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Reato permanente e calcolo pena: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di reato permanente, la carcerazione sofferta prima della cessazione del reato stesso non può essere detratta dalla pena finale. Il caso riguardava un condannato per associazione mafiosa che chiedeva di anticipare la data di decorrenza della pena. La Corte ha rigettato il ricorso, sottolineando la natura unitaria del reato permanente, che impedisce di considerarlo concluso fino alla fine della condotta criminale.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Permanente: Come si Calcola l’Inizio della Pena? La Cassazione Chiarisce

Quando una persona viene condannata per un reato permanente, come un’associazione di stampo mafioso, il calcolo del periodo di pena da scontare può diventare complesso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico, chiarendo un aspetto fondamentale: la detraibilità della carcerazione preventiva (il cosiddetto presofferto) dalla pena complessiva. L’analisi della Corte fornisce principi cruciali per comprendere come la natura continuativa di certi crimini influenzi l’esecuzione della sanzione.

I Fatti del Caso: Il Calcolo della Pena Complessiva

Il caso esaminato riguarda un individuo condannato a una pena complessiva di quattordici anni e otto mesi di reclusione. Questa pena era il risultato dell’unificazione, tramite l’istituto della continuazione, di tre diverse sentenze definitive. Le condanne riguardavano principalmente il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), un classico esempio di reato permanente, protrattosi per diversi anni.

Il condannato, tramite i suoi legali, aveva chiesto al Giudice dell’esecuzione di fissare la data di inizio della pena da scontare a una data molto antecedente (novembre 2010), sostenendo che il periodo di carcerazione sofferto da quel momento dovesse essere interamente scalato dal totale. Il Giudice, tuttavia, aveva rigettato l’istanza, fissando l’inizio della pena all’aprile del 2016 e il fine pena al settembre 2026. Da qui il ricorso in Cassazione.

La Questione Giuridica: Reato Permanente e Detrazione del Presofferto

Il nodo centrale della questione era stabilire se un periodo di carcerazione, subito mentre il reato permanente era ancora in corso, potesse essere detratto dalla pena finale. Secondo la difesa, essendo le condanne relative alla medesima fattispecie associativa, il presofferto doveva essere computato sin dall’inizio della privazione della libertà personale.

La legge (art. 657, comma 4, c.p.p.) stabilisce che la custodia cautelare subita ‘senza titolo’ può essere computata, a condizione che sia successiva alla commissione del reato per il quale si deve eseguire la pena. La domanda cruciale diventa quindi: quando si considera ‘commesso’ un reato permanente? Al suo inizio o alla sua fine? La risposta a questa domanda determina se il periodo di carcerazione in questione sia stato sofferto ‘dopo’ il reato o ‘durante’ di esso.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la decisione del Giudice dell’esecuzione. I giudici hanno ribadito un principio fondamentale: il reato permanente ha una natura intrinsecamente unitaria. Non è possibile scomporlo idealmente in più segmenti temporali (uno prima della carcerazione e uno dopo). L’intera condotta, dall’inizio alla fine, costituisce un unico reato.

Di conseguenza, la Corte ha stabilito che la carcerazione sofferta mentre il reato è ancora in corso non può essere considerata ‘successiva’ alla sua commissione. Nel caso specifico, il reato associativo per cui è intervenuta la condanna più grave si era protratto fino al 31 luglio 2016. Pertanto, un periodo di detenzione sofferto, ad esempio, nel 2015, è avvenuto ‘durante’ la permanenza del reato, non ‘dopo’.

Secondo la Cassazione, questa interpretazione non viola alcun principio di equità. La permanenza del reato dipende dalla volontà del soggetto, che continua a partecipare all’associazione criminosa. Se il soggetto protrae la sua condotta illecita, non può poi pretendere di ‘usare’ un periodo di detenzione sofferto nel frattempo per abbreviare la pena per quel medesimo comportamento continuato. In altre parole, non si può considerare sofferta ‘dopo’ il reato una carcerazione avvenuta mentre il reato stesso, per volontà del reo, è ancora in pieno svolgimento.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La decisione della Cassazione consolida un orientamento giuridico di grande importanza pratica. Per il reato permanente, il calcolo della pena da eseguire e la detrazione del presofferto devono tenere conto della cessazione della condotta criminosa. Un periodo di detenzione cautelare può essere detratto solo se sofferto successivamente al momento in cui il reato si è concluso. Questa sentenza chiarisce che non è possibile ‘anticipare’ la fungibilità della pena a un periodo in cui l’attività illecita era ancora in atto, riaffermando la coerenza del sistema sanzionatorio rispetto alla natura unitaria e protratta di questa tipologia di crimini.

Quando si considera commesso un reato permanente ai fini della detrazione della pena?
Un reato permanente si considera commesso per tutto il tempo in cui si protrae la condotta illecita. La sua commissione cessa solo nel momento in cui termina l’attività criminale. Pertanto, ai fini della detrazione della pena, solo la carcerazione sofferta dopo la cessazione del reato può essere computata.

È possibile detrarre un periodo di carcerazione sofferto ‘durante’ la commissione di un reato permanente?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, secondo l’art. 657, comma 4, c.p.p., la carcerazione può essere detratta solo se successiva alla commissione del reato. Poiché il reato permanente è un’entità unitaria che dura nel tempo, una carcerazione subita mentre esso è ancora in corso non è ‘successiva’ e quindi non può essere detratta dalla pena per quel reato.

Perché il reato permanente ha una natura unitaria che impedisce di scomporlo?
La natura unitaria deriva dal fatto che l’offesa al bene giuridico tutelato è continua e dipende dalla volontà ininterrotta dell’autore. Non è giuridicamente possibile frazionare questa condotta in segmenti autonomi, alcuni precedenti e altri successivi a un determinato evento come lo stato di detenzione, perché l’intera durata della condotta costituisce un unico reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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