Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31613 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31613 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a Mammola il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/12/2023 del Tribunale del riesame di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, che ha insistito per raccoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, adito ex art. 310 cod. proc. pen., ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, con la quale veniva respinta la richiesta di declaratoria di perdita di efficacia della misur
cautelare della custodia in carcere nei confronti di COGNOME NOME relazione al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. e la sostituzione della misura del custodia in carcere con gli arresti domiciliari per le residue l’ipotesi di reato fondamento del titolo cautelare.
COGNOME è stato destinatario della misura custodiale emessa dal G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria 1 1 11 luglio 2023 per i delitti di associazione a delinquere di stampo mafioso nonché per diversi reati fine (quattro estorsioni aggravate dal metodo e dall’agevolazione mafiosa commesse nel 2017).
COGNOME era sottoposto a misura cautelare il 4 agosto 2010 nel procedimento n. 1398/2008, cosiddetta operazione “Crimine”, per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., quale partecipe del locale di Mammola, con contestazione aperta; la contestazione era chiusa, nel corso della udienza preliminare, dal AVV_NOTAIO ministero, alla data del 21 marzo 2011; la condanna in grado di appello veniva annullata senza rinvio dalla Corte di cassazione, con trasmissione degli atti al AVV_NOTAIO ministero, e, in conseguenza di tale annullamento, il 24 giugno 2016 il G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria dichiarava la inefficacia della custodia in carcere per decorso del termine massimo ex art. 304, comma 6 cod. proc. pen.; gli atti del procedimento “Crimine”, infine, confluivano nel presente procedimento.
COGNOME lamentava, quindi, al Tribunale del riesame la violazione dell’art. 307, comma 2, cod. proc. pen., ravvisando nella misura emessa 1’11 luglio 2023 un ripristino, limitatamente alla fattispecie associativa di cui al capo a), della misura dichiarata inefficace.
Il Tribunale del riesame rigettava l’istanza evidenziando che, pure essendo identica la fattispecie, nel procedimento “Crimine” e nel presente procedimento sono contestati due segmenti temporali diversi della condotta: nel più risalente procedimento, la partecipazione al locale di Mammola fino al 21 marzo 2011, nel presente procedimento la partecipazione con ruolo apicale alla medesima organizzazione, a partire dal marzo 2011. Il Tribunale del riesame ha ritenuto, quindi, trattarsi della adesione, in tempi diversi, con ruoli diversi, al medesimo gruppo, nel periodo successivo e con diversa composizione soggettiva.
Il Collegio della cautela ha evidenziato, infine, che l’annullamento senza rinvio della decisione di merito maturata a seguito dell’indagine “Crimine” non elideva il dato processuale offerto da quel procedimento, che ha attenzioNOME una condotta associativa dispiegatasi sino al 21 marzo 2011, là dove la contestazione associativa a fondamento del titolo coercitivo tuttora in esecuzione focalizza il periodo successivo fino alla attualità e si fonda su più recenti acquisizioni investigative: gli stessi reati fine si collocano nell’anno 2017, quind in epoca successiva all’annullamento.
2. Avverso l’ordinanza, ricorre per cassazione COGNOME, deducendo, come unico motivo, la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 30 comma 2, cod. proc. pen., rappresentando l’ordinanza di applicazione della misura cautelare per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. pronunciata nel presente procedimento il ripristino della misura cautelare già emessa nell’ambito del procedimento RGNR 1389/08 cd. “Crimine” (i cui atti sarebbero confluiti nel presente procedimento) e dichiarata estinta per decorso dei termini massimi di custodia cautelare con ordinanza del G.i.p. di Reggio Calabria del 26 giugno 2016, pur non ricorrendo alcuna delle ipotesi consentite dall’art. 307, comma 2, cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame ha omesso di considerare come la contestazione elevata nel procedimento “Crimine” avesse originariamente forma aperta per poi essere oggetto di una operazione di chiusura al 21 marzo 2011 nel corso dell’udienza preliminare del 13 giugno 2011. Il Collegio della cautela ha omesso di valutare le motivazioni di detta operazione di chiusura, soprattutto là dove la difesa ne aveva censurato la legittimità, essendosi la stessa realizzata in assenza di alcuna giustificazione. Non vi erano elementi in atti per sostenere tale cessazione, né si comprende per quale ragione fenomenica il giorno dopo la associazione fosse ricominciata. Non può lasciarsi tale scelta a una insindacabile decisione del AVV_NOTAIO ministero.
Nei reati associativi la condotta criminosa cessa solo con lo scioglimento del sodalizio criminale o per effetto di condotte di recesso volontario. Discende dal principio di irretrattabilità della azione penale il fatto che il pubblico minist non possa procedere autonomamente alla riduzione del fatto contestato ad ipotesi meno grave (come è avvenuto in “Crimine”) mediante una attività di mera correzione o di riduzione delle condotte, mentre gli è normativamente riconosciuto il solo potere di integrare l’accusa. Sotto questo profilo, neppure può riconoscersi rilevanza a quanto affermato nel provvedimento impugNOME in ordine al fatto che il fenomeno associativo sarebbe diverso perché si tratta dell’adesione -in tempi diversi e con ruoli diversi- al medesimo organismo associativo. In sostanza è necessario accertare che il soggetto sia passato a una diversa organizzazione criminale ovvero che sia verificata una successione nelle attività criminali tra soggetti diversi, sia pure con lo stesso nome ed operanti nello stesso territorio.
Nucleo fondante le ragioni della difesa è rappresentato dall’annullamento senza rinvio disposto da questa Corte nell’ambito del procedimento Crimine. Proprio la modifica della imputazione da parte del AVV_NOTAIO ministero all’udienza preliminare (nel corso della quale era contestato il ruolo di capo del ricorrente,
senza però procedere ex art. 423, comma 3 cod. proc. pen.) è stata sanzionata dalla Corte di cassazione con sentenza n. 830 del 17 giugno 2016 di annullamento senza rinvio, sentenza alla quale, appunto, ha fatto seguito una nuova iscrizione dell’imputato nel presente procedimento nel 2017 per il medesimo fatto di reato – ad avviso del difensore -, il cui accertamento giudiziale sarebbe stato già oggetto di annullamento sulla scorta della citata sentenza.
A ciò consegue che mai potrà ragionevolmente sostenersi che la contestazione relativa al procedimento “Crimine” possa ritenersi chiusa alla data del 22 marzo 2011, a meno di non volere fare discendere effetti processuali da una modifica dell’imputazione già cassata senza rinvio. E di tutta evidenza che la nuova iscrizione, alla quale si è fatto riferimento, nasceva, per esplicita indicazione del AVV_NOTAIO ministero procedente, dall’annullamento del procedimento “Crimine”, senza una vera e propria soluzione di continuità, tanto che nel processo che ci occupa e nella ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di COGNOME, si è fatto esplicito riferimento a quelle sentenze d condanna in primo e secondo grado poi oggetto di annullamento.
Al momento della iscrizione di COGNOME nel 2017, nel procedimento in oggetto non si indagava su fatti strettamente connessi, bensì sul medesimo fatto storico il cui accertamento giudiziale era però risultato viziato, giusta pronuncia di questa Corte.
Infine, qualora si volesse superare la assorbente motivazione in ordine alla identità del fatto di reato oggetto di contestazione nel procedimento Crimine così come nel procedimento che ci occupa, non potrebbe revocarsi in dubbio che si tratta di procedimenti per fatti quantomeno connessi.
È, quindi, di tutta evidenza che l’ordinanza di custodia cautelare emessa in danno di COGNOME NOME nell’ambito del procedimento che ci occupa costituisca il ripristino di una misura già dichiarata estinta per il superamento dei termini massimi di custodia cautelare con provvedimento del G.i.p. del 24 giugno 2016; ripristino non consentito se non nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 307, comma 2, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Occorre premettere che si è formato il giudicato cautelare in ordine alla posizione del ricorrente e che tutti i profili relativi ai rapporti tra le due inda citate dalla difesa e alla ammissibilità della custodia cautelare in ordine al
segmento temporale per il quale oggi COGNOME è detenuto, sono stati analiticamente affrontati dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria nell’ordinanza n. 34/2022 dell’Il luglio 2023. Si evidenzia, peraltro, che le difese non hanno allegato alcun elemento di novità che possa fare venire meno tale giudicato.
Ciò detto, affrontando, comunque, i motivi di ricorso della difesa, deve osservarsi che le questioni relative alla contestazione aperta e al ne bis idem sono infondate.
3.1. Il ricorso muove da una affermazione formulata in termini assoluti: non vi erano elementi in atti per sostenere la cessazione della condotta mafiosa al 21 marzo 2011, né si comprende per quale ragione fenomenica il giorno dopo la associazione fosse ricominciata. Non può lasciarsi tale scelta a una insindacabile decisione del AVV_NOTAIO ministero. Nei reati associativi la condotta criminosa cessa solo con lo scioglimento del sodalizio criminale o per effetto di condotte di recesso volontario.
L’assunto non può essere condiviso.
3.2. Nell’affrontare il profilo della chiusura della contestazione da parte del AVV_NOTAIO ministero, la sentenza Iazzetta (Sez. 6, n. 51803 del 17/10/2018, Rv. 274577 – 01) si dimostra particolarmente puntuale.
La contestazione riflette un accadimento storicamente percepibile e accertabile e dunque, così come la condanna, non può che aver ad oggetto un fatto pregresso o tutt’al più coevo, non essendo concepibile un accertamento riferito a condotte future (in tal senso si richiama anche quanto rilevato da Corte cost. n. 53 del 2018, al punto 3 del «Considerato in diritto»). Correlativamente deve ritenersi che una contestazione aperta legittimi l’accertamento del protrarsi di una condotta permanente, entro il limite della sentenza di primo grado. Ma, al contempo, ciò non implica che la contestazione, in base all’iniziativa spettante al pubblico ministero non possa essere modificata attraverso la precisazione del termine finale, senza arrecare un vulnus alle facoltà difensive dell’imputato.
A ben guardare, in realtà, la mera precisazione del termine finale, tale da precludere l’ulteriore proiezione futura dell’accertamento, non costituisce di per sé neppure una modifica sostanziale della contestazione, che strutturalmente non può riferirsi al futuro: su tali basi deve correlativamente escludersi che per il periodo successivo a quello della precisazione possa anche solo in astratto prospettarsi la consumazione del potere di esercizio dell’azione penale, che non è mai giunta ad assumere come suo oggetto anche quel periodo.
3.2. Il Tribunale del riesame, quindi, ha svolto correttamente un ragionamento giuridico che presuppone la regolarità della scelta del AVV_NOTAIO ministero di modifica della contestazione ai sensi dell’art. 423 cod. proc. pen.
nel corso dell’udienza preliminare in relazione alla suddetta operazione di “chiusura” del tempus commissi delicti del reato associativo nel procedimento cd. “Crimine”, tale da giustificare – ad avviso del giudicante – la sussistenza di due distinti fatti di reato in ragione della non sovrapponibilità temporale tra i fatti cui i procede – successivi al 21 marzo 2011 – e quelli anteriori a tale data (procedimento cd. “Crimine”).
4. Ai fini della preclusione del principio del ne bis in idem, deve premettersi che l’identità del fatto è configurabile solo ove le condotte siano caratterizzate dalle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone, sicché costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma e integrando gli estremi del medesimo reato, rappresenti ulteriore estrinsecazione dell’attività delittuosa, distinta nello spazio e nel tempo da quella pregressa (Sez. U. n. 34655 del 28/6/2005, COGNOME, Rv. 231799-01, impostazione definitivamente consacrata da Corte cost. n. 200 del 2016).
In particolare, nel caso di fattispecie relativa a partecipazione ad associazione mafiosa va esclusa la violazione del principio del ne bis in idem, quando la contestazione afferisce a un periodo temporale successivo rispetto a quello oggetto del precedente procedimento e si fonda su fatti nuovi, indicativi della persistente intraneità del ricorrente.
Il reato permanente, quale quello di partecipazione ad associazione mafiosa, non consta di un’unica dimensione spazigkemporale; pertanto, nel caso della partecipazione ad associazione criminale, assume rilievo la concreta delimitazione temporale di tale partecipazione come configurata nell’imputazione, che definisce l’ambito del giudizio e prima ancora cristallizza il concreto esercizio dell’azione penale. Tuttavia, data la natura del fenomeno associativo, è ben possibile che la condotta illecita sia tenuta anche in epoca successiva a quella specificamente delimitata dall’imputazione. Nonostante l’unitarietà del reato permanente deve allora escludersi che, in casi siffatti, si determini una preclusione anche in relazione a periodi non espressamente inclusi, assumendo invece rilievo la precisa definizione spaziemporale della condotta partecipativa, giacché altrimenti si assicurerebbe l’impunità, a fronte di condotte ulteriormente protrattesi, anche oltre i fisiologici limiti di durata del fase.
Nel caso in esame deve, altresì, evidenziarsi, a scanso equivoci, che, quand’anche si volesse ritenere che l’operazione di modifica effettuata dal AVV_NOTAIO ministero all’udienza preliminare del 13 giugno 2011 non abbia prodotto effetti in ragione della regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, la contestazione aperta del procedimento de quo giunge fino oltre il
2016 e contempla la commissione di quattro estorsioni aggravate ex art. 416bis. 1 cod. pen., commesse nel 2017 e, dunque, certamente attinge un fatto che non può dirsi già ricompreso nell’ambito dell’originaria applicazione della misura custodiale, essendo comunque successivo, senza che in alcun modo possa prospettarsi la violazione dell’art. 307 cod. proc. pen.
4.1. Risulta, inoltre, dal testo del provvedimento impugNOME, come nel presente procedimento il AVV_NOTAIO ministero, ripercorrendo la precedente scelta procedurale (annullata da questa Corte di legittimità solamente perché realizzata con modalità non consentite ai sensi dell’art. 423 comma 2, cod. proc. pen., ovvero senza il consenso dell’imputato), abbia esercitato il proprio legittimo potere – in fase di indagini preliminari – di perimetrare la contestazione associativa inizialmente formulata nel procedimento cd. “Crimine” (confluito nel presente) in modo da evidenziare la non sovrapponibilità dei due segmenti temporali dell’associazione (recitando, il capo di incolpazione, «a far data dal 21 marzo 2011, atteso che il periodo antecedente è già stato oggetto di contestazione nell’ambito del p.p. n. 1398/2008 operazione cd. Crimine»), dovendosi a ciò aggiungere, quali ulteriori elementi indicativi di fatti di reato non “identici” nelle loro componenti storico-naturalistiche – secondo la ricostruzione accreditata dal giudicante – l’aspetto della diversità dei ruoli (prima come partecipe, ora come capo) e la differente componente soggettiva per la ritenuta adesione ad una locale piuttosto che ad un’altra.
Alla luce delle sopra esposte considerazioni, sono esclusi, in definitiva, in radice, i presupposti per il lamentato “ripristino” di una misura cautelare già dichiarata estinta in violazione dell’art. 307, comma 2, cod. proc. pen., versandosi in ipotesi di fatti associativi differenti, contestati nell’ambito procedimenti successivamente riuniti.
Da ciò discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 15 Taggio 2024 Il Co siglier -,eténsò e
Il Presidente