Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12675 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12675 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/02/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME
R.G.N. 40404/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a CATANIA il 21/11/1972 avverso l’ordinanza del 07/08/2024 del GIP TRIBUNALE di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania – in funzione di giudice dell’esecuzione – ha rigettato l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME questi aveva chiesto di fissare al 03/11/2010 la decorrenza della pena complessiva da espiare, pena che era stata rideterminata in anni quattordici e mesi otto di reclusione, all’esito del riconoscimento – a mezzo di precedente provvedimento, recante data 30/07/2022 – del vincolo della continuazione, fra i reati giudicati a mezzo delle seguenti sentenze:
sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania del 16/01/2018, confermata dalla Corte di assise di appello di Catania il 16/12/2020 e passata in giudicato il 21/12/2021, per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen., commesso in Catania e provincia fino al 31/07/2016 e conclusosi con la condanna alla pena di anni dieci e mesi otto di reclusione;
sentenza emessa dalla Corte di appello di Catania in data 10/09/2014, in riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania, passata in giudicato il 07/06/2016, relativa al reato di cui all’art. 416bis cod. pen., commesso in Catania e provincia fino all’aprile del 2010 e conclusosi con la condanna alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione;
sentenza emessa dalla Corte di appello di Catania in data 30/01/2019, in riforma della sentenza del Tribunale di Caltagirone, passata in giudicato il 17/12/2020 relativa al reato di cui all’art. 513bis cod. pen., commesso in Palagonia dal 2004 al 2008 e dal gennaio 2010 al novembre 2010, conclusosi con la condanna alla pena di anni uno di reclusione, inflitta a titolo di continuazione.
Il giudice dell’esecuzione ha individuato, quale reato piø grave ex art. 187 disp. att. cod. proc. pen., quello giudicato mediante la sentenza sopra riportata sub a), che ha inflitto al NOME la pena di anni dieci e mesi otto di reclusione; su tale pena, Ł stato applicato un aumento a titolo di continuazione che – a seguito di precedente annullamento, disposto dalla Corte di cassazione – Ł stato stabilito in anni tre e mesi nove di reclusione, per il reato di cui alla sentenza sub b) e in mesi tre di reclusione, per il reato giudicato mediante la pronuncia indicata sub c); il complessivo incremento sanzionatorio così ottenuto, in relazione alle sentenze sub b) e c), pari ad anni quattro di reclusione, ha condotto alla determinazione della pena finale, in riferimento ai reati giudicati mediante le tre sentenze sopra richiamate, che Ł stata pari ad anni quattordici e mesi otto di reclusione. ¨ stata individuata, infine -quale data di decorrenza di tale pena – quella del 20/04/2016 ed Ł stato posto, pertanto, il fine pena al 17/09/2026.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME con atto a firma degli avv.ti COGNOME ed NOME COGNOME evidenziando come il ricorrente abbia riportato le suddette condanne in relazione a un reato permanente; sarebbe stato necessario, quindi, detrarre – dal computo della pena da espiare, ottenuta all’esito dell’unificazione delle singole pene sotto il vincolo della continuazione – il periodo di presofferto, computandolo sin dall’inizio della privazione della libertà personale. Trattandosi sempre della medesima fattispecie associativa e non essendo possibile, quindi, effettuare una valutazione in punto di maggiore o minore gravità, il dies a quo avrebbe dovuto coincidere con la prima e maggiormente datata sentenza, risalente al 2014 e non, invece, con la sentenza del 2016.
Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio.
L’ordinanza impugnata non si Ł conformata ai principi di diritto in tema di continuazione, riguardo ai reati associativi e alla necessità di individuare il trattamento sanzionatorio in riferimento ad un’unica condotta di partecipazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł infondato.
2. Il principio di diritto al quale rifarsi Ł nel senso che il reato permanente presenta una sua intrinseca natura unitaria; ciò impedisce che si possa effettuare una ideale scomposizione della complessiva fattispecie in plurimi segmenti, ciascuno costituente autonomo reato, che siano in parte antecedenti e in parte successivi, rispetto alla esecuzione dello stato detentivo. Deriva da tale impostazione concettuale il fatto che – agli effetti della previsione ex art. 657 comma 4 cod. proc. pen. – non possa esser considerata come sofferto successivamente, rispetto alla consumazione del reato permanente, il periodo di privazione della libertà personale subito senza titolo per il fatto diverso, durante il tempo della permanenza del reato considerato [si veda, sul punto specifico, il dictum di Sez. 1, n. 5537 del 11/11/1988, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212216 – 01, relativa a una fattispecie nella quale erano stati tra loro unificati, sotto il vincolo della continuazione, tanto il delitto associativo di cui all’art. 416bis cod. pen., quanto altri reati già giudicati ed era stata domandata la detrazione del periodo di custodia cautelare sofferto relativamente a questi ultimi, anzichØ del minore periodo computato in sede di esecuzione, corrispondente all’aumento di pena stabilito per detti reati a titolo di continuazione (nello stesso senso, si richiama Sez. 1, n. 1436 del 10/03/1998, Pesce, Rv. 210202 – 01, a mente della quale: ‹‹In tema di fungibilità delle pene, ai sensi dell’art. 657, comma quarto, c.p.p., ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire, si possono computare la custodia cautelare subita o le pene espiate “senza titolo” (ovvero quando il titolo sia venuto meno), purchØ successive alla commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire: nel caso in cui detto reato sia di natura permanente, avendo, ontologicamente
e giuridicamente, una struttura unitaria, non Ł possibile operare una sua scomposizione in una pluralità di reati, in parte anteriori ed in parte posteriori alla esecuzione dello stato detentivo per altro fatto. Ne consegue, che non può dirsi sofferta “dopo” tale reato, la carcerazione senza titolo qualora il reato permanente si protragga al di là della carcerazione stessa. Tale conclusione non urta contro i principi costituzionali: la permanenza del reato, invero, non Ł un fatto oggettivo, sganciato dalla volontà del soggetto, ma , al contrario, dipende proprio da tale volontà, essendo nella volontà e nella attivazione del soggetto il venir meno della permanenza; per cui l’applicazione dell’art.657, comma quarto, c.p.p., nei termini così precisati, non determina disparità di trattamento, atteso che la situazione di colui che “protrae la permanenza del reato” senza interromperla, al di là del termine di cui alla citata disposizione, Ł ben diversa da quella di colui che abbia commesso un reato esauritosi antecedentemente a quel momento: tra i due, infatti, solo il primo Ł nella condizione di poter protrarre un comportamento criminoso in modo da farvi rientrare (quale pena da detrarre) una detenzione già sofferta››].
Nella concreta fattispecie, il condannato Ł stato assoggettato a titolo cautelare carcerario sin dal 03/11/2010; il giudice dell’esecuzione ha ritenuto che il periodo di carcerazione senza titolo, sofferto dal 20/09/2014 al 19/04/2016, non possa essere detratto per fungibilità dalla pena complessiva in espiazione, per esser stato esso sofferto in epoca antecedente, rispetto alla commissione del reato permanente in esecuzione, il cui tempo di commissione Ł stato fissato fino al 31/07/2016 (dunque fino a data posteriore, rispetto all’inizio della relativa carcerazione).
Trattasi di una ineccepibile applicazione delle regole ermeneutiche sopra riassunte; nØ difformi lumi possono ricavarsi dalle deduzioni difensive, che si limitano a contestare la decisione, affidandosi alla riproposizione di argomentazioni già prospettate in sede di merito.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 06/02/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME