Reato Permanente: Si Può Essere Condannati di Nuovo per la Stessa Occupazione?
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna a pronunciarsi su una questione di grande rilevanza pratica e giuridica: la natura del reato permanente di invasione di terreni o edifici e i suoi confini con il principio del ne bis in idem. La pronuncia chiarisce quando un’occupazione abusiva, che prosegue nel tempo, può dare origine a un nuovo procedimento penale senza che ciò costituisca una duplicazione del giudizio. Questo intervento è cruciale per comprendere come la legge gestisce le condotte illecite che si protraggono.
I Fatti del Caso: Occupazione Continuata e Doppio Processo
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una persona condannata in primo grado e in appello per il reato di invasione di edifici, previsto dall’art. 633 del codice penale. L’imputata ha presentato ricorso per Cassazione lamentando, tra i vari motivi, la violazione del divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto (principio del ne bis in idem, sancito dall’art. 649 del codice di procedura penale).
Secondo la difesa, la prosecuzione dell’occupazione dell’immobile, anche dopo la prima condanna, costituiva un’unica condotta illecita, già giudicata. Pertanto, un nuovo processo per lo stesso comportamento sarebbe stato illegittimo. La Corte d’appello di Milano aveva respinto questa tesi, e la questione è quindi giunta all’attenzione dei giudici di legittimità.
La Decisione della Corte sul Reato Permanente
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, e quindi inammissibile. I giudici hanno confermato l’orientamento consolidato della giurisprudenza in materia di reato permanente. La chiave di volta della decisione risiede nella distinzione tra la condotta illecita originaria e la sua protrazione dopo un punto di cesura giuridicamente rilevante: la sentenza di condanna di primo grado.
Secondo la Corte, il delitto di invasione di terreni o edifici ha natura permanente. La permanenza, ovvero la continuità della condotta illecita, si interrompe e cessa definitivamente con la sentenza di condanna di primo grado. Questo momento segna un confine temporale e giuridico invalicabile.
Le Motivazioni della Corte
Il ragionamento della Suprema Corte si basa su un principio consolidato. Il reato permanente si caratterizza per una condotta che si protrae nel tempo, mantenendo viva l’offesa al bene giuridico protetto. Tuttavia, questa protrazione non è infinita ai fini processuali. La giurisprudenza ha individuato nella sentenza di condanna di primo grado il momento in cui la condotta, per come è stata contestata nel primo processo, si considera giuridicamente conclusa.
Qualsiasi comportamento successivo, anche se identico al precedente (come la prosecuzione dell’occupazione), non è più una continuazione del reato già giudicato, ma integra una nuova e autonoma ipotesi di reato. Questo nuovo reato non richiede un nuovo atto di “invasione” violenta o clandestina, ma si sostanzia nella mera prosecuzione dell’occupazione dopo la condanna. Di conseguenza, il “fatto” oggetto del secondo giudizio è diverso da quello del primo, in quanto si riferisce a un periodo temporale differente e successivo alla cesura rappresentata dalla sentenza.
Le Conclusioni
L’ordinanza ha implicazioni significative. In primo luogo, rafforza la tutela della proprietà, impedendo che una prima condanna diventi una sorta di “autorizzazione” a proseguire nell’illecito. In secondo luogo, chiarisce in modo definitivo che il principio del ne bis in idem non trova applicazione in questi casi, poiché i due procedimenti penali hanno ad oggetto fatti storicamente e giuridicamente distinti. Per chi si trova in una situazione di occupazione abusiva, questa pronuncia rappresenta un chiaro monito: la condanna di primo grado non chiude la partita, ma, al contrario, apre la porta a nuove e ulteriori conseguenze penali se la condotta illecita non viene interrotta.
È possibile essere processati di nuovo per un’occupazione abusiva che non si è mai interrotta?
Sì, è possibile. Secondo la Corte di Cassazione, la prosecuzione dell’occupazione dopo una sentenza di condanna di primo grado costituisce un nuovo reato, distinto dal precedente, e quindi può essere oggetto di un nuovo procedimento penale.
Quando si considera concluso un reato permanente come l’invasione di edifici?
La permanenza del reato di invasione di edifici cessa con l’allontanamento del soggetto dall’immobile oppure, dal punto di vista giuridico-processuale, con la sentenza di condanna di primo grado.
La prosecuzione dell’occupazione dopo la condanna viola il divieto di doppio processo (ne bis in idem)?
No. La Corte ha stabilito che non vi è violazione del principio del ‘ne bis in idem’ perché il nuovo processo riguarda un fatto diverso: non l’invasione originaria (già giudicata), ma la prosecuzione dell’occupazione in un periodo temporale successivo alla prima condanna.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43287 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43287 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nata a Beni Amir (Marocco) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/05/2024 della Corte d’appello di Milano
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che i due motivi di ricorso, con cui si lamenta, rispettivamente, l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 633 cod. pen., dell’art. 649 cod. proc. pen., dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU, e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con riguardo alla mancata pronuncia, da parte della Corte d’appello di Milano, di una sentenza di non doversi procedere per il divieto di un secondo giudizio, a norma dell’art. 649 cod. proc. pen., sono manifestamente infondati;
che, infatti, come è stato correttamente ritenuto dalla Corte d’appello di Milano, in tema di invasione di terreni o edifici (art. 633 cod. pen.), nel caso in cui l’occupazione si protragga nel tempo, il delitto ha natura permanente e la permanenza cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto o con la sentenza di condanna di primo grado, dopo la quale la protrazione del comportamento illecito dà luogo a una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell’invasione, ma si sostanzia nella prosecuzione dell’occupazione (Sez. 2, n. 29657 del
27/03/2019, COGNOME, Rv. 277019-01; Sez. 2, n. 40771 del 19/07/2018, COGNOME, Rv. 274458-01), con la conseguenza che, diversamente da quanto è sostenuto dalla ricorrente, poiché la precedente sentenza di condanna ha determinato la cessazione della permanenza, la sottoposizione a un nuovo procedimento penale per la prosecuzione dell’occupazione dopo tale sentenza di condanna ha a oggetto non il medesimo fatto per il quale essa è intervenuta ma un nuovo reato di invasione, che si sostanzia nella suddetta prosecuzione dell’occupazione, con la conseguente insussistenza di alcuna violazione del divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2024.