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Reato permanente: quando si prescrive l’abuso edilizio

La Corte di Cassazione chiarisce la natura del reato permanente in un caso di abuso edilizio. La Corte ha stabilito che, in assenza di prova contraria fornita dall’imputato, la permanenza del reato cessa solo con la sentenza di primo grado, rigettando la tesi della prescrizione basata sulla data dell’accertamento.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Permanente e Abuso Edilizio: Quando si Ferma il Cronometro della Prescrizione?

L’abuso edilizio rappresenta una delle violazioni più comuni e discusse nel panorama giuridico italiano. La sua natura di reato permanente solleva complesse questioni, soprattutto riguardo alla decorrenza dei termini di prescrizione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un’analisi dettagliata su questo tema, stabilendo principi chiari su quando la condotta illecita può considerarsi cessata e su chi grava l’onere della prova. Questo articolo analizza la decisione, spiegando le sue implicazioni pratiche per cittadini e professionisti.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine dalla condanna di una signora per aver realizzato, senza il necessario permesso di costruire, un bagno e un vano adiacente sul lastrico solare della sua proprietà in una città del sud Italia. La scoperta dell’abuso risale al 15 aprile 2016, data in cui i lavori erano ancora in corso. La proprietaria era presente durante il sopralluogo delle autorità. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno confermato la sua responsabilità, condannandola a una pena di un mese di arresto e 12.000 euro di ammenda, subordinando la sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive.

I Motivi del Ricorso e la questione del Reato Permanente

L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:

1. Errata attribuzione della responsabilità: Sosteneva che l’abuso fosse riconducibile ai precedenti proprietari e che l’intervento rientrasse nelle normative regionali del “Piano Casa”.
2. Mancata applicazione della particolare tenuità del fatto: Riteneva l’offesa sufficientemente lieve da non meritare una sanzione penale.
3. Prescrizione del reato: Argomentava che il reato si fosse già estinto per il decorso del tempo.
4. Errata subordinazione della pena: Contestava l’obbligo di demolizione come condizione per la sospensione della pena.

Il cuore della controversia, tuttavia, risiede nella natura di reato permanente dell’abuso edilizio e nella conseguente difficoltà di individuare il momento esatto in cui la condotta cessa, momento dal quale inizia a decorrere la prescrizione.

La nozione di cessazione nel Reato Permanente

Un reato permanente è un illecito la cui consumazione si protrae nel tempo. Nel caso dell’abuso edilizio, la condotta non si esaurisce con l’inizio della costruzione, ma continua fino a quando i lavori non sono completamente ultimati, incluse le opere di rifinitura, o fino a quando non vengono definitivamente interrotti. La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha colto l’occasione per ribadire e consolidare l’orientamento giurisprudenziale dominante in materia.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso infondato, smontando una per una le argomentazioni difensive.

Sul primo punto, i giudici hanno evidenziato come la presenza dell’imputata durante i lavori in corso, unita alla presentazione di una DIA (Denuncia di Inizio Attività) a suo nome anni prima, rendesse illogica qualsiasi tesi contraria alla sua responsabilità personale.

Per quanto riguarda la prescrizione, la Corte ha svolto un’analisi approfondita. Ha riaffermato il principio secondo cui, in un reato permanente come quello edilizio, la permanenza cessa con l’ultimazione dei lavori. Tuttavia, se al momento dell’accertamento l’opera non è ancora finita, si presume che la condotta illecita continui. In questo scenario, l’onere di provare che i lavori sono terminati in una data anteriore (e quindi utile ai fini della prescrizione) spetta all’imputato.

La sentenza chiarisce che, in assenza di tale prova, il momento finale della consumazione del reato viene fatto coincidere con la data della sentenza di primo grado. Questa “vis expansiva” della contestazione impedisce all’imputato di beneficiare della prescrizione semplicemente basandosi sulla data del primo accertamento, se i lavori non erano palesemente conclusi. La Corte ha anche escluso l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, considerando la consistenza dell’opera (quasi 30 metri cubi) e l’impatto sulla sagoma dell’edificio tutt’altro che marginali. Infine, ha ritenuto inammissibile il motivo relativo alla demolizione, poiché non era stato specificamente contestato in appello.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio fondamentale in materia di abusi edilizi: la responsabilità di dimostrare la fine della condotta illecita ricade su chi l’ha commessa. Chi realizza un’opera abusiva non può semplicemente attendere il decorso del tempo dalla data dell’accertamento per invocare la prescrizione se i lavori non sono stati portati a compimento. La decisione della Cassazione stabilisce che, in caso di contestazione “aperta” (cioè senza una data di cessazione specificata), il reato si considera in corso fino alla pronuncia del giudice di primo grado, a meno che l’imputato non fornisca prove concrete e inequivocabili di una precedente interruzione o ultimazione dei lavori. Questo orientamento ha importanti implicazioni pratiche, poiché rende più difficile eludere le conseguenze penali degli abusi edilizi, ponendo un chiaro onere probatorio a carico del responsabile.

In un reato permanente come l’abuso edilizio, quando si considera cessata la condotta ai fini della prescrizione?
La condotta si considera cessata con la sentenza di primo grado, a meno che l’imputato non fornisca la prova che i lavori siano stati ultimati (o definitivamente interrotti) in una data precedente.

A chi spetta l’onere di provare la data di ultimazione dei lavori in un abuso edilizio?
Secondo la sentenza, l’onere della prova spetta all’imputato. Se l’opera viene accertata come non ultimata, si presume che la condotta illecita prosegua. Sta all’imputato dimostrare il contrario per beneficiare della prescrizione.

La costruzione abusiva di due vani per quasi 30 metri cubi può essere considerata di “particolare tenuità”?
No. La Corte di Appello, con decisione confermata dalla Cassazione, ha escluso la marginalità dell’intervento data la consistenza volumetrica, l’aumento di sagoma e il danno agli interessi dei condomini, ritenendo quindi non applicabile la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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