Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46808 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46808 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a PALERMO il 21/05/1979
avverso l’ordinanza del 02/08/2024 del TRIB. LIBERTA’ di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME I e/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME Il PG conclude riportandosi alla requisitoria già depositata e notificata alle parti, rigetto del ricorso.
udito il difensore
L’avv. COGNOME Michele insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso ai quali si riporta;
L’avv. COGNOME NOME conclude riportandosi ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
Il Procuratore generale, NOME COGNOME chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME Michele ricorre avverso l’ordinanza del 2 agosto 2024 del Tribunale di Palermo, che ha rigettato il riesame ex art. 309 cod. proc. pen. avverso il provvedimento del 4 luglio 2024, con il quale il G.i.p. del Tribunale di Palermo aveva applicato nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere in ordine al reato di associazione di tipo mafioso, ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen.
Secondo la tesi accusatoria, COGNOME, da epoca imprecisata e con condotta perdurante in Sciacca e altre località della provincia di Agrigento, nonché del territorio nazionale, unitamente ad altri associati, aveva fatto parte dell’associazione mafiosa definita “cosa nostra”, attraverso cui, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne derivava, aveva commesso delitti contro l’incolumità individuale, la libertà personale e il patrimonio al fine di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e per gli altri.
2. Il ricorrente articola due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 405, comma 2, 406, 407, commi 1 e 3, 415-bis e 125, comma 3, cod. proc. pen., e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, lamentando una duplicazione delle iscrizioni a carico del medesimo imputato in procedimenti distinti poi riuniti per la condotta perdurante, con violazione dei termini di durata massima delle indagini e utilizzazione illegittima dei relativi risultati.
In particolare, nel ricorso si evidenzia che la più recente giurisprudenza di legittimità avrebbe chiarito il principio di inderogabilità del termine massimo di durata delle indagini preliminari di cui all’art. 407, comma 2, cod. proc. pen. anche quando si procede per reati permanenti, non potendosi condividere la tesi secondo la quale, per tali reati, l’esecuzione delle indagini preliminari debba intendersi autorizzata per tutta la durata della condotta.
Secondo la prospettazione difensiva, le violazioni di legge si sarebbero concretizzate perché:
COGNOME era stato iscritto nel registro ex a t. 335 cod. proc. pen. in data 9 settembre 2021, senza che al termine del biennio di durata massima delle indagini venisse adottato alcun provvedimento definitorio ex art. 405 cod. proc. pen.;
– successivamente, in data 16 luglio 2021 era stato disposto lo stralcio della posizione di Russo dal procedimento originario e la riunione con il procedimento concernente anche gli altri presunti associati e il 3 gennaio 2022, nell’ambito del presente procedimento, era stata disposta una nuova iscrizione per il delitto associativo con decorrenza anticipata al 10 settembre 2021, ossia dopo la scadenza del primo biennio del procedimento originario.
Nel caso di specie, pertanto, il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare l’inutilizzabilità delle risultanze delle indagini svolte dopo il 9 settembre 2021, considerando che, a carico di COGNOME era stato già iscritto un procedimento per il medesimo reato associativo, che il termine di durata massima delle indagini era spirato e che – in ogni caso – non vi erano ulteriori elementi di fatto che avrebbero consentito, secondo la tesi sposata dal giudice di merito, una nuova iscrizione.
2.2. Con il secondo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 416-bis cod. pen., 192 e 273 cod. proc. pen., e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, perché il Tribunale avrebbe in maniera errata ritenuto sussistente la gravità indiziaria in ordine al reato associativo, senza considerare che, dalla lettura delle medesime intercettazioni riportate nell’ordinanza impugnata, non erano emersi elementi in forza dei quali poter sostenere che l’indagato, quale imprenditore, avesse partecipato al sodalizio mafioso, essendo risultato sia che tutti i lavori oggetto della sua attività erano stati assunti in maniera autonoma, senza l’intervento di alcun sodale, sia che l’indagato era del tutto autonomo nello svolgimento della propria attività, essendo in grado di procacciarsi autonomamente i lavori, nonché di gestire autonomamente i fornitori e gli affari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene il Collegio che il ricorso non possa essere accolto.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Occorre premettere, al fine di identificare con precisione la normativa applicabile, che, tenuto conto della data in cui sono state eseguite le iscrizioni delle quali si tratta, entrambe antecedenti al 30 dicembre 2022 (data di entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150: art. 99-bis dello stesso decreto), non sono applicabili le disposizioni degli art. 335-quater, 407-bis e 415-ter cod. proc. pen., come introdotte dal medesimo d.lgs. n. 150 del 2022 (v. art. 88-bis dello stesso decreto).
Ciò posto, occorre tenere distinti vari profili che nella prospettazione difensiva vengono sovrapposti in contrasto con la lettera e il significato delle varie disposizioni richiamate.
Va, senz’altro, ribadito, in primo luogo, che, in caso di reato permanente, i termini di durata delle indagini preliminari e delle successive proroghe sono quelli stabiliti dagli artt. 405, comma 2, 406 e 407 cod. proc. pen., collegati ad ineludibili garanzie per il soggetto indagato, con la conseguenza che non può mai superarsi il termine massimo biennale di cui all’art. 407, comma 2, cod. proc. pen. (v., ad es., di recente Sez. 6, n. 12080 del 15/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 285364 – 01).
Tale principio, tuttavia, non può condurre ad ignorare che, sul piano logico giuridico, possono essere configurati diversi segmenti temporali del reato permanente che assumono rilievo non nel senso di incidere sulla natura unitaria dell’illecito di durata, ma sul piano del concreto e frazionato accertamento 5 giurisdizionale di condotte che ben possono protrarsi anche al di là di eventi idonei a interrompere la permanenza (per una puntuale ricostruzione del fenomeno, v., ad es., Corte cost., sent. n. 53 del 2018, che ne trae coerenti conseguenze di garanzia, quanto all’applicazione dell’art. 671 cod. proc. pen., al fine di modulare la risposta sanzionatoria in termini di proporzionalità).
Coerentemente con tale premessa, si è, ad esempio, ritenuto che, nell’ipotesi di reato permanente, l’archiviazione non seguita dalla autorizzazione alla riapertura delle indagini non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni e, quindi, l’esercizio dell’azione penale in relazione a fatti e comportamenti atti a dimostrare la consumazione dell’illecito limitatamente ai segmenti temporali successivi all’archiviazione (Sez. 5, n. 43663 del 14/05/2015, COGNOME, Rv. 264923 – 01, che ne trae la conseguenza per la quale la sanzione di inutilizzabilità derivante dalla violazione dell’art. 414 cod. proc. pen. colpisce solo gli atti che riguardano lo stesso fatto oggetto dell’indagine conclusa con il provvedimento di archiviazione, e non anche fatti diversi o successivi, benché collegati con i fatti oggetto della precedente indagine; nello stesso senso, v. anche Sez. 2, n. 14777 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 270221 – 0).
Da tali affermazioni discende che, in tali ipotesi, venendo in rilievo fatti successivi, ancorché collegati con i fatti precedentemente iscritti, viene a modificarsi il momento consumativo del reato con la conseguenza che non si fa luogo ad un “aggiornamento” dell’iscrizione, ma si procede ad una nuova iscrizione con conseguente spostamento in avanti del ‘dies a quo’ dell’iscrizione (ed è appena il caso di rilevare che la qualificazione giuridica degli atti del procedimento penale non può che essere condotta alla stregua di criteri oggettivi e non dei soggettivi convincimenti del Pubblico ministero, con la conseguenza che di “aggiornamento” si può parlare sono nei casi, previsti dall’art. 335, comma 2, cod. proc. pen., di mutamento della qualificazione giuridica del fatto o quando quest’ultimo risulti diversamente circostanziato).
In secondo luogo, l’eventuale inerzia del Pubblico ministero nell’assumere le sue determinazioni rispetto all’esercizio dell’azione penale – questione che ha indotto successivamente il legislatore a intervenire più volte al fine di introdurre finestre di giurisdizionalizzazione, accompagnate dallo strumento dissuasivo (si veda, al riguardo, il testo attuale dell’art. 415-quater cod. proc. pen.): ma si tratta di disciplina inapplicabile ‘ratione temporis, per quanto detto in principio certamente non comporta la conseguenza dell’inutilizzabilità degli atti delle indagini svolte sino alla scadenza del termine previsto dall’art. 405 cod. proc. pen. con riferimento al segmento di condotta del reato permanente cui si riferiscono.
Né, siffatta inerzia, può essere equiparata, in difetto di una previsione di legge, ad un provvedimento di archiviazione: ciò, in disparte quanto sopra rilevato, a proposito della non necessità, per indagare sui segmenti successivi, di un provvedimento di riapertura delle indagini ai sensi dell’art. 414 cod. proc. pen. 4. Ne discende la piena compatibilità ai superiori principi della decisione, valorizzata dall’ordinanza impugnata (Sez. 6, n. 10687 del 18/01/2023, COGNOME, n. m.), la quale ha condivisibilmente rilevato che, laddove, nel corso di un’attività investigativa già avviata in relazione ad un dato reato permanente (ma lo stesso vale per quelli abituali e, comunque, per tutti quelli la cui condotta si protragga nei tempo), successivamente alla scadenza del termine legale emergano nuove circostanze attestanti il perdurare della condotta delittuosa dell’indagato, nulla vieta al Pubblico ministero di procedere ad una nuova iscrizione per lo stesso reato e nei confronti della medesima persona.
Per un verso, infatti, nessuna norma del codice di rito lo impedisce.
Per l’altro, qualora dalle indagini in corso emergessero elementi di perdurante attualità della condotta delittuosa anche dopo il termine massimo delle stesse (come nel caso dell’ulteriore protrarsi della partecipazione del singolo al sodalizio mafioso), si dovrebbe giungere alla paradossale conseguenza di imporre al Pubblico ministero la chiusura delle indagini già avviate e l’esercizio dell’azione penale per quel reato fino a tale data, nonché, al contempo, l’apertura di un nuovo procedimento per lo stesso reato e verso la stessa persona dalla stessa data in poi, al quale dovrebbero rimanere estranee le acquisizioni istruttorie del procedimento chiuso, potendo queste “ricongiungersi” alle nuove risultanze probatorie soltanto nell’eventualità di ulteriore esercizio dell’azione penale anche per la condotta successiva e di riunione dei due processi derivatine o, in alternativa, di trasmigrazione probatoria e documentale tra processi, secondo il meccanismo delineato dagli artt. 238 e 238-bis, cod. proc. pen.
1.2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Giova evidenziare che l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione
di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Nel caso in esame, l’ordinanza impugnata risulta avere adeguatamente analizzato tutti gli elementi indiziari e li ha ricondotti ad unità, attesa la loro concordanza; quindi, con motivazione assolutamente logica, ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente in ordine al reato allo stesso contestato.
In particolare, il Tribunale ha evidenziato che, dalla lettura degli atti compiuti nel corso delle indagini preliminari, era emerso che NOME era imprenditore impegnato nell’esecuzione di diversi lavori pubblici (nell’area portuale, presso il depuratore e con riferimento alla rete fognaria) gestiti in subappalto da società riconducibili all’associazione di tipo mafioso capeggiata da NOME COGNOME.
A seguito dell’attività di indagine (in particolare, dalle registrazioni degli incontri tra l’indagato e i sodali della realtà associativa, nonché dalle intercettazioni telefoniche e ambientali), era emerso che l’indagato vantava un rapporto strettissimo con NOME COGNOME dal quale riceveva ordini, direttive, rimproveri e indicazioni funzionali al raggiungimento degli scopi del sodalizio sul territorio di riferimento.
In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Stante lo stato di detenzione di Russo, si dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen., affinché provveda a quanto stabilito dal comma 1 – bis del citato articolo.
P.Q.M.
0: GLYPH Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma C.) 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 15/11/2024