’esito dell’esecuzione della misura cautelare, che ha consentito il sequestro, disposto per oltre 718.000 euro (totale del profitto illecito), soltanto di circa 411.000 euro.
Diversamente da quanto osservato dal Tribunale, il G.i.p. ha argomentato in ordine al suddetto profilo in relazione sia alle esigenze sottese al sequestro impeditivo sia a quelle inerenti alla confiscabilità delle somme.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, in mancanza di alcuna richiesta di discussione proposta ex art. 611 cod. proc. pen. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso inerente alla qualificazione giuridica della condotta contestata non è fondato, circostanza che di per sé impone il rigetto dell’impugnazione.
Correttamente il Tribunale, in primo luogo, ha evidenziato che nello stesso capo d’accusa non risultano contestati artifizi e raggiri aggiuntivi e diversi rispetto a quelli concretizzatisi nel contenuto delle stesse dichiarazioni infedeli, nelle quali venivano indicati elementi passivi fittizi, quali ritenute fiscali e spese sanitarie inesistenti, riconducibili nel paradigma della fattispecie prevista dall’art. 4 decreto legislativo n. 74 del 2000, che punisce «chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti».
Risulta poi pertinente la pronuncia delle Sezioni Unite richiamata nell’ordinanza impugnata, secondo la quale è configurabile un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (artt. 2 e 8 del citato decreto) e il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, secondo comma, n. 1, cod. pen.), in quanto qualsiasi condotta fraudolenta
diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all ‘ evasione fiscale, quale l ‘ ottenimento di pubbliche erogazioni (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865 -01; in senso esattamente conforme cfr. Sez. 3, n. 36916 del 03/11/2020, COGNOME, Rv. 280788 -01).
Il principio vale a maggior ragione in caso di dichiarazione infedele, fatto meno grave rispetto alle ipotesi di frode fiscale, poiché, anche in questo caso, l’ottenimento di rimborsi non dovuti a seguito della falsa rappresentazione di spese o altri oneri inesistenti comporta solo un vantaggio fiscale per il contribuente, in assenza di ulteriori profitti diversi rispetto all’evasione fiscale.
Il profitto conseguito dall’indagato coincide, dunque, con l’evasione delle imposte, la cui finalità, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. d) , d.lgs. n. 74 del 2000, è comprensiva «anche del fine di ottenere un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito di imposta, il cui perseguimento è posto come scopo della condotta tipica».
Per superare l ‘ obiezione costituita dall ‘ assenza di un autonomo disvalore dell ‘ ipotizzata truffa, il ricorrente ha fatto riferimento all’ottenimento di un profitto ulteriore quale ‘ prezzo del servizio illecito ‘.
Tuttavia -anche a voler prescindere dalla novità del profilo dedotto solo in questa sede -detto ‘ vantaggio ‘ nulla aggiungerebbe all ‘ indebito rimborso, trattandosi di una ripartizione pro quota tra i concorrenti di quell’unico profitto ricavato dalla condotta decettiva eziologicamente riferibile al reato tributario, senza alcun ulteriore danno per l’Erario .
Analogamente può osservarsi a proposito della riconducibilità alla struttura associativa degli illeciti profitti derivanti dai reati fiscali, in quanto la domanda cautelare non riguardava detta fattispecie di reato, essendo la somma sequestrata specificamente riferita al profitto illecito della contestata truffa di cui ai capi 276), 277) e 278) della imputazione provvisoria.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 15/07/2025.