Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34809 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34809 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CAPUA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a VITULAZIO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CAPUA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a BELLONA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ZOFINGEN( SVIZZERA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/11/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi; udito il difensore del ricorrente COGNOME NOME, AVV_NOTAIO, e in sostituzione, per delega orale, del difensore dei ricorrenti COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, AVV_NOTAIO, e del difensore del ricorrente COGNOME NOME, AVV_NOTAIO, che ha concluso insistendo nei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7.04.2023, questa Corte annullava la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 10.06.2022 emessa ex art.599 cod. proc. pen., nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, e, per l’effetto estensivo della impugnazione, anche di NOME COGNOME e NOME COGNOME ritenuti colpevoli del reato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, avente carattere armato in relazione alle posizioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, e dei reati di acquisto, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, uniti in continuazione, limitatamente alla durata della condotta partecipativa di cui al capo A) oltre il 2016, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli per un nuovo giudizio sul punto nonché agli eventuali fini della rideterminazione del trattamento sanzionatorio, dichiarando nel resto inammissibili i ricorsi.
1.1. La sentenza di questa Corte ha rilevato che la verifica giudiziale sulla data di effettivo esaurimento della condotta, e il riscontro dell’eventuale anteriore cessazione della permanenza rispetto alla data di (preteso) accertamento, debbono compiersi anche a fronte di contestazione chiusa, quale quella odierna. Al riguardo debbono essere scrupolosamente analizzati i pertinenti indici dimostrativi dell’effettiva durata del sodalizio o della sing condotta partecipativa, anche di natura presuntiva, senza comunque dimenticare che spetta all’accusa la prova del protrarsi della condotta illecita e che, in caso di ragionevole dubbio sul punto, giova all’imputato il principio del favor rei (v. già Sez. 2, n.15551 del 4/11/2021, dep.2022, Gallace, Rv 283384-01). Precisava questa Corte che la chiusura dell’attività poliziesca di indagine non è certo, di per sé, un elemento idoneo e sufficiente a determinare il dies ad quem del delitto permanente, come osserva giustamente la sentenza impugnata; e, tuttavia, la motivazione giudiziale appariva carente nella rilevazione, nel processo, e conveniente valorizzazione di elementi diverso segno, idonei a costituire adeguata base dimostrativa della protrazione della permanenza.
Questa Corte ha rilevato che le cessioni di stupefacente sono accertate sino al luglio 2016; l’arma, sequestrata a COGNOME nel 2018, secondo quanto specificamente accertato e dichiarato, non è riconducibile alla organizzazione; e che non è chiaro a quale precisa circostanza di fatto si leghi l’affermata vitalità d quest’ultima sino alla data dell’aprile 2019 e che la conclusione attinta sembra piuttosto giustificata in base ad una sorta di permanenza inerziàle del vincolo associativo che, rispetto ad un’associazione dedita al narcotraffico, specie se di circoscritte dimensioni quale quella di causa, non pare rispondere a logica ed esperienza criminologica. Questa Corte ha ritenuto, pertanto, necessaria una
nuova valutazione in punto di determinazione del protrarsi dell’attività associativa oltre la data del luglio 2016 e della corrispondente e perdurante affiliazione alla stessa dei singoli partecipi NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
1.2 Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in sede di giudizio di rinvio, ha riformato la sentenza impugnata, ritenendo cessata la permanenza del reato associativo al mese di luglio 2016, e precisamente alla data del sequestro di gr.27,439 di marijuana presso l’abitazione di COGNOME NOME (5 luglio 2016), soggetto partecipe della associazione di cui al capo A) con il ruolo di soggetto preposto all’acquisto e alla custodia della sostanza stupefacente, e che, a partire da tale momento, non emergono più elementi per ritenere l’attualità del sodalizio: non si rilevano più contatti tra i correi, non si accerta la commissione di ulteriori reati fine, né si evincono altre attività investigative significative, perquisizioni o sequestri o captazioni di conversazioni degne di nota.
Quanto al rinvenimento della cimice all’interno della autovettura della COGNOME, avvenuto il 16.01.2016, la Corte territoriale ha ritenuto la circostanza non determinante per ritenere cessata la permanenza del reato in quanto la mera cessazione dell’attività investigativa non è da sola sufficiente a determinare il dies ad quem del delitto associativo, il quale dispiega i suoi effetti fino a momento della rescissione dei legami o della dissoluzione del vincolo, vincolo che non poteva ritenersi interrotto al gennaio 2016 come si evinceva dal sequestro di sostanza stupefacente ai danni dell’associato COGNOME avvenuto nel luglio 2016.
In punto di trattamento sanzionatorio, la Corte di rinvio ha accolto il motivo di NOME COGNOME, rideterminando la pena tenuto conto della complessiva entità del fatto e della personalità della imputata, rigettando i motivi nei confronti degl altri imputati ritenendo di non potere ulteriormente rideterminare la sanzione, determinata applicando quale pena base il minimo edittale, mentre gli imputati hanno già benevolmente usufruito delle circostanze attenuanti generiche (riconosciute a NOME COGNOME e NOME COGNOME in misura equivalente alla contestata aggravante) ritenendo non motivato un bilanciamento delle circostanze in termini di prevalenza, diverso da quello operato dal Tribunale, e che parimenti non può incidersi sulla quantità degli aumenti per la continuazione in quanto piuttosto contenuti e congrui in relazione alla notevole gravità dei fatti.
Gli imputati in epigrafe, ritualmente assistiti dai loro difensori di fiduc ricorrono per cassazione avverso la sentenza di appello pronunciata in sede di rinvio.
Il contenuto dei ricorsi può essere riassunto nei seguenti termini, ex art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono tramite un unico atto, sottoscritto dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME, affidato a due motivi.
3.1 II primo motivo di ricorso deduce violazione di legge e difetto di motivazione, ex art.628, comma 2, cod. proc. pen. in punto di determinazione del momento di cessazione della permanenza del reato associativo fino al mese di luglio 2016, lamentando la mancata applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte in sede rescindente laddove ha richiesto di analizzare scrupolosamente i pertinenti indici dimostrativi (anche di natura presuntiva) della effettiva durata del sodalizio o della singola condotta partecipativa, la valorizzazione della sola circostanza del sequestro di sostanza stupefacente, avvenuto nel luglio 2016 presso l’abitazione di NOME COGNOME, non contestata quale reato – fine nei confronti degli imputati, circostanza che comproverebbe soltanto la disponibilità della sostanza in capo al singolo ma non anche il protrarsi del sodalizio e il fine associativo della detenzione, in assenza di elementi probatori che cristallizzino la persistenza di contatti tra NOME ed i ricorrenti, e che oltr data del gennaio 2016, coincidente con il ritrovamento di una cimice all’interno della autovettura di NOME COGNOME, non vi è contestazione di altri reati – fine n l’attività investigativa successiva ha cristallizzato ulteriori elementi per ritene l’operatività del sodalizio e la partecipazione dei ricorrenti nei mesi successivi.
Deducono i ricorrenti che la Corte in sede di rinvio, nel determinare la operatività della associazione sino al luglio 2016, ha omesso di pronunciarsi con riferimento alla condotta contestata sino all’aprile 2019 e di assolvere gli imputati per evitare eventuale sottoposizione ad un nuovo processo per il medesimo fatto storico ex art.649 cod. proc. pen., quale fondamentale garanzia sia ai sensi dell’art.4 Protocollo 7 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sia in base alla Costituzione.
3.2 II secondo motivo di ricorso deduce, per le posizioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME, violazione di legge e difetto di motivazione ex art.628 cod. proc. pen. in punto di trattamento sanzionatorio, per non avere la Corte del rinvio, a seguito della contrazione del periodo di protrazione della permanenza del delitto associativo, rideterminato la pena anche tenuto conto del dato temporale.
L’imputata NOME COGNOME ricorre tramite ulteriore atto, sottoscritto dall’AVV_NOTAIO, affidato ad un unico motivo.
4.1 Il primo ed unico motivo di ricorso deduce carenza di motivazione ai sensi dell’art. 606 co. 1 lett. e) cod. proc. pen., in punto di trattament sanzionatorio per omessa valutazione dei criteri di cui all’art.133 cod. proc. pen.
per la pena base e per gli aumenti disposti a titolo di continuazione quali la risalenza nel tempo dei fatti e la condotta post delictum.
L’imputato NOME COGNOME ricorre tramite un unico atto, sottoscritto dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, affidato a due motivi.
5.1 Il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen. in relazione agli artt. 429, comma 1, e 174 cod. proc. pen. per omessa notifica nei termini, nei confronti dell’imputato, del decreto di citazione a giudizio innanzi alla Corte di Appello deducendo violazione del diritto di difesa.
5.1 Il secondo motivo di ricorso deduce carenza e vizio di Motivazione ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt.132 e 133 cod. pen., in punto di trattamento sanzionatorio, per non avere la Corte del rinvio rideterminato la pena nei confronti del ricorrente, lamentando omessa valutazione dei criteri di cui all’art.133 cod. proc. pen. per la pena base e per gl aumenti disposti a titolo di continuazione quali la risalenza nel tempo dei fatti e la condotta post delictum, nonché il limitato arco temporale (7 giorni) del protrarsi della partecipazione del ricorrente, individuato nel mese di novembre 2015, e la partecipazione minima con applicazione delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti nonché riconoscimento delle attenuanti specifiche.
L’imputato NOME COGNOME ricorre tramite un unico atto, sottoscritto dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, affidato ad un unico motivo.
6.1 Il primo ed unico motivo di ricorso deduce carenza di motivazione ai sensi dell’art. 606 co. 1 lett. e) cod. proc. pen., in punto di trattament sanzionatorio per omessa valutazione dei criteri di cui all’art.133 cod. proc. pen. per la pena base e per gli aumenti disposti a titolo di continuazione quali la risalenza dei fatti e la condotta post delictum.
Si è proceduto a trattazione orale e le parti hanno concluso come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso è inammissibile.
2.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La indiscussa natura permanente del reato di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico deriva dal fatto che il programma criminoso permane nel tempo, caratterizzandosi proprio per l’indeterminatezza, non tanto e non solo del suo oggetto, quanto piuttosto della sua durata nel tempo.
Giova, innanzitutto ribadire che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, dal Collegio pienamente condiviso, ai fini della configurabilità dell’associazione dedita al narcotraffico non è richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati (Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 275583; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258165; Sez. 2, n. 16540 del 27/03/2013, COGNOME, Rv. 255491).
Secondo la prevalente giurisprudenza (ex multis: Cass., Sez. II, 17 gennaio 2013, n. 16339), l’associazione per delinquere si caratterizza per tre fondamentali elementi: 1) vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati; sul punto si è precisato che non è necessario che il vinculum assuma carattere di assoluta stabilità, essendo sufficiente che a priori non sia programmaticamente circoscritto alla perpetrazione di uno o più reati predeterminati; 2) l’indeterminatezza del programma criminoso, che distingue il reato associativo dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato ex art. 110 c.p.; 3) l’esistenza di una organizzazione, di persone e di mezzi, anche minima, ma idonea ed adeguata alla realizzazione degli obbiettivi criminosi. Indefettibile, sul piano soggettivo, è la permanente consapevolezza di ciascun associato di fare parte del sodalizio criminoso nonché di fornire la propria disponibilità ad operare per la realizzazione del comune programma delinquenziale (affectio societatis sceleds).
Perché sia dimostrata la esistenza di tale tipologia di associazione è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: 1) l’esistenza di un gruppo i cui membri si siano consapevolmente aggregati per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti; 2) l’organizzazione, anche rudimentale, di attività personali e di beni economici per il perseguimento del fine illecito comune; 3) sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza di fare parte del sodalizio e di apportare un contributo apprezzabile, non episodico, ed idoneo a garantire la stabilità dell’unione illecita. La prova dell’esisten dell’associazione può essere raggiunta anche per facta concludentia, quali ad
esempio i contatti continui tra gli spacciatori, le basi logistiche, la commissione dei reati e le loro specifiche modalità esecutive (Cass., Sez. III, 26 novembre 2015, n.18137; Cass., Sez. V, 15 novembre 2012, n.8033). Criticato in dottrina è l’orientamento che tende a confondere la prova dei reati-scopo e quella della sussistenza di una associazione finalizzata a commetterli, deducendo la seconda dal mero fatto storico della commissione dei primi. Si sostiene, infatti, che per la configurabilità del reato di cui all’art.74 non sia richiesto un patto espresso fra g associati, potendo la prova del vincolo associativo essere desunta dalle modalità esecutive dei reati-fine, dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori e d ripartizione dei ruoli in vista del raggiungimento di un obbiettivo cOmune, nonché dall’esistenza di una struttura organizzativa, anche non sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale (Cass., SS.UU., 28 marzo 2001, n. 10) La critica ne evidenzia la conseguente riduzione dello sforzo probatorio alla dimostrazione del numero, della frequenza e gravità dei singoli reati, facendone derivare la responsabilità del singolo non solo per il fatto illecito commesso, ma anche per il reato associativo.
Il patto societario che delinea lo statuto del sodalizio criminale è destinato a sopravvivere ai suoi stessi autori e alla consumazione dei reati-scopo genericamente programmati (in questo consistendo il pericolo per l’ordine pubblico), laddove l’accordo finalizzato alla consumazione di una serie specifica e predeterminata di reati in vista del perseguimento di un obiettivo prestabilito, cessa con la realizzazione dei reati stessi e non può sopravvivere ad essi. La cessazione dei reati-scopo, dunque, se può costituire un indice rivelatore della fine dell’associazione, non è affatto incompatibile con la persistenza del sodalizio (sulla natura indeterminata del programma criminoso che lo distingue dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, la giurisprudenza di questa Corte è sterminata; cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 36131 del 13/05/2014, COGNOME, Rv. 260292; nonché, Sez. 1, n. 10107 del 14/07/1998, COGNOME, Rv. 211403; Sez. 6, n. 11413 del 14/06/1995, COGNOME, Rv. 203642).
La natura permanente del reato incide anche sul modo con cui viene confezionato il relativo capo di imputazione che non sempre indica la data o il periodo di cessazione della permanenza, generando, soprattutto in tema di reati associativi, contestazioni cd. “aperte”, prive, cioè, della indicazione della data d cessazione della condotta illecita. Il che pone il problema, ai vari fini, sostanzial processuali e penitenziari, dell’accertamento della cessazione della condotta contestata.
Secondo l’insegnamento di Sez. U, n. 11930 del 11/11/1994, Polizzi, Rv. 199169, «quando il capo di imputazione contenuto nel decreto di rinvio a giudizio relativo ad un reato permanente si limiti ad indicare soltanto la data
iniziale del fatto o quella della denuncia, ma non anche la data di cessazione della permanenza, l’intrinseca idoneità di tale tipo di reato a durare nel tempo, anche dopo l’avverarsi dei suoi elementi costitutivi, comporta che l’originaria contestazione si estenda all’intero sviluppo della fattispecie criminosa e che l’imputato sia conseguentemente chiamato a difendersi, fin dall’origine, non soltanto in ordine alla parte già realizzatasi di tale fattispecie, ma anche con riguardo a quella successiva perdurante fino alla cessazione della condotta o dell’offesa e comunque non oltre la sentenza di primo grado. In tal caso il giudice del dibattimento deve tener conto, pertanto, ai fini della condanna o comunque ad ogni effetto penale, anche della persistenza della condotta oltre quelle date, come emersa dall’istruttoria dibattimentale, senza che sia necessaria un’ulteriore specifica contestazione da parte del pubblico ministero». Tale principio è stato ripreso e ribadito da Sez. U, n. 11021 del 13/07/1998, COGNOME, Rv. 211385, secondo cui «poiché la contestazione del reato permanente, per l’intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l’elemento del perdurare della condotta antigiuridica, qualora il pubblico ministero si sia limitato ad indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell’accertamento) e non quella finale, la permanenza – intesa come dato della realtà – deve ritenersi compresa nell’imputazione, sicché l’interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell’azione penale». Nell’affermare detto principio la Corte ha precisato che la contestazione del reato permanente assume una sua “vis expansiva” fino alla pronuncia della sentenza, e ciò non perché in quel momento cessi o si interrompa naturalisticamente o sostanzialmente la condotta, ma solo perché le regole del processo non ammettono che possa formare oggetto di contestazione, di accertamento giudiziale e di sanzione una realtà fenomenica successiva alla sentenza, pur se legata a quella giudicata da un nesso inscindibile per la genesi comune, l’omogeneità e l’assenza di soluzione di continuità, la quale potrà essere eventualmente oggetto di nuova contestazione. La giurisprudenza di questa Corte non ha mancato di precisare l’ambito applicativo di tale regola declinandola in base alle diverse modalità della contestazione o alla fase processuale nella quale rileva. Si è affermato, così, che deve assegnarsi valore esclusivamente processuale e non di inversione dell’onere della prova alla regola secondo cui, qualora la contestazione di un reato permanente, sia formulata con il semplice richiamo alla data di accertamento dell’illecito, non occorre che vengano specificati gli ulteriori momenti di verifica della violazione. Mentre, quindi, base a detta regola, qualora dagli atti emerga la prova che la condotta illecita è Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
proseguita anche dopo la data dell’accertamento, il giudice può tenerne conto, anche in assenza di ulteriore contestazione, lo stesso giudice non può, invece, mancando la suddetta prova, assegnare all’imputato il compito di dimostrare che egli non ha perseverato nell’illecito ma deve piuttosto ritenere, per il principio “i dubbio pro reo”, che vi sia stata desistenza, assumendo quindi, come data di consumazione del reato, anche ai fini della prescrizione, quella dell’accertamento (Sez. 3, n. 10640 del 03/09/1999, NOME, Rv. 214039; Sez. 1, n. 39221 del 26/02/2014, COGNOME, Rv. 260511; Sez. 2, n. 23343 del 01/03/2016, COGNOME, Rv. 26708). La natura processuale della regola non impedisce al giudice di accertare, in sede esecutiva, attraverso un’analisi accurata degli elementi a sua disposizione, la data di effettiva cessazione della condotta qualora debba farsi dipendere da essa un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della permanenza (‘ex plurimis’, Sez. 1, n. 45295 del 24/10/2013, COGNOME, Rv. 257725, in tema di applicazione della liberazione anticipata; Sez. 1, n. 33053 del 12/07/2011, COGNOME, Rv. 250828, in tela di applicazione dell’indulto). In sede di legittimità, nel caso di contestazione senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, qualora debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della permanenza, è necessario verificare in concreto se, nella motivazione del provvedimento impugnato, il giudice della cognizione abbia o meno ritenuto provato il protrarsi della condotta criminosa fino alla data della sentenza di primo grado (Sez. 3, n. 68 del 25/11/2014, Patti, Rv. 261792, in tema di prescrizione). Il reato di associazione per delinquere di cui al capo 1 della sentenza è stato contestato come commesso «dal 2014 all’aprile 2019». A ben vedere, dunque, non si tratta di una contestazione cd. “aperta” perché la data di cessazione della permanenza è indicata dallo stesso titolare della pubblica accusa poi ridotta dalla Corte alla data sopra indicata (Se. 5, n. 21294 del 01/04/2014, NOME, Rv. 260227; nello stesso senso, più recentemente, Sez. 1, n. 44704 del 05/05/2015, NOME, Rv. 265253) che comportava l’obbligo per il pubblico ministero di dimostrate la permanenza del reato fino alla data che egli stesso aveva indicato nel capo di imputazione. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
La Corte del rinvio, coerentemente al principio affermato da questa Corte, ha affermato che l’associazione ha operato sino al luglio 2016, data del sequestro dello stupefacente del tipo marijuana, presso l’abitazione del sodale, NOME COGNOME, soggetto che ricopriva, all’interno del sodalizio dedito al narcotraffico il ruolo di addetto all’acquisito e alla custodia dello stupefacente (Sez. 3, Sentenza n. 2567 del 17/09/2018 Ud. (dep. 21/01/2019) Rv. 275829 – 01).
La motivazione indicando le ragioni per le quali oltre il termine del luglio 2016 l’operatività del sodalizio non può essere affermata con certezza è corretta ed immune da censure e vizi di illogicità.
Invero, il rinvenimento di sostanza stupefacente nella disponibilità del partecipe al sodalizio finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti della sostanza di cui il sodalizio fa commercio, unitamente ad altri indici comprovanti l’inserimento organico nella associazione, quale, oltre alla stabilità del rapporto del sodale, il precipuo ruolo di preposto all’acquisto e alla custodia della sostanza stupefacente, costituisce indice sintomatico del protrarsi della permanenza della associazione sino a tale data (Sez. 4, Sentenza n. 3398 del 14/12/2023 Ud. (dep. 29/01/2024) Rv. 285702 – 01).
Sotto altro profilo, ad avviso del Collegio, la motivazione è corretta ed immune da censure e vizi di illogicità sotto il profilo della valutazione in termi di non rilevanza ai fini della cessazione della permanenza del reato della circostanza del rinvenimento della cimice all’interno della autovettura della COGNOME, avvenuto il 16/01/2016, in quanto la mera cessazione dell’attività investigativa intercettativa dovuta, peraltro, ad evento fortuito ed estraneo alla volontà degli inquirenti, non è da sola sufficiente a determinare il dies ad quem del delitto associativo, che dispiega i suoi effetti fino al momento della accertata rescissione dei legami o della dissoluzione del vincolo, vincolo che non poteva ritenersi interrotto al gennaio 2016, come si evinceva dal sequestro di sostanza stupefacente, avvenuto nel luglio 2016, ai danni dell’associato COGNOME,
D’altra parte, grava sugli imputati l’onere di allegazione di eventuali fatt interruttivi della partecipazione al sodalizio, antecedenti all’atto investigativo d sequestro di stupefacente, in quanto solo l’arresto dell’associato, che nella specie manca, elidendo la possibilità dello stesso di continuare la comune attività criminale, rappresenta un dato fattuale idoneo a far ritenere recisi, in assenza di elementi contrari, i legami materiali con gli altri gli associati (Sez. 6, Sentenza n 4004 del 29/11/2023, Cc. (dep. 30/01/2024) Rv. 285904 – 01); Sez. 1, Sentenza n. 48643 del 10/06/2015, Rv. 265386 – 01).
2.2. A fronte di una contestazione chiusa fino all’aprile 2019, è inammissibile la doglianza di omessa pronuncia assolutoria per le condotte contestate sino all’aprile 2019.
Nel caso di reato permanente, la delimitazione del fatto contestato sotto il profilo della sua durata nel tempo dipende dalle indicazioni contenute nel capo d’accusa, nel senso che l’individuazione della sola data dl inizio o di accertamento della condotta comporta la pertinenza dell’addebito al tempo intercorrente fino alla sentenza di primo grado, mentre l’indicazione di una data finale (qual è anche l’espressione “fino ad oggi”) implica che la contestazione comprenda la sola porzione del fatto antecedente al rinvio a giudizio (Sez. 6, n. 49525 del 24/09/2003, Rv. 229504). Con altra e più recente pronuncia si è ancora ribadito che in tema di reato permanente, la contestazione’ contenuta nel
decreto che dispone il giudizio con la formula “ad oggi” o “tutt’ora” delimita la durata della contestazione e, quindi, la cessazione della permanenza alla data di formulazione dell’accusa (Sez. 6, n. 7605 del 16/12/2016, Rv. 269053). Il tema della contestazione del reato permanente risulta intimamente connesso con l’eccezione di ne bis in idem processuale poiché solo ove il fatto giudicato comprenda tutte le condotte accertate sino alla data della sentenza di primo grado risulta precluso un nuovo giudizio per tale periodo temporale; ove invece la contestazione contenga una precisa data finale non è precluso un nuovo giudizio sulle condotte successive a tale giorno e l’eventuale prosecuzione della condotta delittuosa potrà formare oggetto di nuova e separata contestazione in altro procedimento. In presenza di reato permanente, come l’associazione dedita al narcotraffico, il pubblico ministero procedente dovrà pertanto scegliere tra l’opzione di contestare l’attualità della permanenza facendo anche riferimento alla sola data di accertamento del fatto, il che preclude un secondo giudizio per fatti anteriori la data della sentenza di primo grado, e la possibilità di delimitar la data finale di contestazione con la conseguenza che, in tale ultimo caso, la prescrizione decorre da tale data precisamente indicata ed un secondo giudizio sarà possibile per tutte le condotte ulteriori. La scelta operata dal pubblico ministero, oltre a delimitare l’oggetto del procedimento in corso, determina conseguenze sia con riguardo al calcolo della prescrizione, che andrà operato diversamente a seconda che la contestazione sia “chiusa” o “aperta” sia con riguardo alla possibilità di procedere a nuovo giudizio per la medesima condotta permanente proseguita. Il principio suddetto risulta ancora affermato da altra pronuncia di questa Corte secondo cui in tema di reato permanente (nella specie partecipazione ad associazione mafiosa), la contestazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio con la formula “ad oggi” delimita la durata della contestazione e, quindi, la cessazione della permanenza alla data di formulazione dell’accusa. Ne deriva che, divenuta irrevocabile la condanna, il nuovo processo per l’ulteriore permanenza del reato associativo è precluso solo se Il fatto in esso contestato risulta accertato per un tempo che assorbe il suo termine finale (Sez. 5, n. 4554 del 09/12/2010, Rv. 249263). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
L’applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame comporta l’infondatezza del ricorso; ed infatti, nel caso di specie, il reato di natu permanente risulta contestato con la precisa formula “sino all’aprile 2019”, e cioè con formula “chiusa”, dal che ne deriva che a seguito della modifica della imputazione in relazione alla data del commesso reato (sino al luglio 2016), gli imputati sono chiamati a difendersi soltanto per le condotte realizzate sino a quella data, oggetto di precisa contestazione. Conseguentemente, la data di cessazione della permanenza e, di conseguenza, di decorrenza del termine di
prescrizione, va individuata nel termine finale di accertamento della condotta indicato nella imputazione, come modificata (luglio 2016) senza, che eventuali condotte successive possano rilevare ai fine cessazione della permanenza della associazione nel presente procedimento ben potendo essere oggetto di contestazione in altro nuovo e ulteriore giudizio. Ne consegue che, in caso di contestazione della permanenza con formula “chiusa”, e cioè con la precisa indicazione del termine finale della condotta con la formula “sino al…”, poiché l’imputato è chiamato a difendersi soltanto per le condotte poste in essere sino a quella data, correttamente il giudice del merito ha ritenuto di calcolare il termine di cessazione della permanenza e di decorrenza prescrizione dalla data finale della condotta indicata nella imputazione come modificata, nel giudizio di rinvio, alla data di luglio 2016 (Sez. 2 – , Sentenza n. 55164 del 18/09/2018, Rv. 274298 – 01).
NOME COGNOME.
3. Il primo ed unico motivo di ricorso, che deduce carenza di motivazione ai sensi dell’art. 606 co. 1 lett. e) cod. proc. pen., in punto di trattament sanzionatorio per omessa valutazione dei criteri di cui all’art.133 cod. proc. pen., è inammissibile.
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità tipica del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi anche quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (v. Cass., Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Conta Ido).
Nella specie, la Corte di rinvio, con motivazione immune da censure e vizi di illogicità ed insindacabile in questa sede, previa applicazione delle già riconosciute attenuanti generiche, ha rideterminato la pena base in anni undici di reclusione, in misura di poco superiore al minimo edittale, sulla base della valutazione di particolare gravità del fatto e, segnatamente, sulla base del ruolo di particolare rilevanza svolto dalla COGNOME all’interno della organizzazione criminale, della circostanza che la ricorrente era socia in affari e compagna del capo clan, NOME COGNOME, del contributo nevralgico fornito per la stessa sopravvivenza del clan, dei compiti di intermediazione e di messaggera del
compagno, della presenza quotidiana nelle zone dove si svolgevano le attività illecite nonché valutando congrui i singoli aumenti di pena disposti dal Tribunale a titolo di continuazione ritenendoli piuttosto contenuti e non suscettibili d ulteriore riduzione.
NOME COGNOME.
4. Il primo motivo di ricorso, che deduce violazione di legge ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen. in relazione agli arte. 429, comma 1, e 174 cod. proc. pen. per omessa notifica nei termini, nei confronti dell’imputato, del decreto di citazione a giudizio innanzi alla Corte di Appello deducendo violazione del diritto di difesa, è inammissibile.
Invero, nel giudizio cartolare di appello celebrato nel vigore della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, il mancato rispetto del termine di venti giorni stabilito dall’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., determina una nullità di ordine generale relativa all’intervento dell’imputato, deducibile dal difensore solo con il primo atto utile, sia esso una memoria ovvero le conclusioni ex art. 23-bis legge 18 dicembre 2020, n. 176, sicché l’eccezione proposta con il ricorso per cassazione è tardiva (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sanata la nullità conseguente alla tardività della citazione in appello sul rilievo che il difensore aveva omesso di inviare richiesta di rinvio ovvero di trattazione orale) (Sez. 2, Sentenza n. 48275 del 20/10/2023).
Nella specie, la nullità è da intendersi sanata per omessa deduzione del vizio in sede di giudizio di rinvio ritualmente svoltosi con la partecipazione del ricorrente svolgendo la propria attività difensiva.
Questioni comuni
5. I ricorsi propongono in punto di trattamento sanzionatorio alcune questioni che, anche per ragioni di sintesi (ovvero per evitare di reiterarne l’esame vagliando di volta in volta la posizione di ciascun imputato che le abbia sollevate), meritano una trattazione generale e, al contempo, un vaglio adeguato.
5.1 II trattamento sanzionatorio.
Un profilo comune ai ricorsi proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, è quello relativo alla violazione di legge e difetto di motivazione ex art.628 cod. proc. pen., per omessa valutazione dei criteri di cui all’art.133 cod. proc. pen., in punto di trattamento sanzionatorio che, in sede di rinvio, nonostante la contrazione del periodo di protrazione della permanenza del delitto associativo, non è stato rideterminato né per la pena base né per gli aumenti disposti a titolo di continuazione, in relazione alla
risalenza dei fatti ed alla condotta post delictum, nonché per COGNOME in relazione al limitato arco temporale (7 giorni) di protrazione della partecipazione d ricorrente, individuato nel mese di novembre 2015, nonché per omessa applicazione di un giudizio di bilanciamento delle attenuanti generiche e dell attenuanti specifiche in termini di prevalenza.
Il motivo è inammissibile.
5.2 La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra ne discrezionalità tipica del giudice di merito, che la esercita, così come per fis la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri a una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficie motivazione, tale dovendo ritenersi anche quella che per giustificare la soluzion dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adegua della pena irrogata in concreto (v. Sez. 5, Sentenza n. 5582 del 30/09/2013 Rv. 259142 – 01; Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME).
Nella specie, la Corte di rinvio con motivazione immune da censure e vizi di illogicità ed insindacabile in questa sede, ha ritenuto congrua la pena ba determinata dal Tribunale (in sede di concordato con rinuncia ai motivi), nel minimo edittale, con riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione del comportamento processuale, condividendo la valutazione di particolare gravità del fatto compiuta dal giudice di prime cure, e ritenen parimenti congruo l’aumento di pena (nella misura di mesi uno per ciascun reato-fine) disposto a titolo di continuazione, e comunque piuttosto contenuto non suscettibile di ulteriore riduzione per la notevole gravità dei fatti.
D’altra parte, in tema di determinazione della pena nel reato cOntinuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-bas vieppiù quando non è possibile dubitare del rispetto del limite legale del tri della pena base ex art. 81, comma primo, cod. pen., in considerazione della misura contenuta degli aumenti di pena irrogati, e i reati posti in continuazio siano integrati da condotte criminose seriali ed omogenee (nella specie plurimi delitti di furto in abitazione e ai danni di capannoni industriali (Sez. 5, Sent n. 32511 del 14/10/2020, Rv. 279770 – 01).
5.3 Ad avviso del Collegio, è priva di pregio la deduzione difensiva in merito al breve arco temporale (7 giorni) di protrazione della partecipazione del COGNOME individuato nel mese di novembre 2015.
Va, al riguardo, ribadito che, in tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai fini della verifica degli elernenti costit della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell’affectio” di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi, come nel caso in esame, l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 278446- 02 relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che, attraverso l’analisi del contenuto dei dialoghi intercettati, aveva ritenuto non significativa la circostanza che l’attività criminosa avesse formato oggetto di un’osservazione non dilatata nel tempo, dando invece rilievO a numerosi elementi di conferma delle origini risalenti dello schema operativo, quali la dimestichezza dei conversanti, l’uso di riferimenti di non immediata intelligibilità, e l’esistenza di debiti già accumulati) (Sez. 6, Sentenza n. 42937 del 23/09/2021, Rv. 282122 – 01).
Ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui all’art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990 309, è sufficiente anche l’adesione e l’apporto di un contributo per una fase temporalmente limitata (Fattispecie relativa alla gestione di una piazza di spaccio) (Sez. 3, Sentenza n. 27910 del 27/03/2019, Rv. 276677 – 01).
Il pieno inserimento del ricorrente nel sodalizio è stato adeguatamente valutato dai giudici di merito con valutazione immune da censure e vizi, ed a nulla rileva la complessiva brevità del periodo in contestazione, risultando provato con evidenza che l’illecita attività era intensa e continuativa. Va, in punto di prova della partecipazione ad un sodalizio dedico dal narcotraffico, richiamato l’insegnamento di questa Suprema Corte, secondo cui “in tema di associazione per delinquere, a fronte di plurime commissioni, in concorso con altri partecipi, di fatti integranti i reati-fine dell’associazione, grava sul singo prova che il suo contributo non è dovuto ad un vincolo preesistente con i correi, fermo restando che, a motivo della natura permanente del reato associativo, detta prova non può consistere nella limitata durata dei rapporti con costoro” (Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015, Rv. 26534601; Sez. 5, Sentenza n. 6026 del 25/03/1997, Rv. 208088; Sez. 2, Sentenza n. 5424 del 22/01/2010, Rv. 246441).
5.4 La medesima sorte avvince la doglianza avverso la negata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e delle attenuanti ad effetto speciale sulle contestate aggravanti, in quanto la Corte territoriale, tenendo in debita considerazione le modalità della condotta ed il contegno processuale dei
ricorrenti, improntato alla ammissione sostanziale degli addebiti, ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza, motivando adeguatamente sulle ragioni del diniego per un diverso bilanciamento delle circostanze per l’assenza di ulteriori elementi o circostanze di segno positivo.
Sul punto è bene ricordare che le circostanze attenuanti atipiche, introdotte dal decreto legislativo luogotenenziale n. 288 del 14/9/1944, rappresentano uno strumento di individualizzazione della risposta sanzionatoria lì dove sussistano in positivo – elementi del fatto o della personalità, tali da rendere necessaria la mitigazione, ma non previsti espressamente da altra disposizione di legge. L’applicazione della norma necessita – pertanto – di un substrato cognitivo e di una adeguata motivazione, nel senso che è da escludersi l’esistenza di un generico potere discrezionale del giudice di riduzione dei limiti legali dell sanzione, dovendo di contro apprezzarsi e valorizzarsi un «aspetto» del fatto o della personalità risultante dagli atti del giudizio (tra le molte Sei. VI 28.5.19 n. 8668). Da qui, stante l’ampia tipizzazione di fattori circostanziali da un lato la necessità di ancorare l’applicazione della norma ad un preciso indicatore di minor disvalore del fatto-reato dall’altro, è derivato il filone interpretativo individua nelle categorie generali descritte nell’art. 133 cod. pen, il principal ‘serbatoio’ di ipotesi, capace di razionalizzare e rendere controllabile la valutazione del giudicante. Si è pertanto ritenuto che la valutazione sotto diversi profili (commisurazione della pena nell’ambito edittale e riconoscimento o negazione delle attenuanti generiche) della stessa situazione di fatto è del tutto legittima, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte per distinti fini e conseguenze (Sez. 1, n. 1376, del 28/10/1997, Rv. 209841). Le lineeguida della «gravità del reato» (art. 133, co. I, cod. pen.) e della «capacità a delinquere del colpevole» (art. 133, co. Il, cod. pen.) restano pertanto gli indicatori essenziali cui ancorare la particolare valutazione postulata dall’art. 62 bis cod. pen. e ciò conduce – da sempre – a ritenere il «fatto» della confessione processuale come possibile fattore di attenuazione della sanzione, ai sensi dell’art. 133 co. 2 n. 3, cod. pen. (sub specie di condotta susseguente al reato e sua possibile incidenza sulla valutazione della capacità a delinquere). Pur a fronte della commissione di un fatto-reato di elevata gravità, non vi è dubbio pertanto – che l’apporto confessorio può legittimamente fondare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sempre che – ed è questo il tema – lo stesso non sia un ‘semplice’ fattore di agevolazione nella ricostruzione del fatto controverso, ma un preciso «indicatore» di riconsiderazione critica del proprio operato e discontinuità con, il precedente modus agendi (tra le molte Sez. 6, n. 3018, del 11/10/1990, Rv. 186592; Sez. 6, n. 11732, del 27/1/2012, Rv. 252229). Ciò, a ben vedere, è imposto dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
correlazione – interna alla norma dell’art. 133 – tra la ‘condotta susseguente al reato e la categoria della ‘capacità a delinquere’ (nel senso che dò che emerge nel primo ambito va qualificato come incidente sulla seconda), specie in un contesto sostanziale e processuale la cui evoluzione «storica» consegna ad altri istituti – a cavallo tra diritto e processo – il compito di attenuare ‘la sanzione «cambio» di scelte di semplificazione processuale (riti speciali di cui agli artt. 438 ss. e 444 e ss. cod. proc. pen.). Non è un caso, pertanto, che anche lì dove si sia riaffermata – come valore costituzionale – la libertà del giudice di valorizzare come indicatore positivo ai fini previsti dall’art. 62 bis cod. pen. la condotta susseguente al reato ( Corte cost., sentenza n. 183 del 2011 dichiarativa della illegittimità del limite di apprezzamento che era stato introdotto dal legislatore del 2005 in ipotesi di recidiva qualificata) si è precisato a più riprese che l’irragionevolezza della scelta legislativa era nel suo automatismo di inibizione, posto che la condotta susseguente al reato «può segnare una radicale discontinuità negli atteggiamenti della persona e nei suoi rapporti sociali, di grande significato per valutare l’attualità della capacità a delinquere». Il finalismo rieducativo della pena trova dunque un riconoscimento lì dove – in sede di quantificazione processuale – si possa dare peso a condotte «che manifestino una riconsiderazione critica del proprio operato». Anche la lettura data dal giudice delle leggi al rapporto tra condotta susseguente al reato ed applicazione delle attenuanti generiche conferma, pertanto, una rilevanza «mediata» della confessione processuale, da ritenersi indicatore utile solo nei limiti di «effettiva incidenza» sulla capacità a delinquere e non come mero strumento di semplificazione probatoria. Va pertanto ribadita, alla luce di quanto sinora detto, la linea interpretativa che esclude l’accesso alla attenuante favorevole atipica, in presenza di confessione, lì dove quest’ultima sia stata dettata non da effettiva resipiscenza ma da intento utilitaristico (Sez. 6, n.11732, del 27/1/2012, Rv. 252229). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Nella specie, la Corte del rinvio, a fronte di una prova della responsabilità già granitica ha generosamente riconosciuto le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza, nonostante l’inutilità probatoria del “gesto” e la strategia meramente speculativa che lo aveva determinato. In un tale contesto, la agognata prevalenza confligge, come correttamente argomenta la Corte territoriale, con lo spirito della attenuante e con il necessario equilibrio richies al giudice del merito nel bilanciare il peso delle circostanze di segno diverso. Giudizio che, se correttamente argomentato, non è censurabile , nella sede di legittimità (Sez. 3, Sentenza n. 17395 del 24/01/2023, Rv.284556; Sez. 5, n. 5579, del 26/9/2013, Rv. 258874; Sez. 6, n. 6866, del 25711/2009, Rv. 246134).
Alla pronunzia di inammissibilità dei ricorsi consegue ex art.6,16 cod. proc. pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, di una somma equitativamente determinata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 17/07/2024.