Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7134 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7134 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato in Cina il DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO, di fiducia
avverso la ordinanza in data 23/03/2023 della Corte di appello di Roma, seconda sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza in data 23/03/2023, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia resa in primo grado dal Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Civitavecchia in data 02/02/2022 con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di anni due, mesi due di reclusione ed euro 10.000 di multa per il delitto di cui agli artt. 56, 648-bis cod. pen.
Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di NOME COGNOME, è stato proposto ricorso per cassazione per il sottoindicato unico formale motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.: inosservanza o erronea applicazione dell’art. 648-bis cod. pen. e contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla mancata o erronea individuazione del c.d. reato presupposto del riciclaggio ed alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. La sentenza impugnata ha motivato in modo assolutamente carente la sussistenza degli elementi strutturali della fattispecie di cui all’art. 648-bis cod. pen., ritenendo erroneamente che la dimostrazione dell’esistenza del reato presupposto potesse arrestarsi alla sola astratta individuazione di mere ipotesi di reato, peraltro incompatibili tra loro (arti 2, 3 e 4 d.lgs. n. 74/2000). In altre parole, i giudici di appello, dalla mer circostanza che l’imputato non abbia chiarito da chi avrebbe ricevuto la consegna del denaro e se con tale persona vi fosse o meno un rapporto di conoscenza, fanno discendere in maniera automatica la prova della provenienza del denaro da delitto nonché la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, consistente nella consapevolezza della provenienza delittuosa. Le motivazioni spese, inoltre, non forniscono elementi sufficienti per individuare l’ipotizzata provenienza delittuosa del denaro di cui lo COGNOME veniva trovato in possesso, risultando insufficiente l’asserzione della Corte secondo cui il denaro trasportato dall’imputato, pari ad euro 770.000, dovesse necessariamente essere provento di attività delittuose, in considerazione dell’asserita inattendibilità della versione dallo stesso inizialmente fornita, potendosi in alternativa ipotizzare una serie di differenti causali a base della disponibilità del denaro, di cui comunque non è stata individuata la possibile provenienza delittuosa, intesa come derivazione da una specifica ipotesi di reato. In assenza di qualsiasi elemento concreto idoneo a specificare l’effettiva esistenza ed individuazione di un delitto presupposto dal quale abbia origine la somma di denaro rinvenuta, il suo mero possesso non può giustificare l’integrazione del reato Corte di Cassazione – copia non ufficiale
di riciclaggio. La generica, astratta e del tutto ipotetica congettura di una “evasione fiscale”, ipotizzata e ritenuta “ragionevole” con le ipotesi, alternative tra loro, cui agli artt. 2, 3 e 4 d.lgs. 74/2000 come presupposto del riciclaggio, non appare meritevole di credito, in quanto assolutamente indeterminata sia nell’oggetto che nel soggetto che avrebbe commesso l’ipotetico reato. Esclusa la sussistenza dei presupposti minimi di un’ipotetica evasione fiscale, l’illecito resterebbe confinato nel più corretto alveo dalla violazione amministrativa. Da ultimo, deve rilevarsi come sia altresì carente la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, integrato dal dolo generico, che ricomprende la volontà di compiere le attività volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di beni od altre utilità, nella consapevolezza di tale origine. Secondo le motivazioni fornite dalla Corte territoriale, il mero possesso della somma di denaro sarebbe ex se sufficiente a dimostrare sia la provenienza illecita del denaro che il dolo generico, rendendo non necessaria alcuna attività istruttoria né di indagine.
3. Il ricorso è fondato.
4. Si è in presenza di motivazione gravemente contraddittoria nella parte in cui, dopo aver evidenziato come l’imputato sia risultato essere il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, inesistente presso la sede legale ed operativa in INDIRIZZO e che lo stesso aveva omesso di presentare dichiarazioni dei redditi e di effettuare versamenti di imposta, ha concluso affermando che dette circostanze in fatto, anche alla luce dell’implausibile versione resa dall’imputato, “… non consentono di ritenere che l’autore dei reati costituenti presupposto del riciclaggio sia lo COGNOME, il quale proprio per l’assenza di redditi non poteva disporre di una così elevata somma di denaro”.
Orbene, considerato che – come è noto – il reato di riciclaggio si pone in termini di incompatibilità con i reati presupposto, la sentenza impugnata incorre in un’evidente tautologia nella parte in cui non spiega perché gli elementi indiziari in merito ai pretesi reati presupposto, in relazione alla qualità e alle condizioni del soggetto detentore dell’ingente somma sequestrata, non fossero da ascriversi, quantomeno in via presuntiva, allo stesso imputato: invero, il riferimento alla suindicata qualità personale, si arresta alla sola constatazione della non riferibilità di uno dei delitti tributari in capo al ricorrente (avendo omesso – come detto – di presentare dichiarazioni dei redditi e di effettuare versamenti di imposta), senza allargare la verifica ad eventuali rapporti commerciali pregressi dai quali desumere, non in termini meramente ipotetici, la riconducibilità del denaro a taluno delle fattispecie penali di evasione fiscale. Il tutto, a tacere dell’omessa
individuazione della tipologia degli alternativi delitti-presupposto ipotizzat dall’Accusa.
Da qui l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto accertato, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto accertato, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma il 19/01/2024.