Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 25908 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 25908 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 29/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Catania il 07/01/1954 avverso la sentenza del 07/05/2024 del Tribunale di Siracusa visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia accolto, quanto al secondo motivo, e dichiarato inammissibile nel resto; udito il difensore, avv. NOME COGNOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 maggio 2024, il Tribunale di Siracusa ha condannato COGNOME NOME in relazione al reato di cui agli artt. 1161 e 55, cod. nav., per la realizzazione di opere non autorizzate, entro i trenta metri dal demanio marittimo.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’imputata.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano la violazione di legge e il vizio di motivazione sotto tre profili. In primo luogo, si contesta l’illogicità del motivazione che ha ritenuto sussistente il reato basandosi sui recenti rilievi della Guardia Costiera, senza .avere considerato che le opere abusive erano già esistenti in quanto realizzate prima che l’imputata divenisse proprietaria del fondo. In secondo luogo, si lamenta che le fotografie delle opere abusive recapitate da un anonimo alla Guardia Costiera e valutate dal Tribunale costituivano una prova inutilizzabile in quanto provenienti da una violazione di domicilio, perché ritraevano aree di proprietà privata. Si denuncia, in terzo luogo, la violazione di legge, per aver il giudice omesso di considerare estinto il reato per prescrizione, pur se commesso entro e non oltre il 2006, trattandosi di un reato permanente che si consuma con la realizzazione delle opere, già ampiamente ultimate antro tale periodo.
2.2. Con un secondo motivo, la difesa lamenta la violazione dell’art. 131-bis, cod. pen. Si denuncia che il giudice del merito ha ritenuto inapplicabile la disposizione, a causa della natura permanente del reato, in violazione dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la natura permanente del reato è elemento in sé neutro ai fini della valutazione in termini di gravità del fatto, dovendosi tenere conto, invece, di tutte le peculiarità del caso concreto. Si richiama il principio secondo cui, quando si hanno più comportamenti integranti reato in continuazione, la sola pluralità di essi non è, di per sé, causa ostativa al riconoscimento della particolare tenuità.
2.3. Con un terzo motivo, si denuncia l’omessa motivazione in ordine ai criteri per il calcolo della pena e alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, essendosi il giudice limitato ad applicare l’istituto codicistico, in considerazione dell’effettiva consistenza delle opere abusive, senza tuttavia specificare. altro in ordine al trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo, che si articola in tre censure, è inammissibile.
1.1.1. la prima censura, relativa alla illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del reato, è formulata in modo non specifico. Il giudice del merito ha correttamente argomentato, ritenendo che le opere non fossero preesistenti agli
accertamenti, laddove dall’accertamento era emersa la presenza di lavori in corso. Era perciò del tutto logico dedurre che anche quelle già completate fossero frutto di un’attività edilizia recente, senza dubbio successiva all’acquisto del fondo da parte della ricorrente. Né la difesa ha adeguatamente contrastato se non con un generico richiamo a dichiarazioni rese dall’imputata a proprio favore e ad una soggettiva reinterpretazione delle fotografie in atti – le chiare affermazioni del luogotenente COGNOME, fatte proprie dalla sentenza impugnata, relative alle difformità nella documentazione fotografica relativa ai diversi anni, alla recentissima fattura di alcune delle opere, alla presenza di lavori in corso.
1.1.2. Il secondo profilo, relativo all’inutilizzabilità delle fotografie, è generico ipotetico e assertivo. La deduzione che queste derivino da violazione di domicilio è del tutto congetturale, in quanto la ricorrente non ha prodotto alcun elemento a dimostrazione delle sue affermazioni. Neppure è stata sufficientemente prospettata la decisività delle fotografie, le quali, anzi, sono state svalutate dal Tribunale, che si è basato sugli esiti dell’ispezione, da sola sufficiente a fornire una rappresentazione compiuta dei fatti.
1.1.3. Il terzo profilo, relativo alla data di consumazione del reato da cui dedurre il tempo della prescrizione, è generico. In proposito, merita ricordare che il reato di esecuzione, senza autorizzazione o in violazione della stessa, di opere in zona distante meno di trenta metri dal demanio marittimo (cd. “fascia di rispetto”), previsto dagli artt. 55 e 1161 cod. nav., ha natura permanente e cessa solo con il conseguimento dell’autorizzazione prescritta o con la demolizione del manufatto edificato entro la fascia demaniale (Sez. 3, n. 36605, del 15/02/2017, Rv. 270730 – 01).
Nel caso di specie, il giudice del merito ha rilevato la presenza di opere abusive ancora intatte al momento dell’accertamento; correttamente, dunque, ha ritenuto la permanenza del reato ed escluso la prescrizione. Tuttavia, anche a voler ritenere consumato il reato con la sola realizzazione delle opere, deve rilevarsi che il tempo necessario alla prescrizione non è decorso, perché alcune delle opere risultavano ancora in costruzione al momento dell’ispezione.
1.2. Il secondo motivo, che lamenta la mancata applicazione dell’art. 131bis cod. pen., è generico. In proposito, va rilevato che, sotto il profilo della permanenza degli effetti del reato, la sentenza impugnata ha evidentemente ritenuto, quale elemento di gravità, il comportamento inerte della ricorrente, che non ha eliminato le opere abusive, ma al contrario se ne è giovata, dovendosi tenere conto anche dell’ampiezza dell’abuso e della durata dell’offesa. Pur riferendosi letteralmente alla natura permanente del reato, la sentenza valuta, in realtà, i suoi effetti quale elemento per escludere la particolare tenuità del fatto. Per contro, la difesa non fornisce argomenti capaci di scalfire questa
ricostruzione, limitandosi a prospettare genericamente la necessità di tenere conto di tutti gli elementi del fatto.
1.3. Il terzo motivo, che lamenta il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, è del pari generico. Il giudice ha irrogato la pena
pecuniaria, effettivamente commisurata nella misura di euro 400,00 prossima al massimo (euro 516,00). La ragione di tale trattamento, comunque contenuto,
data la scelta della pena pecuniaria nell’alternativa con quella detentiva, risiede nella valutazione condotta in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ovvero
nella considerazione della permanenza degli effetti del reato, della consistenza e del numero delle opere e del comportamento inerte della ricorrente rispetto al
doveroso ripristino dello stato dei luoghi.
2. Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato
che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Co deciso il 29/05/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente