Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14826 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14826 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Roma il 17/01/1987; avverso l’ordinanza del 09/07/2024 del Tribunale di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 9 luglio 2024, il Tribunale di Roma, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto la richiesta, avanzata dall’interessato, di dichiarare, ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen., il ne bis in idem tra i fatti di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma dell’8 gennaio 2021, divenuta irrevocabile il 25 marzo 2021 – che lo ha condannato alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione per il reato di cui agli artt. 110, 349, primo e secondo comma, e 81 cod. pen., commesso in data 21 gennaio 2015, ed ha dichiarato estinti per prescrizione i reati
A.k
di cui agli artt. 44, comma 1, lettera b), 64, 65, 71 e 72 del d.P.R. n. 380 del 2001 – e quelli di cui alla sentenza del Tribunale di Roma, emessa in data 12 settembre 2019, divenuta irrevocabile il 29 novembre 2019, di condanna alla pena sospesa di mesi sei di reclusione per condotte previste e punite dagli artt. 110 cod. pen. e 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001 e 110, 349, primo e secondo comma, e 81 cod. pen., commessi fino all’H gennaio 2017 (data in cui risulta contestata la predetta violazione di sigilli).
Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero le condizioni di cui all’art. 649 cod. proc. pen., non essendo ravvisabile tra le condotte un’effettiva corrispondenza storico-naturalistica. Quanto alle violazioni urbanistiche, nello specifico, si è sottolineata la diversità dei lavori abusivi, visto che, alla data del gennaio 2015, il manufatto, eccettuato il piano terra, si presentava interamente grezzo, risultando contestate opere di prosecuzione che lasciavano l’immobile in dette condizioni, mentre gli illeciti posti in essere sino all’il gennaio 20 afferivano all’intonacatura del primo piano, con conseguente predisposizione per l’impianto elettrico e presenza degli infissi, nonché alla presenza di lastre di pietra di rivestimento delle parti esterne. Quanto, invece, ai reati di cui all’art. 349 cod pen., se ne è evidenziata la diversa datazione, essendo stato l’uno accertato in data 20 gennaio 2015, l’altro in data 11 gennaio 2017.
2. Avverso l’ordinanza, l’indagato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di ricorso, la violazione degli artt. 649 e 669 cod. proc. pen., e 4 del Protocollo n. 7 CEDU, e la connessa manifesta illogicità della motivazione, in relazione al mancato riconoscimento dell’identità dei fatti oggetto delle due sentenze in contestazione.
Dopo avere chiarito che la sentenza di cui si chiede la revoca è quella della Corte di appello di Roma, emessa in data 21 gennaio 2015, che non infligge nessuna pena per le violazioni urbanistiche poiché prescritte – di talché non poteva assumere alcuna rilevanza la asserita diversità dei capi di imputazione con riferimento alla tipologia di lavori eseguiti – asserisce il ricorrente che corrispondenza storico-naturalistica necessaria ai fini del bis in idem sussiste con riguardo alle contestate violazioni di sigilli, non potendosi ritenere che le due sentenze in esame abbiano ad oggetto violazioni commessi in tempi diversi. Dalla lettura dei capi di imputazione, infatti, emergerebbe con evidenza come i reati di cui all’art. 349 cod. pen., giudicati con la sentenza della Corte di appello di Roma dell’8 gennaio 2021, risultino riconnpresi in quelli già sanzionati con la sentenza del Tribunale del 12 settembre 2019, essendo la data di consumazione di tali violazioni indicata attraverso il richiamo ai verbali di sequestro e apposizione dei
sigilli e tenuto altresì conto della contestata continuazione tra reati ex art. 81 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
1.1. Quanto agli illeciti urbanistici in esame, il percorso argomentativo delineato con il provvedimento impugnato non risulta suscettibile di alcuna censura, avendo il giudice dell’esecuzione accertato, con congrua motivazione, che la sentenza della Corte di appello di Roma del1 1 8 gennaio 2021, aveva avuto ad oggetto la prosecuzione di lavori, eseguiti senza il progetto esecutivo, su un immobile abusivo di mt 15x17x3,50, già sottoposto a sequestro, così come accertati in data anteriore e prossima al 20 gennaio 2015.
Invece, la sentenza del Tribunale di Roma del 12 settembre 2019 aveva avuto ad oggetto lavori di intonacatura del primo piano su un manufatto abusivo di mt 15x17x3,50, già sottoposto a sequestro, di predisposizione per l’impianto elettrico, di apposizione degli infissi, nonché di applicazione di lastre in pietra di rivestimento delle pareti esterne, così come accertato in data anteriore e prossima all’il gennaio 2017.
Ebbene, in punto di diritto, la giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che, in tema di reato permanente, il divieto di secondo giudizio riguarda la condotta delineata nell’imputazione ed accertata con sentenza, di condanna o di assoluzione, divenuta irrevocabile e non anche la prosecuzione della stessa condotta o la sua ripresa in epoca successiva, giacché, in tal caso, si tratta di fatto storico diverso non coperto dal giudicato e per il quale non vi è impedimento alcuno a procedere (ex multis, Sez. 3, n. 9988 del 19/12/2019, dep. 2020, Rv. 278534; Sez. 3, n. 19354 del 21/04/2015, Rv. 263514; Sez. 3, n. 15441 del 13/03/2001, Rv. 219499).
Ne deriva che la prosecuzione o la ripresa degli interventi edificatori in un periodo successivo, attesa la natura permanente della fattispecie e la conseguente scomponibilità giuridica dei comportamenti posti in essere dall’imputato, esclude che possa integrare una ipotesi di identità del fatto, rilevante ai fini dell operatività del principio del ne bis in idem (Sez. 3, n. 19354 del 21/04/2015, Rv. 263514), tenuto conto che le condotte successive di prosecuzione e ripresa dei lavori, concorrendo materialmente – e non già formalmente – con le precedenti, si atteggiano come azioni diverse, ulteriormente lesive dell’interesse penalmente tutelato e produttive di un nuovo evento in senso storico, dimostrativo della diversità dei fatti, per la mancata coincidenza degli elementi costitutivi dell’idem factum (condotta-nesso causale-evento naturalistico), potendo il giudice
affermare (Corte cost. n. 200 del 31/05/2016) che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra – situazione nella specie non sussistente
– la coincidenza di tutti i predetti elementi.
1.2. Lo stesso è a dirsi con riferimento alle violazioni dei sigilli di cui all’
349 cod. pen., avendo la sentenza della Corte di appello di Roma dell’8 gennaio
2021 sanzionato condotte protrattesi sino al 20 gennaio 2015 ed accertate in pari data, mentre la pronuncia del Tribunale di Roma del 12 settembre 2019 ha avuto
ad oggetto la violazione accertata in data 11 gennaio 2017.
Per costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, del resto, il reato d violazione di sigilli ha natura istantanea e si perfeziona sia con la materiale
violazione dei sigilli, sia con ogni condotta idonea a frustrare il vincolo d immodificabilità imposto sul bene per disposizione di legge o per ordine
dell’autorità; di conseguenza, compiuta la prima infrazione, il reato si reitera ogni qualvolta si realizza una condotta contraria al precetto, in ulteriore violazione del
persistente vincolo sulla res (ex plurimis,
Sez. 3, n. 37398 del 7/07/2004, Rv.
230043).
Ogni successiva, eventuale, infrazione, dunque, costituisce un nuovo, autonomo reato, eventualmente unificabile per continuazione con le violazioni precedenti (Sez. 3, n. 21405 del 17/04/2022, Rv. 221977), a nulla rilevando la circostanza che le diverse infrazioni afferiscano alla violazione dei sigilli apposti nell’ambito dei medesimi sequestri.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 11/12/2024.