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Reato reddito di cittadinanza: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44035/2024, ha annullato una sentenza di assoluzione per il reato reddito di cittadinanza. La Corte ha stabilito che, nonostante la programmata abrogazione della misura, una specifica norma transitoria ha garantito la continuità della punibilità per le condotte illecite commesse fino al 31 dicembre 2023, escludendo l’applicazione del principio della legge più favorevole.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato reddito di cittadinanza: nessuna abolitio criminis per i fatti fino al 2023

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 44035 del 31 maggio 2024, ha affrontato una questione cruciale riguardante la continuità normativa del reato reddito di cittadinanza. Contrariamente a quanto stabilito in primo grado, la Suprema Corte ha chiarito che le condotte illecite commesse fino al 31 dicembre 2023 restano pienamente punibili, annullando una sentenza di assoluzione e riaffermando la coerenza del legislatore nella transizione tra i diversi sistemi di sostegno al reddito.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una sentenza del Tribunale di Trani che aveva assolto un imputato dall’accusa di aver illecitamente percepito il reddito di cittadinanza (reato previsto dall’art. 7, comma 2, del d.l. n. 4/2019). La motivazione del giudice di primo grado si basava sull’interpretazione della Legge n. 197/2022, che aveva disposto l’abrogazione, a far data dal 1° gennaio 2024, delle norme relative al reddito di cittadinanza, inclusa la fattispecie penale. Secondo il Tribunale, si era verificata una abolitio criminis, ovvero una cancellazione del reato, con conseguente applicazione del principio di retroattività della legge più favorevole (art. 2, comma 2, c.p.).

Il Ricorso del Procuratore e la continuità del reato reddito di cittadinanza

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani ha impugnato la sentenza di assoluzione, sostenendo un’errata interpretazione della successione di leggi. Il ricorrente ha evidenziato come, prima che l’abrogazione programmata diventasse efficace, il legislatore fosse intervenuto nuovamente con il d.l. n. 48/2023 (il cosiddetto “Decreto Lavoro”). Questo decreto, nell’introdurre le nuove misure di sostegno come l’Assegno di Inclusione, ha inserito una disposizione transitoria cruciale (art. 13). Tale norma ha stabilito espressamente che le disposizioni penali dell’art. 7 del d.l. 4/2019 continuassero ad applicarsi per tutti i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023. L’intento del legislatore era chiaro: evitare un vuoto normativo e garantire la tutela penale per tutta la durata del beneficio.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente le argomentazioni del Procuratore, ritenendo il ricorso fondato. Gli Ermellini hanno ricostruito l’intricato percorso legislativo, sottolineando che l’abrogazione disposta dalla L. n. 197/2022 era “ad efficacia ritardata”. Ciò significa che, sebbene la legge fosse entrata in vigore prima, i suoi effetti abrogativi erano sospesi fino al 1° gennaio 2024.

Prima di tale data, è intervenuto il d.l. 48/2023, che ha saldato la continuità normativa. La Corte ha spiegato che la previsione di mantenere in vita le sanzioni penali per le condotte passate è una deroga ragionevole e costituzionalmente legittima al principio della lex mitior. Questa scelta si giustifica con la necessità di coordinare la soppressione del vecchio beneficio con l’introduzione del nuovo, assicurando che l’indebita percezione di fondi pubblici rimanesse un illecito penalmente rilevante senza soluzione di continuità.

La Suprema Corte, richiamando anche precedenti pronunce delle Sezioni Unite, ha affermato che la volontà del legislatore era quella di garantire una transizione ordinata, mantenendo il disvalore penale delle condotte fraudolente. Pertanto, al momento della sentenza di primo grado, il reato non poteva considerarsi abrogato per i fatti commessi entro il 31 dicembre 2023.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione impugnata, rinviando il procedimento alla Corte di Appello di Bari per un nuovo giudizio. Il principio di diritto stabilito è inequivocabile: non vi è stata alcuna abolitio criminis per il reato reddito di cittadinanza per le condotte realizzate fino alla fine del 2023. La successione di leggi, sebbene complessa, ha garantito la perdurante applicazione delle sanzioni penali, confermando la volontà del legislatore di non lasciare impunite le frodi ai danni dello Stato durante il periodo di transizione verso le nuove misure di sostegno economico.

Il reato per indebita percezione del reddito di cittadinanza è stato abrogato?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che il reato non è stato abrogato per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023. Una successiva legge (d.l. 48/2023) ha garantito la continuità della sanzione penale fino alla soppressione del beneficio.

Perché il Tribunale aveva inizialmente assolto l’imputato?
Il Tribunale aveva erroneamente interpretato una legge (l. 197/2022) che prevedeva l’abrogazione della norma incriminatrice a partire dal 1° gennaio 2024, ritenendo che il fatto non fosse più previsto dalla legge come reato, senza considerare la successiva legislazione che ne ha assicurato la vigenza fino al 31 dicembre 2023.

Cosa succede ora nel procedimento?
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione e ha rinviato il caso alla Corte di Appello di Bari per un nuovo giudizio, che dovrà attenersi al principio di diritto stabilito, ovvero la piena punibilità della condotta per i fatti commessi entro il 31 dicembre 2023.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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