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Reato permanente e ne bis in idem: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato che contestava una nuova misura cautelare per associazione mafiosa, sostenendo la violazione del principio del ne bis in idem. La Corte ha stabilito che, in caso di reato permanente, la condotta delittuosa che prosegue in un arco temporale successivo a quello già giudicato costituisce un fatto diverso. Pertanto, è legittima una nuova azione penale e una nuova misura cautelare senza che ciò rappresenti un illecito ‘ripristino’ di una misura precedente.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Permanente e Principio del Ne Bis in Idem: Nuovi Chiarimenti dalla Cassazione

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 31613 del 2024, ha fornito un’importante delucidazione sui confini applicativi del principio del ne bis in idem (divieto di un secondo giudizio per lo stesso fatto) in relazione al reato permanente. La pronuncia affronta il caso specifico della partecipazione a un’associazione di stampo mafioso, chiarendo quando sia possibile avviare un nuovo procedimento penale per una condotta che prosegue nel tempo, senza violare le garanzie dell’imputato.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un soggetto sottoposto a una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere per il delitto di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) e altri reati fine. L’indagato aveva già subito un procedimento per il medesimo reato associativo, nell’ambito della nota operazione denominata “Crimine”.

In quel primo procedimento, l’accusa, inizialmente formulata in modo “aperto”, era stata poi “chiusa” dal Pubblico Ministero, delimitando la condotta al 21 marzo 2011. Quel processo si era concluso con un annullamento senza rinvio da parte della Corte di Cassazione e la conseguente dichiarazione di inefficacia della misura cautelare per decorrenza dei termini massimi.

Successivamente, veniva avviato un nuovo procedimento penale in cui si contestava al medesimo soggetto la prosecuzione della sua partecipazione all’associazione mafiosa, ma per il periodo successivo al marzo 2011, e con un ruolo apicale. La difesa ha impugnato la nuova misura cautelare, sostenendo che si trattasse di un illegittimo “ripristino” di una misura già estinta, in violazione dell’art. 307, comma 2, del codice di procedura penale e del principio del ne bis in idem.

Ne bis in idem e la Specificità del Reato Permanente

Il nucleo della questione giuridica risiede nella corretta interpretazione del concetto di “medesimo fatto” quando ci si trova di fronte a un reato permanente. A differenza dei reati istantanei, che si consumano in un unico momento, il reato permanente si caratterizza per una condotta illecita che si protrae nel tempo, mantenendo la sua offensività.

Secondo la difesa, la condotta di partecipazione all’associazione era unica e non poteva essere frazionata a piacimento dall’accusa per superare l’ostacolo del precedente giudicato. Di contro, la Procura e i giudici di merito hanno ritenuto che la condotta posta in essere in un arco temporale successivo a quello già giudicato costituisse un “fatto diverso”, come tale autonomamente perseguibile.

Le Motivazioni della Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato e aderendo all’impostazione dei giudici di merito. Le motivazioni della decisione si basano su alcuni pilastri fondamentali.

In primo luogo, la Corte ha ribadito che l’identità del fatto, ai fini del ne bis in idem, sussiste solo quando vi è coincidenza delle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone. Nel caso di specie, la cesura temporale operata dal Pubblico Ministero nel primo procedimento (fissando il tempus commissi delicti fino al 21 marzo 2011) ha fatto sì che il nuovo procedimento, riguardando fatti successivi a tale data, avesse ad oggetto un fatto storicamente e giuridicamente distinto.

In secondo luogo, i giudici hanno sottolineato che la natura del reato permanente consente di perseguire la condotta illecita che si sia protratta anche in un’epoca successiva a quella coperta da una precedente imputazione. La delimitazione temporale dell’accusa in un processo non crea una sorta di immunità per la prosecuzione futura della stessa attività criminosa. Altrimenti, si arriverebbe all’assurdo di garantire l’impunità a chi, dopo una prima contestazione, continuasse a delinquere.

Infine, la Corte ha escluso che la nuova misura cautelare costituisse un “ripristino” vietato dalla legge. Non si tratta di riattivare una misura estinta per lo stesso fatto, ma di emettere una nuova misura per un fatto diverso, basato su elementi investigativi più recenti e riguardante un periodo di condotta successivo, durante il quale l’imputato avrebbe assunto anche un ruolo diverso e più grave all’interno del sodalizio.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un principio di notevole importanza pratica nella lotta alla criminalità organizzata. La Corte di Cassazione afferma con chiarezza che il principio del ne bis in idem non può essere invocato per paralizzare l’azione penale di fronte alla prosecuzione di un reato permanente. La possibilità per il Pubblico Ministero di delimitare temporalmente l’oggetto dell’imputazione è uno strumento processuale legittimo che definisce l’ambito del giudizio, ma non preclude la repressione delle condotte illecite che continuino a manifestarsi nel futuro. Questa interpretazione garantisce un corretto bilanciamento tra le garanzie difensive e l’esigenza di contrastare efficacemente fenomeni criminali protratti nel tempo.

Si può essere processati due volte per partecipazione a un’associazione mafiosa?
No, non per lo stesso identico fatto. Tuttavia, secondo la Corte, se la condotta di partecipazione al reato permanente prosegue nel tempo, è possibile essere processati per il periodo successivo a quello già coperto da un precedente giudizio, in quanto la condotta posta in essere in un diverso arco temporale costituisce un fatto diverso.

Cosa significa ‘chiudere’ una contestazione in un reato permanente?
Significa che il Pubblico Ministero, nell’esercizio dell’azione penale, delimita in modo preciso l’arco temporale della condotta criminosa che sarà oggetto di quello specifico processo. Questa delimitazione, come chiarito dalla sentenza, definisce l’ambito del giudizio ma non impedisce di perseguire la stessa condotta se questa prosegue in un periodo successivo.

Una nuova misura cautelare per lo stesso tipo di reato associativo viola il divieto di ‘ripristino’ di una misura estinta?
No, non lo viola se la nuova misura si fonda su un ‘fatto diverso’. Nel caso esaminato, il fatto è stato considerato diverso perché si riferiva a un segmento temporale della condotta successivo a quello del primo procedimento e si basava su nuovi elementi investigativi, inclusi reati fine commessi in epoca recente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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