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Reato militare di ingiuria: la decisione della Cassazione

Un ufficiale militare umilia una sottoposta facendola deridere dai commilitoni. La Corte di Cassazione ha esaminato il caso, confermando la qualificazione del fatto come reato militare di ingiuria, sebbene non punibile per la particolare tenuità. La Corte ha rigettato sia il ricorso del Procuratore, che chiedeva di qualificare il fatto come violenza privata, sia quello dell’imputato, che sosteneva di aver agito a scopo didattico, ritenendo entrambi i ricorsi inammissibili.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato militare di ingiuria: quando la ‘lezione’ di un superiore diventa umiliazione

Il confine tra l’esercizio del potere disciplinare e l’abuso che sfocia in un’offesa personale è spesso sottile, specialmente in contesti gerarchici come quello militare. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sul reato militare di ingiuria, analizzando un caso in cui un ufficiale è stato accusato di aver umiliato una sua sottoposta. La decisione sottolinea come anche un comportamento ritenuto di lieve entità possa integrare un reato, pur senza portare a una condanna penale grazie all’istituto della particolare tenuità del fatto.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da due episodi distinti. Nel primo, un ufficiale della Marina Militare aveva insistentemente chiesto a una sottoposta di guardare un film con lui, agitando scherzosamente una bottiglietta d’acqua. Questo comportamento è stato giudicato privo di carattere offensivo da tutti i gradi di giudizio.

Il secondo episodio, ben più grave, si è verificato tre giorni dopo. La stessa sottoposta, avendo appreso di aver superato un concorso, aveva espresso la sua gioia in modo vivace durante una delicata operazione di soccorso. In risposta, l’ufficiale, di fronte ad altri militari, li ha costretti a eseguire delle flessioni, scandendo ad ogni piegamento le parole “Grazie [nome della sottoposta]”. Al termine dell’esercizio, ha aggiunto un commento sarcastico su “qualcuno che starnazzava” durante un’operazione importante, concludendo con un applauso ironico rivolto alla collega.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale Militare alla Cassazione

Il Tribunale militare di primo grado aveva escluso la rilevanza penale di entrambi i fatti, ritenendo che nel secondo episodio l’ufficiale avesse agito non per offendere, ma per “indottrinare” i militari sull’importanza della concentrazione durante il servizio.

La Corte militare di appello, invece, ha ribaltato parzialmente la decisione. Pur confermando l’irrilevanza del primo episodio, ha riconosciuto nel secondo una chiara manifestazione di risentimento e un’intenzione di mettere alla berlina la sottoposta. La Corte ha quindi qualificato il fatto come reato militare di ingiuria, ma ha dichiarato il reato non punibile per la “particolare tenuità del fatto”, considerando la condotta occasionale e il danno esiguo.

Le motivazioni della Cassazione sul reato militare di ingiuria

La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi su due ricorsi:
1. Quello del Procuratore Generale, che sosteneva un difetto di giurisdizione del giudice militare. A suo avviso, l’atto di costringere gli altri militari alle flessioni configurava il reato comune di violenza privata (assimilabile al “nonnismo”) e non un reato militare, in quanto scollegato dagli interessi del servizio.
2. Quello dell’imputato, che lamentava un travisamento dei fatti, ribadendo di aver agito con finalità didattiche e non per ritorsione a un presunto rifiuto di avances.

La Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. Riguardo alla giurisdizione, ha stabilito che un collegamento, seppur tenue, con il servizio e lo “spirito di corpo” era ravvisabile, giustificando la competenza del tribunale militare. L’azione non era una gratuita prevaricazione, ma una distorta concezione della disciplina.

Riguardo al ricorso dell’imputato, la Corte ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello logica e priva di vizi. L’uso di espressioni come “starnazzare” e l’imposizione di un rituale umiliante come le flessioni con la frase “grazie [nome della sottoposta]” sono stati considerati palesemente offensivi e non riconducibili a una finalità educativa. L’appello dell’imputato, di fatto, chiedeva una nuova valutazione delle prove, inammissibile in sede di legittimità.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: l’autorità gerarchica non può mai trasformarsi in un pretesto per umiliare o ledere la dignità personale di un sottoposto. Anche se l’atto viene considerato di lieve entità e non punito penalmente, esso costituisce comunque un illecito. La decisione chiarisce che la valutazione del contesto e delle finalità di un’azione è cruciale per distinguere un legittimo richiamo disciplinare da un reato militare di ingiuria. Il potere di comando deve essere sempre esercitato nel rispetto della persona, un limite invalicabile anche all’interno dell’ordinamento militare.

Un superiore militare può umiliare un sottoposto con il pretesto di impartire una lezione disciplinare?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che azioni palesemente offensive e umilianti, come l’uso di espressioni denigratorie o l’imposizione di rituali umilianti, non possono essere giustificate da una finalità educativa o disciplinare e integrano il reato di ingiuria.

Quando un atto commesso in un contesto militare è considerato reato militare e quando reato comune?
Secondo la sentenza, un atto rientra nella giurisdizione militare quando è ravvisabile, anche se in modo tenue, un collegamento con gli interessi del servizio e della disciplina. Se l’atto è del tutto scollegato da tali interessi e si configura come una gratuita prevaricazione (es. nonnismo), può essere considerato un reato comune come la violenza privata.

Cosa significa che un reato non è punibile per “particolare tenuità del fatto”?
Significa che, sebbene il fatto costituisca reato a tutti gli effetti, il giudice decide di non applicare una sanzione penale perché l’offesa è considerata minima, la condotta è occasionale e il danno è esiguo. L’imputato non viene condannato, ma il fatto resta comunque un illecito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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