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Reato presupposto riciclaggio: la prova è essenziale

La Corte di Cassazione annulla con rinvio una sentenza di condanna per riciclaggio, stabilendo un principio fondamentale: il reato presupposto riciclaggio deve essere identificato e provato in modo concreto, non potendo basarsi su una mera ipotesi generica. Il caso riguardava un sacerdote e una commercialista accusati di aver riciclato ingenti somme di denaro. La Corte ha ritenuto che i giudici di merito non avessero adeguatamente dimostrato l’esistenza del delitto tributario da cui sarebbero provenuti i fondi, invalidando così la condanna per il reato derivato.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Presupposto Riciclaggio: La Prova Concreta è Indispensabile

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cardine in materia di reati contro il patrimonio: per una condanna per riciclaggio, la prova del reato presupposto riciclaggio non può essere una semplice congettura, ma deve fondarsi su elementi concreti e specifici. La Suprema Corte ha annullato la condanna inflitta a un sacerdote e a una professionista, accusati di aver riciclato ingenti somme di denaro, proprio per la mancata e precisa identificazione del delitto da cui tali somme sarebbero derivate.

Il Caso: Dalle Accuse di Riciclaggio alla Decisione della Cassazione

La vicenda processuale ha visto coinvolti un sacerdote con funzioni dirigenziali presso un ente di gestione patrimoniale e una commercialista di sua fiducia. Entrambi erano stati condannati in appello per riciclaggio. L’accusa sosteneva che il sacerdote avesse riciclato milioni di euro di provenienza illecita, ricevuti tramite donazioni da una famiglia di armatori e depositati su conti correnti, anche esteri. La commercialista era accusata di concorso nel reato, per aver contribuito a ‘ripulire’ una parte di tale denaro attraverso operazioni societarie.

Un punto cruciale del processo è stata la definizione del reato presupposto. Inizialmente si era ipotizzata l’evasione fiscale da parte della famiglia di armatori, ma tale accusa era stata archiviata. I giudici di merito avevano quindi riqualificato il reato presupposto in ‘sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte’ (art. 11 D.Lgs. 74/2000), una fattispecie diversa e più specifica. Le difese degli imputati hanno impugnato la decisione, lamentando che anche questa nuova ipotesi non fosse mai stata concretamente provata.

La Questione Giuridica: L’Individuazione del Reato Presupposto nel Riciclaggio

Il cuore della questione legale risiede nella necessità di provare l’esistenza del reato presupposto riciclaggio. Il delitto di riciclaggio (art. 648-bis c.p.) è un ‘reato derivato’: non può esistere senza un delitto originario (il ‘presupposto’, appunto) che abbia generato i proventi illeciti. La giurisprudenza ammette che il reato presupposto non debba essere accertato con una sentenza di condanna passata in giudicato, ma la sua esistenza deve comunque essere dimostrata, almeno nei suoi elementi essenziali, nel processo per riciclaggio.

La difesa ha sostenuto che, nel caso di specie, i giudici si erano limitati a ipotizzare un generico delitto tributario, senza però verificare concretamente se le soglie di punibilità fossero state superate, se esistesse un debito erariale e se fossero stati compiuti specifici atti fraudolenti. Questa mancanza di accertamento, secondo i ricorrenti, rendeva la condanna per riciclaggio giuridicamente insostenibile.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi, annullando la sentenza e rinviando il caso a un nuovo giudizio d’appello. I giudici supremi hanno chiarito che, sebbene sia possibile per il giudice di merito identificare un reato presupposto diverso da quello originariamente contestato, questo non può avvenire in modo astratto o presuntivo. È necessario che gli elementi costitutivi del reato presupposto, sia oggettivi che soggettivi, siano verificati in concreto. Nel caso in esame, la Corte ha rilevato una ‘ontologica e giuridica inconsistenza del reato presupposto’. I giudici di merito non avevano fornito la prova del compimento di atti simulati o fraudolenti da parte della famiglia di armatori, né del superamento delle soglie di punibilità previste dalla legge tributaria. La motivazione della Corte d’appello è stata giudicata carente perché non ha risposto in modo adeguato alle specifiche censure sollevate dalla difesa su questo punto cruciale, limitandosi a confermare una ricostruzione ipotetica e non supportata da prove concrete emerse nel dibattimento.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza rafforza le garanzie difensive nel processo penale e stabilisce un importante confine tra l’accertamento probatorio e la mera supposizione. Le conclusioni che possiamo trarre sono principalmente due:
1. Non c’è riciclaggio senza un reato provato: L’accusa deve identificare e provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, non solo l’attività di ‘ripulitura’ del denaro, ma anche la sua provenienza da un fatto che costituisce delitto. Non è sufficiente un generico sospetto sulla provenienza illecita dei fondi.
2. Il contraddittorio è fondamentale: Se l’ipotesi di reato presupposto cambia nel corso del processo, la difesa deve avere la piena possibilità di confrontarsi sui nuovi elementi. Una condanna non può basarsi su una qualificazione giuridica ‘a sorpresa’, emersa solo nella motivazione della sentenza e non discussa tra le parti.

In sintesi, la decisione della Cassazione ribadisce che la ‘prova logica’, pur utile in fasi preliminari come i sequestri, non può sostituire l’accertamento rigoroso dei fatti nel giudizio di merito, garantendo che nessuno possa essere condannato per riciclaggio sulla base di un reato presupposto fantasma.

Per condannare per riciclaggio, è sufficiente ipotizzare genericamente l’esistenza di un reato presupposto?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non è sufficiente. Il reato presupposto deve essere identificato in modo specifico e i suoi elementi costitutivi devono essere concretamente provati nel corso del processo. Una generica ipotesi o una ‘astratta ipotizzabilità’ non sono sufficienti per fondare una sentenza di condanna.

Cosa succede se il reato presupposto originariamente contestato viene archiviato o escluso durante il processo?
Il giudice può individuare un diverso reato presupposto rispetto a quello inizialmente contestato. Tuttavia, questa nuova qualificazione deve basarsi su prove concrete emerse nel dibattimento e deve essere oggetto di contraddittorio tra le parti, non potendo essere una deduzione astratta o presuntiva introdotta per la prima volta in sentenza.

La ‘prova logica’ è sufficiente per dimostrare il reato presupposto nel giudizio di merito?
No. Sebbene la giurisprudenza ammetta che l’esistenza del reato presupposto possa essere desunta anche in via logica, specialmente nelle fasi cautelari (come i sequestri), nel giudizio di merito questo non può sopperire alla mancanza di un accertamento concreto dei suoi elementi essenziali. La ‘prova logica’ non può risolvere un’ontologica insussistenza del reato presupposto contrastata da precisi elementi di valutazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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