Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11542 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11542 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/05/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in preambolo la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza proposta nell’interesse di COGNOME NOME intesa ad ottenere il computo, a titolo di fungibilità, della pena di t il periodo da questi presofferto (dal 7 gennaio 2013 al 24 novembre 2014) in relazione al reato di cui agli artt. 2 e 4 I. n. 895 del 1967, essendo s riconosciuta, con sentenza della Corte di appello di Napoli in data 5 ottobre 2017, irrevocabile il 19 febbraio 2018, la continuazione con il reato di cui all’art. 4 bis cod. pen. e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, contestato come commesso da aprile 2011 con condotta perdurante.
A ragione della decisione, la Corte di appello, dopo avere richiamato i principi giurisprudenziali in punto di modalità d’individuazione della data di cessazione della permanenza e relativi oneri del giudice dell’esecuzione per il caso in c detta indicazione non fosse contenuta nelle sentenze di merito, ha ritenuto che: i) nel caso di specie la cessazione della permanenza del reato di cui all’art. 41 bis cod. pen. dovesse essere individuata «alla data di esecuzione delle misure cautelari, unico elemento che lascia immaginare la disgregazione della compagine»; ii) quanto al ricorrente, alla data del suo arresto per il reato di a il sodalizio era certamente operante; iii) nel caso di associazione per delinquer di stampo mafioso il sopravvenuto stato detentivo non esclude la permanenza della partecipazione al sodalizio; iv) le intercettazioni davano atto del fatto continuava il funzionamento delle “mesate” per le famiglie dei detenuti e che «la posizione di COGNOME non si distaccava evidentemente da questo meccanismo di sostegno», siccome militante di lungo corso nell’associazione.
Avverso il predetto provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione il difensore di COGNOME, chiedendone l’annullamento per erronea applicazione dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., avendo il Giudice dell’esecuzione reso una motivazione contraddittoria in punto d’individuazione della data di cessazione della permanenza del reato associativo.
Gli elementi posti a sostegno dell’affermazione contenuta nell’ordinanza’ secondo la quale la permanenza della condotta partecipativa del ricorrente si era protratta successivamente all’epoca della sofferta custodia sine titulo (segnatamente fino al 2014) 1 1sarebbero – secondo la tesi del ricorrente – generici ed affermati apoditticamente e non troverebbero alcuna reale rispondenza nelle sentenze di merito.
3. Il Sostituto Procuratore generale, NOME, intervenuto con requisitoria scritta depositata in data 11 ottobre 2023, ha chiesto dichiarar inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato per le ragioni che si indicano di seguito.
2. Va qui preliminarmente ribadito il principio – scaturente dalla corretta esegesi dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen – in bas~ al quale l’istituto della fungibilità delle pene espiate senza titolo non è applicabile ai reati permanenti quando la permanenza sia cessata dopo l’espiazione senza titolo di cui si tratta.
Questa Corte ha già chiarito come, in ipotesi di reato permanente, data la struttura unitaria di esso, non sia possibile effettuare la scomposizione del fatto in una pluralità di reati, anteriori e posteriori all’esecuzione dello stato detentivo rivelatosi senza titolo: di conseguenza, non è dato computare la pena espiata senza titolo con riferimento al reato permanente che si protragga anche nel tempo ulteriore al termine della relativa esecuzione (Sez. 1, n. 6072 del 24/05/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272102; Sez. 1, n. 40329 del 11/07/2013, Onorato, Rv. 257600).
Sotto altro, connesso profilo si è opportunamente sottolineato che, ai fini dell’accertamento in sede esecutiva, della data di consumazione del reato permanente, in particolare del delitto di natura associativa, il riferimento alla contestazione in forma aperta avvenuta in sede cognitiva e al conseguente ancoraggio dell’epoca di conclusione della permanenza al momento dell’emissione della sentenza di primo grado accertativa del reato stesso afferisce a una regola di natura processuale, la quale non esime in alcun modo il giudice dell’esecuzione dal vaglio – da compiersi anzitutto sulla scorta della motivazione resa dal giudice della cognizione – inerente alla ricognizione dell’effettiva data del commesso reato.
La ragione della contestazione definita “aperta” del reato permanente poggia sul rilievo che essa, per l’intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l’elemento del perdurare della condotta antigiuridica, sicché, qualora il pubblico ministero si sia limitato a indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell’accertamento) e non quella finale, la permanenza – intesa come dato della realtà – deve ritenersi compresa nell’imputazione: pertanto, l’interessato è chiamato a difendersi
nel processo in relazione a un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell’azione penale.
Quando il capo di imputazione contenuto indichi esclusivamente la data di accertamento di un reato permanente, senza nessun riferimento a quella di cessazione della permanenza, il giudice del dibattimento deve appurare, attraverso l’interpretazione di detto capo, considerato nel suo complesso, se esso riguardi una fattispecie concreta la quale, così come descritta, sia già esaurita prima o contestualmente all’accertamento medesimo, ovvero una condotta perdurata e ancora in atto al momento della sentenza (così già gli arresti regolatori di Sez. U, n. 11930 del 11/11/1994, COGNOME, Rv. 199170; Sez. U, n. 11021 del 13/07/1998, COGNOME, Rv. 211385).
In presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata nella forma cosiddetta aperta, o anche a consumazione “in atto”, senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la suindicata regola di natura processuale, per la quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado, non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all’accusa l’onere di fornire la prova che l’imputato abbia protratto la condotta criminosa fino all’indicato ultimo limite processuale (Sez. 2, n. 23343 del 01/03/2016, Ariano, Rv. 267080); è stato chiarito che, in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, il sopravvenuto stato detentivo dell’indagato non esclude la permanenza della partecipazione dello stesso al sodalizio criminoso, che viene meno solo nel caso, oggettivo, della cessazione della consorteria criminale, ovvero nelle ipotesi soggettive, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato, la rescissione del legame potendo essere desunta, fra le varie possibili situazioni di fatto, da un lungo periodo di detenzione senza che siano stati mantenuti contatti con la consorteria, da una contrapposizione interna all’associazione seguita dall’allontanamento di uno dei sodali, ovvero da altri fatti oggettivi, di cui grava sull’interessato un mero onere di allegazione, quali il trasferimento in luogo distante da quello in cui opera la consorteria, sempre che non vi siano elementi da cui desumere la continuità della partecipazione (Sez. 6, n. 1162 del 14/10/2021, deo. 2022, COGNOME, Rv. 282661).
3. Da ciò discende l’ulteriore corollario secondo cui, in materia di esecuzione di pene detentive, nel caso di condanna per un reato associativo contestato senza l’indicazione della data di cessazione della condotta criminosa, l’esclusione del computo del periodo di pena espiata inutilmente per altro reato non può prescindere – ove la sentenza di condanna di primo grado per il reato associativo sia successiva al periodo di detenzione subito in relazione all’altro reato – dalla verifica che la condotta permanente sia effettivamente continuata sino alla data di pronuncia della sentenza, non potendo farsi derivare in via meramente presuntiva questa prova dalla regola giurisprudenziale secondo cui, in ipotesi di contestazione in modo aperto del fatto associativo, la penale responsabilità può essere affermata anche con riferimento al periodo successivo alla data di accertamento e che il momento consumativo coincide con la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado (Sez. 1, n. 19851 del 22/06/2020, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 6905 del 08/01/2015, Terrasi, Rv. 262319).
Il giudice dell’esecuzione deve, dunque, svolgere un’indagine approfondita degli elementi di riscontro desumibili su tale determinante elemento: si è, inver i t / o, condivisibilmente affermato che, in tema di reato permanente contestato nella forma definita aperta, qualora in sede esecutiva debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data predetta e questa non sia stata precisata nella sentenza di condanna, spetta al giudice dell’esecuzione accertarla, attraverso un’analisi accurata degli elementi a sua disposizione (Sez. 1, n. 21928 del 17/03/2022, COGNOME, Rv. 283121; Sez. 1, n. 45295 del 24/10/2013, COGNOME, Rv. 257725).
Il principio è, peraltro, coerentemente ribadito per i vari aspetti della giurisdizione esecutiva (Sez. 1, n. 10567 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 274877, in tema di accertamento del tempus commissi delicti relativo a reato permanente ai fini della revoca dell’indulto ex art. 3, legge 31 luglio 2006, n. 241; Sez. 1, n. 20158 del 22/03/2017, COGNOME, Rv. 270118, in materia di concessione di benefici penitenziari, in particolare della liberazione anticipata, in ordine a un reato ostativo permanente con contestazione aperta), laddove egualmente si esige che il giudice dell’esecuzione – qualora la sentenza di condanna non specifichi per esplicito la data di cessazione della condotta criminosa – effettui l’accertamento della data in questione mediante l’analisi approfondita degli elementi emersi nel giudizio di merito.
4. Poste tali linee ermeneutiche, venendo al caso che ci occupa, come segnalato dal ricorrente, l’indicazione della data di consumazione del reato associativo, al fine della verifica rilevante per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 657 cod. proc. pen., è stata svolta sulla scorta di una motivazione carente.
Il COGNOME giudice COGNOME dell’esecuzione, COGNOME invero, COGNOME ha COGNOME effettuato COGNOME l’analisi dell’accertamento compiuto dal giudice della cognizione richiamando soltanto indici di natura negativa (la non rescissione del vincolo, non smentita dall’assenza di ulteriori intercettazioni di comunicazioni, la mera sopravvenuta carcerazione, la non dissoluzione dell’associazione, la prova che l’associazione continuava a sostenere le famiglie dei detenuti, affermando, con un evidente salto logico, che di tanto fruisse anche COGNOME, in ragione del ruolo di primazia svolto nel sodalizio).
Non ha, invece, chiarito in modo espresso e univoco se la valorizzazione degli indici negativi sia stata l’esito della valutazione compiuta dal giudice della cognizione, come tale doverosamente recepita dal giudice dell’esecuzione, oppure se essa sia stata il risultato della sua valutazione, resasi eventualmente necessaria per il silenzio sostanziale delle sentenze di merito sul punto stesso.
Questa aporia di base vulnera la linearità e la logicità del discorso giustificativo, giacché, nel primo caso, il collegamento con l’assunto della motivazione a fondamento della sentenza resa in sede cognitiva sarebbe risultato non solo sufficiente, ma anche dirimente; diversamente, nel secondo caso, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto dare conto, con riferimenti adeguati specifici, dell’accurata analisi compiuta in ordine agli elementi emersi nel giudizio di merito: analisi che, tuttavia, al di là della formule generali addotte, non traspare in modo congruo dalla motivazione oggetto di esame.
Invero, il giudice dell’esecuzione non ha fornito concreti riferimenti dimostrativi dell’avvenuto approfondimento del contenuto delle sentenze di cognizione, accertative del reato associativo di cui si tratta e delle sue specifiche connotazioni relative alla durata della partecipazione di COGNOME alla consorteria, nonché – in ipotesi di carenza di dati dirimenti scaturenti dal titolo cognitivo – dell’avvenuta valutazione di ogni altro elemento del processo utile per stabilire se la contestazione aperta sia stata seguita dall’accertamento di responsabilità anche per il periodo in cui COGNOME è stato detenuto per l’altra causa, poi rivelatasi senza titolo.
5. In considerazione del vizio emerso, il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio alla Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio, da effettuarsi con piena libertà valutativa, ma nell’alveo dei principi testé affermati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso il 3 novembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente