Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11483 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11483 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/02/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sui ricorsi proposti nell’interesse di: COGNOME nato a SALERNO il 25/03/1952, COGNOME NOMECOGNOME nata a SCAFATI il 18/01/1958; avverso la sentenza del 16/04/2024 della Corte d’appello di Salerno; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso, riportandosi alla memoria depositata, chiedendo il rigetto dei ricorsi. uditi i difensori dei ricorrenti, avvocato NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata; avvocato NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che ha pure insistito per l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 4 marzo 2022, il Tribunale di Salerno, all’esito del giudizio ordinario, così decideva in ordine all’oggetto delle imputazioni:
dichiarava NOME COGNOME responsabile del delitto di riciclaggio di denaro a lui ascritto al capo a) -limitatamente alla somma di euro 2.399.373,79- in esso assorbiti i reati contestati ai capi b), c), d), f), limitatamente alla residua somma di euro 450.000,00, e g) e, per l’effetto, riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata, operato l’aumento per la continuazione interna al capo a), lo condannava alla pena di sette anni di reclusione ed euro 7.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali;
dichiarava NOME COGNOME responsabile del reato di concorso in riciclaggio di denaro a lei ascritto al capo c) e, per l’effetto, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, operato l’aumento per la continuazione, la condannava alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
La Corte di appello di Salerno decidendo -con la sentenza qui impugnata- sugli appelli proposti dai difensori degli imputati, così provvedeva:
riconosciuta in favore di entrambi la circostanza attenuante prevista dall’art. 648bis , comma quarto, cod. pen. (in ragione della pena edittale prevista per il delitto presupposto ritenuto in sentenza), ritenuta prevalente, per Scarano, sulle contestate aggravanti, rideterminava la pena nei suoi confronti in anni cinque, mesi tre di reclusione e in euro 5.000,00 di multa e, nei confronti della COGNOME, in anni due e mesi cinque di reclusione e in euro 3.200,00 di multa;
revocava, per l’effetto, la pena accessoria inflitta in primo grado alla COGNOME;
confermava nel resto l’impugnata sentenza.
3. I fatti contestati in imputazione.
NOME COGNOME sacerdote con funzioni dirigenziali presso il Vaticano, quale responsabile dell’Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede (A.P.S.A): riciclaggio ex art. 648bis cod. pen., per avere, con piø azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e fuori dai casi di concorso, riciclato somme di danaro di provenienza illecita, di cui circa 3,5 milioni allo stato giacenti presso i suoi conti correnti nazionali ed esteri presso l’Istituto per le Opere Religiose (IOR) di Città del Vaticano ed euro 3 milioni circa in investimenti mobiliari ed opere d’arte, investimenti immobiliari finanziari e societari sul territorio salernitano risultati a lui direttamente e/o indirettamente riconducibili, ponendo in essere una serie di condotte finalizzate ad occultare l’illecita provenienza delle somme a lui bonificate, con l’aggravante di cui all’art. 61, primo comma, n. 9 cod. pen., per aver posto in essere tali condotte con abuso della qualifica di ministro del culto cattolico. In Salerno, dal 2006 con condotta perdurante.
NOME COGNOME commercialista legata al prelato da profonda confidenza: in concorso con lo stesso COGNOME quale tenutaria delle scritture contabili della RAGIONE_SOCIALE e sebbene professionista obbligata all’invio delle segnalazioni in materia di antiriciclaggio, partecipava scientemente e consapevolmente non muovendo alcun rilievo, nØ interrogandosi circa l’origine e l’illecita natura della somma di euro 758.000,00 fatta affluire dal prelato in un ristretto arco temporale sul conto corrente della citata società, benchØ inattiva e legalmente amministrata da un soggetto diverso, COGNOME NOME, detentore solo dell’1% del capitale sociale, concorrendo in tal modo alla ‘ripulitura’ del denaro in un investimento di societario di risorse finanziarie di provenienza illecita.
Avverso la decisione resa in appello, hanno proposto ricorsogli imputati, a ministero dei rispettivi difensori, chiedendo l’annullamento della sentenza per violazione della legge penale e/o processuale e vizi motivazionali, in relazione a diversi profili della decisione, evidenziati con i contestuali motivi.
5. NOME COGNOME.
5.1. Con ragionamento condiviso dalla Corte d’appello, il Tribunale ha operato una radicale immutazione della contestazione, individuando, quale fattispecie presupposta del delitto di riciclaggio, quella descritta dall’art. 11 d.lgs. n. 74/2000 (testo unico delle disposizioni penali tributarie), in luogo di quella di cui all’art. 4 dello stesso testo unico, sulla quale si era incentrato il contraddittorio nel processo di primo grado; tanto in ragione della circostanza che quest’ultima fattispecie era stata esclusa dal GIP del Tribunale di Roma, che aveva disposto l’archiviazione del procedimento penale sorto a carico degli armatori COGNOME, ipotizzati finanziatori dello COGNOME, imputato della fattispecie derivata. Il tipo incriminato dalla norma richiede, in modo puntale, quale elemento indispensabile per la configurazione del reato di riciclaggio, la provenienza del bene da delitto non colposo.
Come Ł noto, in giurisprudenza convivono diverse interpretazioni del livello di precisione sull’accertamento dell’esistenza del reato presupposto, ma anche gli orientamenti piø restrittivi
pretendono, in ogni caso, la verifica della provenienza del denaro o del bene da un determinato delitto presupposto, anche se non accertato giudizialmente in modo compiuto. Il reato presupposto deve essere oggettivamente esistente per poter generare il delitto c.d. derivato.
Fermo quanto precede, rileva il Collegio come, nella fattispecie, non sia mai stata accertata l’esistenza di un debito erariale in capo agli autori del fatto presupposto, nØ sono mai stati verificati i connotati penali della presunta violazione dell’art. 11 d.lgs. n. 74/2000. In particolare, nel decreto di archiviazione prodotto dalla difesa ed unico atto giurisdizionale che si attiene dell’eventuale reato presupposto, si precisa che non emergono elementi certi per ritenere superata la soglia di punibilità prevista dall’art. 4 d.lgs. n. 74/2000. L’assenza di tale accertamento non può neanche essere sopperita con un ragionamento indiziario o ricorrendo ai principi della logica. Inoltre, dalla lettura della sentenza di primo grado emerge che, nella fase delle indagini preliminari, non Ł mai stata svolta alcuna indagine fiscale nei confronti dei componenti la famiglia di armatori COGNOME (che si assumono autori delle condotte dei reati dei cui proventi qui si discute) e che, pertanto, non Ł stata neppure calcolata la somma eventualmente sottratta all’Erario. L’insussistenza ontologica del reato descritto all’art. 11 d.lgs. n. 74/2000 riverbera, giuridicamente i suoi effetti anche sulla configurabilità del reato contestato alla COGNOME.
5.2. La Corte d’Appello di Salerno ha ritenuto, con motivazione apparente o comunque manifestamente illogica, infondata la doglianza difensiva in ordine al difetto degli elementi costitutivi del delitto di riciclaggio.
E’ pacifico che il reato di riciclaggio si concretizza nel momento in cui si effettua la sostituzione o il trasferimento di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo ovvero si compiono altre operazioni dirette all’occultamento della traccia illecita ed il presupposto Ł dato dall’accertata provenienza delittuosa della provvista.
Nel caso di specie, Ł acclarato che le somme di denaro di cui si contesta l’illecita provenienza siano entrate nella disponibilità di COGNOME mediante donazioni ricevute, nel tempo, da parte dei componenti la famiglia COGNOME, tramite versamenti periodici sul conto corrente dello IOR al quale lo stesso aveva accesso, in virtø delle sue funzioni svolte presso il Vaticano. Al fine di vanificare l’effetto paralizzante del decreto di archiviazione prodotto in primo grado, sarebbe stato dunque indispensabile fornire elementi certi, inconfutabili ed al di là di ogni ragionevole dubbio, indicando specificatamente le condotte illecite attuate dal titolare della provvista all’estero. Viceversa, nel processo non Ł stato effettuato alcun accertamento sull’ an e sul quantum delle somme eventualmente sottratte all’Erario, tale anche da ritenere superata la soglia di punibilità prevista dalla norma incriminatrice della evasione fiscale: da qui la mancanza della prova della provenienza illecita delle somme bonificate dalle società estere facenti capo alla famiglia COGNOME. Inoltre, anche considerando sottratte alla tassazione le somme trasferite dai COGNOME allo COGNOME nel periodo 2006-2012 a titolo di donazione, esse non supererebbero i limiti imposti dalla normativa affinchØ possa ritenersi concretizzato il reato di evasione fiscale, come evidenziato dalla consulenza tecnica acquisita nel corso del dibattimento di primo grado. In riferimento, poi, al mancato controllo da parte della professionista ed alla responsabilità della COGNOME in violazione della normativa antiriciclaggio, si precisa che lo IOR opera come banca estera e si appoggia ad una filiale RAGIONE_SOCIALE solo da un punto di vista operativo; l’Istituto non era pertanto soggetto alla normativa bancaria italiana all’epoca del fatto e la mancata collaborazione della banca estera (IOR) non può riverberare effetti di incriminazione sull’imputato, così come deve ritenersi per la mancanza di accertamenti bancari dell’istituto estero. La COGNOME non può essere considerata l’organizzatrice della vicenda in esame, in quanto si Ł limitata alla materiale consegna di alcune delle buste alle persone individuate ed edotte dallo COGNOME e le dichiarazioni di donazione sottoscritte da cinquanta donatori sono state elaborate da uno studio legale di fiducia del prelato. Dall’istruttoria dibattimentale Ł emerso come la
condotta posta in essere dalla COGNOME nella vicenda fosse di carattere esclusivamente operativo e si prestasse, come tutti gli imputati assolti, ad esaudire la richiesta del monsignore che godeva all’epoca, anche per la funzione di responsabile APSA svolta in Vaticano, di una pubblica e consolidata stima. Inoltre, per la sussistenza dell’elemento psicologico del reato Ł necessaria la consapevolezza della provenienza delittuosa del bene trasformato, consapevolezza che la ricorrente ha sempre negato, mai smentita da elementi indiziari di segno contrario.
6. NOME COGNOME.
6.1. Violazione e falsa applicazione della legge penale (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.). La motivazione per relationem Ł consentita e non viola l’obbligo motivazionale puntuale della decisione, solo in presenza di duplice conformità verticale del giudizio. Orbene, a fronte della nuova qualificazione giuridica del delitto presupposto (art. 11 d.lgs. n. 74/2000, in luogo della evasione d’imposta oggetto di contraddittorio in primo grado), la difesa aveva opposto con l’atto di appello censure di fatto e di diritto, anche con puntuali riferimenti giurisprudenziali; a tali censure la Corte di merito avrebbe dovuto fornire una risposta specifica, che Ł mancata.
La difesa aveva contestato, con l’atto di gravame, anche il mancato accertamento circa l’esistenza del debito tributario, il che impediva dunque, di verificare il superamento delle soglie di punibilità previste dalla citata normativa; tali motivi non consentono una motivazione per relationem , giacchØ occorreva confrontarsi puntualmente con i motivi di gravame.
6.2. Violazione della legge penale ed inosservanza di quella processuale, mancanza di motivazione. La difesa, con l’atto di appello, aveva osservato come il mero riferimento alla generica provenienza illecita del denaro non poteva soddisfare le imposizioni normative, ledendo in tal modo il diritto di difesa. A tale censura la Corte non ha opposto alcuna logica argomentazione.
6.3. Violazione di legge, sub specie di lesione del diritto di difesa, in relazione all’ipotizzato delitto presupposto di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74/2000, anche in via di ipotesi astratta. Si verte in un contesto processuale dove, sin dalla prima contestazione, durante tutto il dibattimento e in sede delle conclusioni, si Ł discusso soltanto di denaro di provenienza genericamente illecita, mentre solo con la stesura della motivazione della sentenza di primo grado si Ł palesata (a sorpresa) la natura giuridica illecita della fonte.
6.4. Violazione della legge penale incriminatrice e vizio esiziale di motivazione. Il Tribunale giunse alla conclusione che le somme di denaro identificabili quali presupposto del riciclaggio sono esclusivamente quelle provenienti dalle società ‘ offshore e ghost’ . La Corte d’appello si Ł limitata a confermare l’assunto, quanto mai generico e non indicativo di una specifica illiceità della traccia: occorreva viceversa verificare quali fossero tali somme, in quali conti correnti fossero state versate e in quale misura utilizzate. Il difetto di accertamento imponeva l’assoluzione per insussistenza del fatto.
6.5. Mancanza di motivazione. La Corte di appello non ha offerto alcuna risposta argomentativa al motivo di appello con il quale si censurava l’accertamento della sussistenza del debito tributario, oltre alla capienza del patrimonio del contribuente.
6.6. Violazione di legge penale ed inosservanza di quella processuale. I giudici di merito hanno valorizzato argomenti presuntivi duplici al fine di individuare la sussistenza del debito erariale, nØ hanno offerto alcuna risposta argomentativa in ordine alla rappresentazione che per i fatti antecedenti al primo luglio 2009 tale presunzione non era percorribile. La prova dell’illiceità delle somme di denaro provenienti dai conti esteri delle quattro società riconducibili alla famiglia COGNOME Ł stata offerta solo dalla loro qualificazione come società off-shore .
6.7. Violazione della legge penale. Manca il dolo circa la consapevolezza della illiceità della fonte del denaro trasferito sui conti correnti riconducibili al ricorrente. Difetta tale consapevolezza in
relazione ad ogni singolo atto di trasferimento bancario.
6.8. Violazione di legge, sub specie di mancata individuazione del superamento delle soglie di punibilità indicate nell’art. 11 d.lgs. n. 74/2000. La Corte sul punto non ha offerto alcuna risposta argomentativa.
6.9. Violazione e falsa applicazione della norma incriminatrice. Omesso riconoscimento del concorso di persona nel reato presupposto. Violazione della clausola di salvezza con cui si apre la disposizione incriminatrice ‘privilegio della produzione illecita’. Se l’imputato ha messo ex ante a disposizione degli autori del delitto presupposto il proprio conto corrente, risponde di concorso nel delitto presupposto e non anche di riciclaggio ove ricorra la circostanza di consentire agli autori del reato presupposto di venire successivamente in possesso del profitto illecito.
6.10. Violazione della legge penale per il disposto aumento di pena per la continuazione interna in presenza di prevalenza delle attenuanti sull’aggravante di cui all’art. 61, primo comma, n. 9 cod. pen. La Corte, nonostante abbia riconosciuto le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, ha lasciato immutato l’aumento per continuazione interna di ciascuno dei reati avvinti in continuazione.
6.11. Violazione della legge penale (art. 133 cod. pen.); eccessività della pena irrogata in concreto. Le attenuanti generiche sono dimostrative, anche con riferimento all’epoca dei fatti, epoca in cui l’imputato non era attinto da alcun precedente penale, di una personalità decisamente estranea al crimine, dall’altra l’attenuante di cui all’art. 648bis , comma quarto, cod. pen., consente di poter affermare che la presunta somma di denaro che avrebbe costituito l’esborso dovuto da parte dei COGNOME all’erario non superava gli euro 200.000,00 da calcolare per tutti gli anni oggetto di imputazione. Consegue che, in assenza di delitto presupposto, non può ritenersi integrato neppure il tipo del delitto derivato, contestato al capo B), del quale difetta altresì il carattere dissimulatorio, trattandosi di operazioni finanziarie tutte tracciate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Sono fondati i motivi comuni ad entrambi i ricorrenti (violazione e falsa applicazione della legge penale incriminatrice, vizi esiziali della motivazione, manifestamente illogica e non congruente con le evidenze dibattimentali) spesi in tema di mancata precisa identificazione (in imputazione) del reato presupposto dei delitti di riciclaggio ritenuti in sentenza e ontologica e giuridica inconsistenza del reato presupposto (di natura tributaria) identificato dalla sentenza di primo grado.
1.1. Si Ł detto nel ‘ritenuto in fatto’ che, a fronte di imputazioni che identificavano in termini del tutto generici la provenienza ‘illecita’ delle somme oggetto di riciclaggio e rispetto ad un dibattimento di primo grado in cui il contraddittorio sulla prova era rimasto focalizzato sulla ipotizzata provenienza da delitto di evasione tributaria (dichiarazione infedele, art. 4 D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, testo unico delle disposizioni penali tributarie) delle somme riciclate, la sentenza di primo grado ha ritenuto di individuare il delitto presupposto delle condotte di riciclaggio contestate negli atti di ‘sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte’ (delitto previsto e punito dall’art. 11 D.L.vo cit.), che sanziona la condotta di chi ‘… al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi …, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva …’.
Prima di confrontarsi concretamente con la consistenza ontologica del fatto-reato che il Tribunale e la Corte territoriale hanno identificato come presupposto, appare quanto mai opportuno chiarire i termini della necessaria identificazione del tipo caratterizzante il reato presupposto dei delitti c.d. derivati ad oggetto patrimoniale (ricettazione, riciclaggio, reimpiego, autoriciclaggio).
2.1. Ricordiamo che il testo di tre dei quattro ‘delitti derivati’, identificati nell’articolato codicistico dal medesimo numero arabo (648) e proliferatisi negli anni successivi al 1990 con
l’aggiunta dei suffissi bis, ter e ter. 1, si apre con quella che Ł nota in dottrina come clausola che sancisce il privilegio della produzione: ‘Fuori dei casi di concorso nel reato’. Si tratta di una clausola di riserva espressa, mediante la quale il legislatore ha risolto, in favor rei , l’ipotesi di concorso materiale tra i due reati ( par crimen est rapere et raptam rem serbare ; non minus delinquunt receptores quam aggressores , così si riteneva in epoca classica), quello antecedente e quello pedissequo, che ne presuppone perfezionamento e consumazione. La condotta di acquisto, ricezione, trasformazione o reimpiego speculativo, compiuta dall’autore del delitto presupposto o dal suo concorrente Ł, perciò, un’ipotesi tipica secondo certa dottrina tradizionale di post factum non punibile, dogmaticamente riconducibile alla categoria dei c.d. reati di profitto o utilizzazione ( Verwertungsdelikte ). Chi sfrutta o assicura con fatto successivo e distinto il prodotto del delitto già commesso con altri (messa a profitto del reato) non fa che rendere effettivo lo scopo immediato dell’azione delittuosa originaria; la conseguente impunità del delitto succedaneo Ł giustificata pertanto dal criterio di sussidiarietà.
La giurisprudenza di questa Corte si Ł piø volte occupata della qualificazione dogmatica di una tale riserva; tuttavia, l’arresto ancor oggi piø autorevole sul tema (Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, COGNOME, Rv. 259587 – 01) ha ritenuto di non dover prendere parte nella tenzone accademica classificatoria; nondimeno ha preso atto della evidenza di una clausola di non punibilità espressa, che -per scelta di politica criminale- ha preferito non sanzionare due volte la condotta di chi produce nell’illecito e chi tale prodotto utilizza per suo personale profitto (il furtum conceptum di epoca classica). Il nuovo ‘tipo’ autoriciclaggio (art. 648 ter .1, cod. pen.) ha colmato, dal gennaio 2015, quella che taluni ritenevano (avversando gli argomenti brevemente illustrati) una lacuna sanzionatoria, incriminando anche la condotta di chi trasforma, investe, reimpiega l’illecito già personalmente (o in concorso con altri) prodotto, ma soltanto ove ciò accada per finalità latu senso speculative, in quanto ancor oggi il disvalore penale del mero godimento personale del profitto generato dalla commissione del reato presupposto resta assorbito da quello del reato produttore.
La definitiva autonomia del delitto derivato dalla sua precedente traccia illecita (conquista illuministica, definitivamente codificata in Europa solo nella seconda metà dell’800) non significa, tuttavia, che sia stata cancellata la necessaria derivazione meccanica o finanziaria dalla fattispecie di produzione, con la conseguenza che ove il fatto presupposto non costituisca reato, non può certamente sostenere l’incriminazione del delitto derivato, la cui elevata dignità sanzionatoria trova ratio proprio nella natura di delitti posti a tutela dell’ordine pubblico economico, oltre che del patrimonio.
Di qui la rilevanza essenziale della identificazione di una qualche precisa consistenza ontologica del reato presupposto o produttore, giacchØ il rischio, se si pensa di poter prescindere dalla radice ontologica del delitto produttore, per valorizzare solo elastici percorsi logici, Ł di trasformare questa categoria di delitti derivati in altrettante fattispecie di sospetto ovvero di scivolare verso la riesumata punibilità del possesso ingiustificato di valori (sia esso declinato nei termini indicati all’art. 708 del codice penale o in quelli descritti al comma secondo dell’art. 12 quinquies d.l. 152/1991), che la Corte costituzionale ha inteso cancellare dall’ordinamento penale circa trenta anni or sono (sentenze n. 48 del 1994 e n. 370 del 1996).
A tanto deve pure aggiungersi che, oggi, per effetto dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 195, dell’8 novembre 2021, la novella apportata al codice penale (artt. 648, 648bis e 648ter cod. pen.) dall’art. 1, lett. c, n. 1, 2, 3, del testo normativo, impone all’interprete di porre maggiore attenzione nell’analisi descrittiva della fattispecie concreta da provare nel processo, atteso che Ł testuale la (nuova) incriminazione della ricettazione anche del denaro (o della cosa) proveniente da ‘reato’ (delitto, delitto colposo o contravvenzione) e non piø solo da ‘delitto’ doloso. Il che sembra peraltro riportare i delitti derivati ad oggetto patrimoniale alla graduazione sanzionatoria ‘per fasce di gravità
dei delitti produttori’ del codice Zanardelli (art. 421 del codice abrogato).
Non Ł tanto e non Ł solo questione di apprezzare la ‘novità’ della punibilità di una condotta prima non tipica (ricettazione di denaro o altra cosa proveniente da contravvenzione e non piø necessariamente da delitto, v. Sez. 2, n. 1180 del 02/07/1982, dep. 1983, Blanc, Rv. 157354 – 01), quanto piuttosto di trarre le conseguenze logico-sistematiche da una nuova ‘morfologia’ della incriminazione, che impone di indicare (almeno ai fini della forbice sanzionatoria) la ‘qualità’ ed il ‘tipo’ della traccia illecita che macchia la ricezione o la trasformazione incriminata, rendendola tipica.
2.2. Orbene, la giurisprudenza di legittimità, puntualmente richiamata nel testo motivazionale della sentenza impugnata, ha piø volte affermato che, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio, non si richiedono l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile o non giudiziariamente escluso in forma irrevocabile (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 6584 del 15/12/2021, dep. 2022, Cremonese, Rv. 282629 – 01; Sez. 2, n. 10746 del 21/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263156 – 01).
Si Ł tuttavia precisato (anche in tema di riciclaggio di somme di denaro oggetto di accertamento in itinere nel corso dell’incidente cautelare reale) che la possibilità di risalire al delitto presupposto in via logica, non esonera tuttavia il giudice dalla necessità di individuare la tipologia dell’illecito che sia all’origine del bene oggetto dell’attività di trasformazione, in quanto appunto di provenienza delittuosa, non risultando all’uopo sufficiente il richiamo ad indici sintomatici privi di specificità in ordine alla ‘traccia putribonda’ della disponibilità finanziaria, e suscettibili esclusivamente di provare un ingiustificato possesso (cfr., nei termini, Sez., 2, n. 39006 del 13/7/2018, Onaghise, non mass.; Sez. 2, n. 29074 del 22/05/2018, Ndoj, non mass.; Sez. 2, n. 26301 del 24/05/2016, Aslo, non mass.).
¨ stato perciò chiarito che, ai fini della legittimità del sequestro di cose che si assumono pertinenti al reato di autoriciclaggio, pur non essendo necessari la specifica individuazione e l’accertamento del delitto presupposto, Ł tuttavia indispensabile che esso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti e scrutinati, almeno astrattamente configurabile e precisamente indicato: il che non accade quando il giudice si limiti puramente e semplicemente a supporne l’esistenza, sulla sola base del carattere asseritamente sospetto delle operazioni relative ai beni e valori che si intendono sottoporre a sequestro (cfr., Sez. 2, n. 26902 del 31/05/2022, Visaggio, Rv. 283563 – 01; Sez. 2, n. 813 del 19/11/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 228382 – 01).
2.3. Se Ł dunque certamente vero che l’esistenza del delitto presupposto può essere affermata anche solo incidentalmente in via logica, va pure ricordato che siffatta affermazione Ł stata ribadita prevalentemente in sede cautelare e, in special modo, in sede di sequestro ‘probatorio’ che, ordinariamente, interviene all’origine della indagine quando l’unico elemento oggettivamente acquisito Ł quello della disponibilità ‘ingiustificata’ di denaro o di beni solo talvolta detenuti con modalità tali da consentire di inferire, da tale circostanza di fatto, la loro provenienza delittuosa.
In questa temperie, Ł proprio il ‘momento procedimentale’ che giustifica il mantenimento del sequestro, in quanto precipuamente finalizzato a consentire l’approfondimento degli accertamenti utili a risalire all’origine dei valori in sequestro e, pertanto, alla individuazione (che raramente può essere ‘autoevidente’) del delitto da cui provengano (nei precisi termini, Sez. 2, n. 19133 del 14/03/2024, Wu Rongxiau, non mass., in motivazione pag. 16 e ss.).
2.4. Diversamente, deve invece ritenersi quando le indagini siano state completate, l’imputazione elevata, gli imputati tratti a giudizio e l’istruttoria dibattimentale compiuta. In contesti di tal fatta, alla generica indicazione della fonte illecita contenuta in imputazione, il giudice può supplire con la identificazione di un ‘tipo’, purchŁ di una tale fisionomia si sia concretamente dibattuto nel contraddittorio o nel successivo grado di giudizio di merito (tra le tante, Sez. 5, n. 7984 del
24/09/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254649 – 01).
Nella presente fattispecie processuale, il Tribunale (seguito sul punto dalla Corte di merito) dovendo confrontarsi con un accertamento negativo (ancorchØ non irrevocabile) del fatto presupposto (evasione fiscale commessa dalle stesse persone che avrebbero, in tesi, dovuto consumare il delitto presupposto), escluso con decreto di archiviazione del G.i.p. del Tribunale di Roma relativo a contesti cronologicamente coincidenti- ha ritenuto, come già detto (paragrafo 1.1. del considerato in diritto) di identificare il delitto presupposto in una generica ipotesi di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 t.u., cit.) commessa dai componenti della famiglia COGNOME. Tale fattispecie incriminatrice, oltre a prevedere precise soglie di punibilità, il cui superamento non appare allo stato dimostrato, richiede comunque l’accertato compimento di atti simulati o fraudolenti idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva di iniziativa erariale: atti che la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 45163 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285345 – 01; Sez. 3, n. 35983 del 17/09/2020, COGNOME, Rv. 280372 – 01) identifica solitamente con azioni di sottrazione di beni alla garanzia patrimoniale del creditore erariale. Il che sembra escluso dai fatti accertati nel merito e si pone certamente a valle di un già escluso (e non superato da elementi indiziari di segno diverso) accertamento di debenza tributaria. Nondimeno, valorizzando la natura di pericolo di questo delitto tributario, si Ł pure argomentato in giurisprudenza circa la integrazione del fatto tipico (Sez. 3, n. 37178 del 30/09/2020, COGNOME, Rv. 280449 – 01; Sez. 3, n. 42569 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 278257 – 01) anche con condotte consistenti nella mera esportazione di capitali verso l’estero. Tuttavia, a ben vedere, neppure tale fattispecie può ritenersi attagliata alla fattispecie concreta, ove non di esportazione di capitali all’estero di tratta, quanto piuttosto di ingresso di capitali dall’estero. Capitali che, come opportunamente evidenziato con i motivi di ricorso (e prima ancora con i corrispondenti motivi di gravame spesi nel giudizio di merito), potevano trovare fonte anche nella ricchezza prodotta all’estero dalle compagini imprenditoriali -con sede in paesi extra UE- riconducibili ai componenti della famiglia COGNOME, danti causa dello COGNOME e, in misura molto piø contenuta, della COGNOME.
3.1. Queste considerazioni, la cui traccia semantica si rinviene nei motivi di gravame pretermessi nella motivazione resa dalla Corte territoriale, inducono ad interrogarsi sulla possibilità di affermare la sostanziale indifferenza del dato concernente la identificazione del delitto presupposto e delle sue componenti essenziali, giacchØ la rilevanza della ‘prova logica’ non si può risolvere – come detto – nella mera astratta ipotizzabilità di un reato, la cui ontologica sussistenza appare contrastata da precisi elementi di valutazione già acquisiti al processo.
3.2. NØ può, come pure si legge in parte motiva della sentenza impugnata, valorizzarsi il diverso esito irrevocabile formatosi a carico del concorrente in uno dei delitti di riciclaggio contestati anche allo Scarano, avendo il concorrente definito la propria posizione con rito abbreviato. Occorre infatti ancora una volta precisare che l’esito divergente della -originariamente unitaria- regiudicanda Ł del tutto fisiologico e non apre la stura ad un potenziale contrasto tra giudicati, dipendendo dalla variabile processuale del differente rito prescelto dagli imputati. E’ infatti inevitabile che nel processo celebrato allo stato degli atti (a prova contratta) la piattaforma probatoria valutabile restituisca il valore euristico degli atti assunti nel corso delle indagini preliminari e, nella concreta fattispecie, si Ł pure formata rispetto alla imputazione di un diverso delitto presupposto (evasione fiscale, reato escluso esplicitamente nel presente processo); laddove il processo ordinario celebrato in dibattimento vede valorizzare solo gli elementi di prova ivi formatisi, restando ad esso estranee le evidenze investigative non tradottesi in prove dibattimentali (Sez. 6, n. 16477 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 283317 – 01, che si richiama anche per la giurisprudenza assolutamente conforme indicata in nota CED; v. anche Sez. 2, n. 24324 del 26/04/2022, COGNOME, Rv. 283536 – 01: in
motivazione, a pag. 3, la Corte ha precisato che naturale Ł il diverso epilogo in caso di decisioni assunte sulla base di riti diversi, che presuppongono un differente coefficiente di utilizzazione della prova)
La sentenza impugnata che, nel valutare la responsabilità di entrambi gli imputati per i fatti di riciclaggio loro rispettivamente ascritti in concorso, non ha tenuto conto dei motivi di appello specificamente da ciascuno dedicati al tema della non configurabilità in concreto di quel delitto presupposto immaginato dai giudici di primo grado, va pertanto annullata con rinvio alla Corte di appello viciniore indicata in dispositivo.
4.1. Il giudice del rinvio, nel nuovo esame dei motivi di gravame, dovrà attenersi al principio di diritto espresso nella sede rescindente, non potendosi identificare il reato presupposto del delitto di riciclaggio in una fattispecie astratta solo ipotizzabile, ma mai concretamente verificata nei suoi elementi costitutivi, accertando se e in che termini possa ritenersi configurabile altro delitto presupposto.
4.2. I motivi n. 10 e 11 proposti dalla difesa di NOME COGNOME restano assorbiti dalla decisione rescindente in tema di responsabilità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio avanti alla Corte di appello di Napoli.
Così Ł deciso, 25/02/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME