Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9564 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9564 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 29/01/2025
R.G.N. 40209/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a Padova il 22/09/1968 COGNOME NOME nato a Padova il 04/12/1992 avverso l’ordinanza del 15/10/2024 del GIP TRIBUNALE di Padova udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso, con requisitoria scritta, chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 15 ottobre 2024 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Padova, quale giudice dell’esecuzione, ha accolto la richiesta avanzata da NOME COGNOME e da NOME COGNOME di ritenere sussistente il vincolo della continuazione tra i reati per i quali essi sono stati condannati con le sentenze emesse dal G.u.p. del Tribunale di Padova in data 08/03/2024 e dal G.u.p. del Tribunale di Milano in data 28/03/2023, entrambe divenute irrevocabili, relative a delitti di evasione fiscale e di riciclaggio, ed ha ricalcolato la pena in quella, complessiva, di anni sei, mesi due e giorni dieci di reclusione per NOME COGNOME e di anni sette, mesi due e giorni 10 di reclusione per NOME COGNOME
Il giudice ha ritenuto piø grave il reato di cui al capo B) della sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Milano, perchØ sanzionato in concreto con la pena piø elevata, ed ha stabilito un aumento di mesi nove di reclusione, ridotto per le attenuanti generiche e per il rito a mesi quattro di reclusione, per il reato satellite piø grave, quello di cui al capo 29) della sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Padova, per il quale era stata irrogata ad entrambi i condannati la pena di anni due e mesi otto di reclusione. Ha poi aggiunto a tali pene quelle determinate dal giudice della cognizione per gli altri reati già ritenuti satelliti dal G.u.p. del Tribunale di Padova.
Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME con due separati atti aventi però identico contenuto, per mezzo dei loro difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME articolando ciascuno un unico motivo.
2.1. Con il proprio ricorso NOME COGNOME deduce la violazione di legge nella individuazione del reato piø grave.
Il giudice non ha applicato correttamente l’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. e il principio di diritto stabilito dalla sentenza Sez. U, n. 7029 del 28/09/2023, perchØ ha ritenuto piø grave il delitto di cui al capo B) della sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Milano ritenendo che la sua pena-base sia quella di sei anni di reclusione, stante la valutazione di equivalenza delle attenuanti generiche con le aggravanti: per il reato di cui al capo B), però, non erano contestate aggravanti, per cui la pena indicata deve essere ritenuta ridotta di un terzo, per effetto delle concesse attenuanti generiche. Vi Ł, perciò, una parità di pena tra il delitto piø grave giudicato nella sentenza emessa dal G.u.p. di Milano e quello di cui al capo 29) ritenuto il piø grave di quelli giudicati con la sentenza emessa dal G.u.p. di Padova, per cui la valutazione di maggiore gravità tra i due deve essere effettuata in concreto, tenendo conto della maggiore entità degli elementi passivi fittizi contestati in questo secondo delitto.
2.2. Anche NOME COGNOME deduce la violazione di legge nella individuazione del reato piø grave, per le medesime ragioni.
Il giudice ha ritenuto piø grave il delitto di cui al capo B) della sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Milano ritenendo che la sua pena-base sia quella di anni tre e mesi sei di reclusione, stante la valutazione di equivalenza delle attenuanti generiche con le aggravanti: per il reato di cui al capo B), però, non erano contestate aggravanti, per cui la pena indicata deve essere ritenuta ridotta di un terzo, per effetto delle concesse attenuanti generiche. Il reato piø grave giudicato nella sentenza emessa dal G.u.p. di Padova, quello di cui al capo 29), Ł stato invece sanzionato con la pena di quattro anni di reclusione, ed Ł, inoltre, piø grave per il maggior danno economico causato.
Il Sostituto Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I due ricorsi, che possono essere esaminati congiuntamente stante l’identità del loro contenuto, sono infondati e devono essere rigettati.
Per individuare il reato piø grave, nel caso di applicazione dell’istituto della continuazione in sede esecutiva, l’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. stabilisce che debba ritenersi piø grave la violazione per la quale Ł stata inflitta una pena piø elevata, dovendo il giudice dell’esecuzione rispettare il giudicato, senza procedere ad una personale valutazione della gravità, che potrebbe contrastare il giudizio già espresso dai giudici di merito. Questa Corte, con la sentenza Sez. U, n. 7029 del 28/09/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285865, ha stabilito infatti che «Ai fini dell’individuazione della violazione piø grave nel reato continuato in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., deve essere considerata come “pena piø grave inflitta”, che identifica la “violazione piø grave”, quella concretamente irrogata dal giudice della cognizione, siccome indicata nel dispositivo di sentenza».
Pertanto, correttamente il giudice dell’esecuzione ha preso atto del contenuto del dispositivo della sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Milano in data 28 marzo 2023, con cui il giudice, accogliendo la proposta di patteggiamento avanzata dagli odierni ricorrenti, ha irrogato a NOME
COGNOME la pena di anni quattro di reclusione, e a NOME COGNOME la pena di anni tre di reclusione, «in ordine ai reati a loro ascritti, concesse le circostanze attenuanti generiche». Tali pene sono superiori a quella irrogata dal G.u.p. del Tribunale di Padova, con la sentenza emessa in data 08 marzo 2024, per il reato piø grave in essa giudicato, calcolata, al netto di tutte le riduzioni, in anni due e mesi otto di reclusione per entrambi i ricorrenti. La decisione del giudice dell’esecuzione, di individuare quale reato piø grave quello a cui Ł stata applicata la pena stabilita dal G.u.p. del Tribunale di Milano, Ł pertanto conforme alla norma e al principio sopra indicati.
L’affermazione dei due ricorrenti, secondo cui la pena irrogata con tale sentenza dovrebbe essere ritenuta minore, e inferiore a quella irrogata dal G.u.p. del Tribunale di Padova, Ł errata per una pluralità di motivi.
In primo luogo essa imporrebbe al giudice dell’esecuzione di correggere un presunto errore del G.u.p. del Tribunale di Milano, che avrebbe bilanciato le attenuanti generiche con delle aggravanti non contestate: si tratta di una correzione che il giudice dell’esecuzione non potrebbe mai effettuare, perchØ tale eventuale errore avrebbe dovuto essere eliminato attraverso l’impugnazione del provvedimento, che peraltro, essendo stato emesso secondo il rito del patteggiamento, ha semplicemente applicato quella che era la volontà manifestata dalle parti. In secondo luogo i ricorrenti, con tale affermazione. pretenderebbero, addirittura, che il giudice dell’esecuzione calcolasse la riduzione per le attenuanti generiche nella sua massima estensione, senza indicare la ragione di una tale valutazione, mentre il giudice della cognizione avrebbe potuto limitare la riduzione di pena anche ad un solo giorno.
La ragione fondamentale che determina l’infondatezza dei ricorsi proposti, però, consiste nella insussistenza del presunto errore attribuito al G.u.p. del Tribunale di Milano. Infatti non Ł vero che egli ha effettuato un bilanciamento illegale, perchØ non esisteva alcuna aggravante con cui le attenuanti generiche concesse potessero essere bilanciate. La lettura integrale della motivazione di tale sentenza evidenzia, infatti, che il giudice ha ritenuto sussistente, anche a carico dei due ricorrenti, le aggravanti di cui all’art. 219, comma 1 e comma 2, n. 1), L. Fall., loro ascritte al capo E), nonchØ l’ulteriore aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1), L. Fall. derivante dalla ritenuta continuazione tra tutti i reati contestati.
Ai due ricorrenti erano infatti contestati una pluralità di reati, precisamente a NOME COGNOME quelli di cui ai capi A), B), C), D) ed E) (essendo stato stralciato il delitto contestato al capo F), e a NOME COGNOME quelli di cui ai capi D) ed E).
3.1. Per quanto riguarda la posizione di NOME COGNOME pertanto, il ricorso erra quando afferma, ripetendo l’errore contenuto nel provvedimento impugnato, che la pena-base sia stata a lui applicata in relazione al capo B) della sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Milano, perchØ tale capo di imputazione non era a lui contestato. Appare invece evidente che, in quella sentenza, il reato piø grave sia stato per lui individuato in quello di cui al capo E), nel quale erano contestate le due aggravanti di cui all’art. 219, comma 1, L. Fall. e all’art. 219, comma 2, n. 1), L. Fall.: questa evidenza Ł già sufficiente per affermare l’infondatezza del suo ricorso, dal momento che il bilanciamento delle attenuanti generiche con tali aggravanti Ł stato effettuato correttamente. Peraltro, se anche si volesse ritenere che le parti hanno voluto indicare, quale reato-base, quello a lui ascritto al capo D), ugualmente il bilanciamento sarebbe stato effettuato correttamente. Infatti il giudice, alla pagina 8 della sentenza, ha disposto l’unificazione per continuazione di tutti i reati contestati, perchØ commessi nell’ambito del medesimo fallimento, applicando però non l’istituto di cui all’art. 81, comma 2, cod. pen., bensì il regime stabilito dall’art. 219, comma 2, n. 1), L. Fall., che qualifica come un’aggravante l’avere commesso piø fatti di quelli previsti dalla legge fallimentare stessa. E’ noto che la corte di cassazione, con le sentenze richiamate nel corpo della motivazione
stessa, ha affermato che, in caso di pluralità di reati commessi nell’ambito di uno stesso fallimento, non debba applicarsi l’istituto della continuazione bensì la norma speciale sopra indicata, ed ha qualificato tale disciplina come un’aggravante, soggetta al normale regime di bilanciamento con eventuali attenuanti.
Il riconoscimento della continuazione tra i due reati contestati a NOME COGNOME, pertanto, ha correttamente comportato la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1), L. Fall., e il suo conseguente bilanciamento con le attenuanti generiche.
3.2. Anche con riferimento alla posizione di NOME COGNOME Ł evidente l’insussistenza dell’errore lamentato, per gli stessi motivi appena esposti. La sentenza di patteggiamento a carico di questo imputato Ł relativa a tutti i reati a lui ascritti, ritenuti in continuazione tra loro; anche per lui, quindi, Ł stata ritenuta sussistente l’aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1), L. Fall., necessariamente applicabile al posto dell’istituto previsto dall’art. 81, comma 2, cod. pen. Pur individuando il reato piø grave in quello di cui al capo B), in relazione al quale non erano contestate specifiche aggravanti, il giudice ha dovuto effettuare il bilanciamento tra tale aggravante, che riguardava tutti i reati giudicati, e le attenuanti generiche: la sua decisione di non applicare nessun aumento per gli ulteriori reati posti in continuazione, e nessuna riduzione per le attenuanti concesse, decisione peraltro conforme alla proposta di patteggiamento avanzata dalle parti, Ł pertanto corretta.
4.Sulla base delle considerazioni che precedono i due ricorsi devono, pertanto, essere respinti, e i due ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 29/01/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME