LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Reato proprio: distributore non punibile per la colla

Il legale rappresentante di un’azienda distributrice è stato condannato per la vendita di colla contenente toluene oltre i limiti. La Cassazione ha annullato la sentenza, stabilendo che il reato contestato è un ‘reato proprio’, imputabile solo a produttori, importatori, rappresentanti esclusivi o utilizzatori a valle, escludendo quindi il mero distributore che si limita a riconfezionare il prodotto.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Il reato proprio e la responsabilità del distributore: il caso della colla non conforme

Con la sentenza n. 1454 del 2024, la Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per le aziende della filiera distributiva: la responsabilità penale per l’immissione in commercio di prodotti non conformi. Il caso analizzato riguarda la commercializzazione di una colla contenente toluene in quantità superiori ai limiti di legge, e la decisione si concentra sulla natura di reato proprio della fattispecie, delineando chiaramente chi può essere considerato responsabile.

La vicenda processuale: dalla condanna all’assoluzione

Il legale rappresentante di un’azienda era stato condannato dal Tribunale per aver confezionato e immesso sul mercato una colla non conforme alle normative europee (Regolamento REACH). La sua società acquistava il prodotto sfuso da un’azienda produttrice italiana, lo riconfezionava in tubetti e lo vendeva a grossisti, che a loro volta lo fornivano ai rivenditori finali. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, di non possedere la qualifica soggettiva richiesta dalla norma incriminatrice per poter commettere il reato.

Il nodo giuridico: il reato proprio nel D.Lgs. 133/2009

Il punto centrale della controversia risiede nell’interpretazione dell’art. 16 del D.Lgs. n. 133 del 2009. Questa norma sanziona la fabbricazione, l’immissione sul mercato o l’utilizzo di sostanze chimiche non conformi alle restrizioni previste dall’Allegato XVII del Regolamento REACH. La difesa ha sostenuto che si tratta di un reato proprio, ovvero un reato che può essere commesso solo da soggetti con qualifiche specifiche.

L’analisi della Corte di Cassazione sul reato proprio

La Suprema Corte ha accolto questa tesi. Analizzando la normativa, ha evidenziato come l’art. 16 si rivolga esplicitamente a quattro figure ben definite:

1. Fabbricante: chi produce la sostanza.
2. Importatore: chi introduce la sostanza nel territorio comunitario.
3. Rappresentante esclusivo: chi, incaricato da un produttore extra-UE, adempie agli obblighi degli importatori.
4. Utilizzatore a valle: chi, diverso da fabbricante o importatore, utilizza la sostanza in un processo industriale o professionale.

La Corte ha sottolineato che la legge esclude esplicitamente da queste categorie la figura del distributore, definito come colui che si limita a immagazzinare e immettere sul mercato la sostanza per venderla a terzi. L’attività dell’azienda dell’imputato, consistita nell’acquisto della colla da un produttore italiano e nel suo mero riconfezionamento, rientra perfettamente in questa definizione.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha stabilito che, poiché l’azienda dell’imputato agiva come semplice distributore, il suo legale rappresentante non possedeva la qualifica soggettiva richiesta dalla norma per poter essere autore del reato. La condotta contestata, pur essendo materialmente avvenuta, non poteva integrare la fattispecie criminosa a causa del difetto di una condizione essenziale richiesta dalla legge.

Di conseguenza, il fatto contestato non sussiste come reato per l’imputato. La Corte ha quindi annullato la sentenza di condanna senza rinvio, applicando la formula assolutoria più favorevole. Questa decisione prevale anche sulla possibile estinzione del reato per prescrizione, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale, secondo cui il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione se risulta evidente che il fatto non sussiste o non costituisce reato.

Le conclusioni

Questa sentenza offre un’importante precisazione sui confini della responsabilità penale all’interno della catena di approvvigionamento di prodotti chimici. Stabilisce un principio chiaro: per il reato proprio previsto dall’art. 16 del D.Lgs. 133/2009, la responsabilità è circoscritta ai soggetti che hanno un ruolo attivo nella produzione, importazione o utilizzo professionale della sostanza. Il distributore che si limita a commercializzare e riconfezionare un prodotto acquistato da un fabbricante nazionale non può essere ritenuto penalmente responsabile per la non conformità del prodotto stesso, in quanto privo della qualifica soggettiva richiesta dalla norma.

Chi può essere ritenuto penalmente responsabile per la commercializzazione di un prodotto chimico non conforme secondo l’art. 16 del D.Lgs. 133/2009?
La responsabilità penale è limitata ai soggetti che possiedono una specifica qualifica: il fabbricante, l’importatore, il rappresentante esclusivo o l’utilizzatore a valle. Il mero distributore è escluso.

Un’azienda che acquista un prodotto sfuso e lo riconfeziona per la vendita è considerata un ‘distributore’ o un ‘fabbricante’?
Secondo la sentenza, un’azienda che acquista una sostanza da un produttore, la riceve in cisternette e si limita a trasferirla in confezioni più piccole (tubetti) per poi cederla ai grossisti svolge un’attività di distribuzione e non di fabbricazione.

Se un reato è prescritto ma è anche evidente che l’imputato non poteva commetterlo, quale decisione prende il giudice?
Il giudice deve pronunciare una sentenza di assoluzione con la formula più favorevole, come ‘il fatto non sussiste’, perché l’accertamento dell’innocenza prevale sulla causa di estinzione del reato come la prescrizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati