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Reato permanente: fine condotta e pena in Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di alcuni imputati condannati per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. La sentenza affronta il tema centrale del reato permanente, chiarendo i criteri per determinare la data di cessazione della condotta illecita e confermando che la riduzione del periodo del reato non implica automaticamente una diminuzione della pena, la cui determinazione rientra nella discrezionalità del giudice di merito.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Permanente: la Cassazione sulla fine della condotta

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 34809 del 2024, offre importanti chiarimenti sulla gestione processuale del reato permanente, con particolare riferimento all’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. La pronuncia si sofferma su due aspetti cruciali: la determinazione del momento in cui cessa la condotta criminale e le conseguenze di tale determinazione sulla quantificazione della pena. Questa decisione ribadisce principi consolidati e fornisce una guida preziosa per comprendere la logica del sistema sanzionatorio.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da un ricorso presentato da diversi imputati, condannati in appello per aver fatto parte di un’associazione armata dedita al traffico di sostanze stupefacenti. In un precedente giudizio, la stessa Corte di Cassazione aveva annullato la sentenza di secondo grado, ma solo limitatamente alla durata della partecipazione all’associazione oltre l’anno 2016. La Corte aveva infatti rilevato una carenza di motivazione sulla prova della prosecuzione del sodalizio criminale.

In sede di rinvio, la Corte di Appello aveva quindi riformato la sentenza, stabilendo che la permanenza del reato associativo era cessata nel luglio 2016. Tale data coincideva con il sequestro di un ingente quantitativo di marijuana presso l’abitazione di uno degli associati, considerato l’ultimo atto oggettivamente riconducibile all’attività del gruppo. Nonostante la contrazione del periodo di permanenza del reato, la Corte di Appello non aveva ritenuto di dover ridurre significativamente le pene inflitte. Contro questa decisione, gli imputati hanno proposto un nuovo ricorso in Cassazione, lamentando l’errata determinazione della data di cessazione del reato e la mancata riduzione della pena.

La Questione Giuridica: La Durata del Reato Permanente

Il cuore della controversia giuridica riguarda la natura del reato permanente. Questo tipo di reato si caratterizza per una condotta che si protrae nel tempo, offendendo il bene giuridico protetto in modo continuativo. Nel caso dell’associazione per delinquere, il reato sussiste finché il vincolo tra gli associati rimane attivo e operativo.

Una delle problematiche principali è stabilire il dies ad quem, ovvero il momento esatto in cui la condotta cessa. Tale determinazione è fondamentale per vari aspetti, tra cui il calcolo della prescrizione. Gli imputati sostenevano che l’ultimo atto certo fosse il ritrovamento di una microspia in un’auto nel gennaio 2016, e che il successivo sequestro di droga a carico di un solo associato non fosse sufficiente a provare la vitalità dell’intero sodalizio. La Corte, invece, doveva valutare se il sequestro di luglio 2016 costituisse un indice sintomatico adeguato a fissare la fine dell’operatività dell’associazione.

Analisi del Reato Permanente e delle Imputazioni “Chiuse”

Un altro profilo di interesse riguarda la gestione delle imputazioni “chiuse”, ovvero quelle che indicano una data di inizio e una data di fine precise (nel caso di specie, “sino all’aprile 2019”, poi modificata in “sino al luglio 2016”). Gli imputati chiedevano di essere assolti per il periodo successivo a luglio 2016 per evitare un futuro processo per gli stessi fatti, invocando il principio del ne bis in idem. La Corte ha dovuto chiarire che, in caso di imputazione chiusa, il giudizio copre solo ed esclusivamente il periodo contestato, senza precludere nuovi procedimenti per eventuali condotte successive.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili, fornendo una motivazione dettagliata su ogni punto sollevato.

La Data di Cessazione della Condotta nel Reato Permanente

La Cassazione ha ritenuto corretta e logicamente motivata la decisione della Corte di Appello di fissare la cessazione del reato permanente a luglio 2016. Il rinvenimento di sostanza stupefacente nella disponibilità di un partecipe, la cui funzione era proprio quella di custodire la droga per conto del sodalizio, costituisce un “indice sintomatico” del protrarsi della permanenza dell’associazione fino a quella data. La Corte ha specificato che, a fronte di elementi oggettivi che indicano la vitalità del gruppo, spetta agli imputati fornire la prova di un’eventuale interruzione anticipata del vincolo associativo, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

L’Inammissibilità del Motivo sulla Ridterminazione della Pena

Anche le doglianze relative al trattamento sanzionatorio sono state respinte. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. La riduzione del periodo di permanenza del reato non comporta automaticamente una diminuzione della pena, specialmente quando questa è già stata determinata su livelli vicini al minimo edittale e ritenuta congrua in relazione alla gravità complessiva dei fatti, al ruolo dei singoli e all’organizzazione del sodalizio. La Corte di rinvio aveva adeguatamente motivato la sua scelta, ritenendo le pene e gli aumenti per la continuazione contenuti e giusti in relazione alla gravità dei crimini commessi.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida importanti principi in materia di reato permanente e trattamento sanzionatorio. In primo luogo, stabilisce che la prova della cessazione di un sodalizio criminale può essere desunta da indici sintomatici oggettivi, come il sequestro di stupefacenti a un membro con un ruolo chiave. In secondo luogo, riafferma l’ampia discrezionalità del giudice di merito nella determinazione della pena, il cui esercizio è sindacabile in Cassazione solo per vizi di logica o violazione di legge, e non per una mera riconsiderazione della sua congruità. Infine, chiarisce che una contrazione del periodo del reato non obbliga il giudice a una riduzione automatica della sanzione, se quella inflitta è già ritenuta adeguata alla gravità complessiva della condotta.

Come si determina la data finale di un reato permanente come l’associazione a delinquere?
La data finale viene determinata sulla base di elementi di prova oggettivi che dimostrino l’operatività del sodalizio criminale fino a quel momento. Un sequestro di sostanze stupefacenti a carico di un associato con ruolo di custode, ad esempio, è considerato un valido ‘indice sintomatico’ della prosecuzione del reato. La mera cessazione dell’attività investigativa non è di per sé sufficiente a determinare la fine della condotta.

La riduzione del periodo di tempo contestato per un reato permanente comporta automaticamente una diminuzione della pena?
No. La determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che valuta la gravità complessiva dei fatti, il ruolo dei singoli imputati e altri criteri previsti dall’art. 133 c.p.p. Se la pena base è già stata fissata su livelli vicini al minimo edittale e considerata congrua, la contrazione del periodo del reato non obbliga il giudice a un’ulteriore riduzione.

Se un’accusa per un reato permanente indica una data finale precisa (imputazione ‘chiusa’), si può essere processati di nuovo per fatti successivi?
Sì. Quando l’imputazione è ‘chiusa’ a una data specifica, il giudicato copre solo le condotte realizzate fino a quel momento. Il principio del ‘ne bis in idem’ (divieto di un secondo processo per lo stesso fatto) non viene violato se si avvia un nuovo procedimento per fatti e condotte delittuose commessi in un periodo successivo a quello già giudicato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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