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Reato più grave: come si calcola la pena in continuazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2866/2024, chiarisce come individuare il reato più grave ai fini dell’applicazione della continuazione. Il giudice dell’esecuzione deve basarsi esclusivamente sulla pena più severa concretamente inflitta, senza alcuna discrezionalità, anche se derivante da un rito speciale come il patteggiamento. La Corte ha annullato la decisione di un giudice di merito che aveva erroneamente scelto la pena meno severa come base per il calcolo, violando il criterio oggettivo stabilito dall’art. 187 disp. att. c.p.p.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato più grave e continuazione: la Cassazione fissa un paletto invalicabile

Quando un soggetto commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, il nostro ordinamento prevede l’istituto della continuazione, che consente di applicare la pena prevista per il reato più grave, aumentata per gli altri reati. Ma come si determina, in concreto, quale sia il reato più grave? La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 2866 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale: la valutazione non è discrezionale, ma si basa su un criterio puramente matematico legato alla pena effettivamente inflitta.

I Fatti del Caso: Un Errore di Calcolo in Fase Esecutiva

Il caso sottoposto alla Suprema Corte riguardava la richiesta di un condannato di applicare la disciplina del reato continuato a due sentenze definitive per furto aggravato. Le due sentenze avevano comminato pene diverse:
1. La prima, emessa a seguito di patteggiamento, prevedeva una pena di un anno e quattro mesi di reclusione e 600 euro di multa.
2. La seconda, emessa dopo un giudizio ordinario, prevedeva una pena di otto mesi di reclusione e 300 euro di multa.

Il giudice dell’esecuzione, accogliendo la richiesta, aveva erroneamente individuato il reato più grave nel secondo, quello punito con la pena minore. Di conseguenza, aveva ricalcolato la pena totale partendo da una base di otto mesi, anziché da quella, ben più severa, di un anno e quattro mesi.

La Questione Giuridica sul reato più grave

Il Procuratore Generale ha impugnato questa decisione, sostenendo la violazione dell’art. 187 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce chiaramente che, ai fini della continuazione, “si considera violazione più grave quella per la quale è stata inflitta la pena più grave, anche quando per alcuni reati si è proceduto con giudizio abbreviato”.

Il fulcro della questione era se il giudice dell’esecuzione potesse operare una valutazione discrezionale, magari considerando altri fattori come il numero di aggravanti, o se dovesse limitarsi a un mero confronto aritmetico delle pene inflitte con le sentenze di condanna.

Le Motivazioni della Cassazione: un Criterio Oggettivo e Vincolante

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore, annullando l’ordinanza e rinviando il caso per un nuovo giudizio. I giudici hanno affermato con forza che il tenore dell’art. 187 esclude in radice qualsiasi intervento discrezionale del giudice dell’esecuzione. Questo giudice, infatti, non riesamina il merito delle condanne, ma si limita a prendere atto delle decisioni già passate in giudicato.

Il suo compito è semplicemente quello di “recepire la valutazione dosimetrica concretamente effettuata dal giudice della cognizione”. Di conseguenza, deve identificare la violazione più grave in quella per cui è stata inflitta “la pena più grave”, così come indicata nel dispositivo della sentenza.

Nel caso specifico, la pena di un anno e quattro mesi di reclusione e 600 euro di multa era palesemente più grave di quella di otto mesi e 300 euro, a prescindere dal rito (patteggiamento) con cui era stata applicata. L’errore del giudice di merito è stato quello di ignorare questo dato oggettivo, probabilmente facendosi influenzare da altri elementi del caso che non avevano più rilevanza in fase esecutiva.

Le Conclusioni: Certezza del Diritto nella Fase Esecutiva

La sentenza ribadisce un principio di fondamentale importanza per la certezza del diritto. Il calcolo della pena in caso di continuazione non può essere soggetto a interpretazioni variabili. Il giudice dell’esecuzione è vincolato a un criterio matematico: confrontare le pene e partire dalla più alta. Questa regola garantisce uniformità di trattamento e impedisce che la fase esecutiva si trasformi in un’occasione per rivedere, in senso peggiorativo o migliorativo, le decisioni dei giudici di merito.

Le implicazioni pratiche sono chiare: per avvocati e condannati, la determinazione della pena base per la continuazione è un’operazione prevedibile e basata su dati incontestabili, rafforzando la stabilità delle sentenze definitive.

Come si determina il “reato più grave” quando si applica la continuazione in fase di esecuzione?
Si determina identificando la violazione per la quale il giudice della cognizione ha concretamente inflitto la pena più severa in termini di specie e quantità, a prescindere dal rito processuale seguito.

Il giudice dell’esecuzione ha discrezionalità nello scegliere il reato più grave?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice dell’esecuzione non ha alcun potere discrezionale. Deve limitarsi a un confronto oggettivo e matematico delle pene già irrogate con le sentenze definitive.

Una pena applicata con “patteggiamento” (art. 444 c.p.p.) può essere considerata la più grave ai fini della continuazione?
Sì. Secondo l’art. 187 disp. att. c.p.p. e la giurisprudenza costante, la pena da considerare è quella inflitta in concreto, anche se determinata a seguito di un rito speciale come il patteggiamento o il giudizio abbreviato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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