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Reato permanente: la Cassazione sul ne bis in idem

Un soggetto, già condannato in passato per occupazione abusiva di demanio, viene nuovamente processato e condannato per la stessa condotta. La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, specificando che nel caso di reato permanente, la prosecuzione del comportamento illecito dopo la prima condanna definitiva costituisce un fatto nuovo e distinto, per cui non opera il divieto di doppio processo (ne bis in idem).

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Permanente e Ne Bis in Idem: Si Può Essere Condannati Due Volte?

Il principio del ne bis in idem, ovvero il divieto di essere processati due volte per lo stesso fatto, è un caposaldo del nostro ordinamento. Ma cosa accade quando il reato non si esaurisce in un singolo momento, ma perdura nel tempo? È il caso del reato permanente, come l’occupazione abusiva di un’area demaniale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito i confini di questo principio, stabilendo che la prosecuzione della condotta illecita dopo una prima condanna irrevocabile costituisce un nuovo reato, autonomamente perseguibile. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un cittadino veniva condannato dal Tribunale al pagamento di un’ammenda per il reato previsto dall’art. 1161 del codice della navigazione, ovvero l’abusiva occupazione di spazio demaniale. L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, sostenendo di essere già stato condannato per lo stesso identico fatto con un decreto penale di condanna nel lontano 1997. A suo avviso, il nuovo processo violava il principio del ne bis in idem.

Tra gli altri motivi di ricorso, l’imputato lamentava anche un presunto travisamento del fatto, dato che lo sconfinamento era minimo, e la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).

La Decisione della Corte di Cassazione e la gestione del reato permanente

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno fornito chiarimenti cruciali sulla distinzione tra un fatto già giudicato e la prosecuzione di un reato permanente.

La Corte ha stabilito che il divieto di un secondo giudizio riguarda esclusivamente la condotta accertata con la prima sentenza irrevocabile. Ogni successiva prosecuzione o ripresa della stessa condotta illegale integra un “fatto storico” diverso, non coperto dal precedente giudicato. Di conseguenza, non vi è alcun ostacolo a procedere con un nuovo processo e una nuova condanna.

Le Motivazioni della Corte

La decisione della Suprema Corte si fonda su argomentazioni logico-giuridiche solide e coerenti con la giurisprudenza consolidata.

Il Principio del “Ne Bis in Idem” nel Reato Permanente

Il cuore della sentenza risiede nella corretta interpretazione dell’art. 649 c.p.p. in relazione al reato permanente. La Corte, richiamando anche precedenti pronunce della Corte Costituzionale, ha ribadito che l’identità del fatto, necessaria per far scattare il divieto di doppio processo, sussiste solo quando vi è una perfetta corrispondenza storico-naturalistica tra i due giudizi (condotta, evento, nesso causale, circostanze di tempo, luogo e persona).

Nel caso di specie, la prima condanna del 1997 aveva coperto il comportamento illecito fino a quel momento. La permanenza nell’occupazione abusiva negli anni successivi ha dato vita a un nuovo reato, distinto dal precedente. Pertanto, il secondo processo non giudicava lo stesso fatto, ma una nuova e autonoma violazione di legge.

L’Inammissibilità degli Altri Motivi di Ricorso

La Corte ha respinto anche gli altri motivi. Riguardo alla presunta assenza di colpevolezza, i giudici hanno paradossalmente evidenziato come la precedente condanna rendesse ancora più palese il dolo dell’imputato, che non poteva certo dirsi all’oscuro dell’illiceità della sua condotta.

Infine, è stata dichiarata inammissibile anche la doglianza sulla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto). La Corte ha ricordato che tale questione non può essere sollevata per la prima volta in Cassazione se non è stata specificamente richiesta nei gradi di merito. La semplice richiesta di assoluzione non implica un obbligo per il giudice di valutare d’ufficio questa causa di non punibilità.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre un importante monito: una condanna per un reato permanente non crea una sorta di immunità per il futuro. Al contrario, la condotta illecita che prosegue dopo il passaggio in giudicato della prima sentenza costituisce un nuovo reato, autonomamente e pienamente perseguibile. La decisione rafforza la tutela dei beni giuridici protetti da questo tipo di reati, impedendo che una prima condanna si trasformi, di fatto, in una licenza a perseverare nell’illecito. Inoltre, sottolinea l’importanza di sollevare tutte le questioni giuridiche rilevanti, come la particolare tenuità del fatto, già durante il processo di merito, pena l’inammissibilità in sede di legittimità.

Si può essere processati due volte per un reato permanente come l’occupazione abusiva?
Sì. Se dopo una prima condanna definitiva la condotta illecita prosegue, questa prosecuzione è considerata un fatto storico nuovo e distinto, che può essere oggetto di un nuovo processo e di una nuova condanna.

Perché il principio del ‘ne bis in idem’ (divieto di doppio processo) non si applica in questo caso?
Il principio non si applica perché non c’è identità del fatto. La prima sentenza copre la condotta fino al momento in cui è diventata definitiva. La condotta successiva è un reato diverso, anche se della stessa natura, e quindi non è coperta dal precedente giudicato.

È possibile chiedere per la prima volta in Cassazione l’applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
No. La Corte ha stabilito che la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. deve essere sollevata e discussa nel giudizio di merito (primo grado o appello). Non può essere dedotta per la prima volta come motivo di ricorso in Cassazione, altrimenti il motivo viene dichiarato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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