Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26828 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26828 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI ROMA nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA nel procedimento a carico di quest’ultimo
avverso la sentenza del 08/06/2023 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA
udito il Pubblico Ministero, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità di visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; entrambi i ricorsi.
udito il difensore, avvocato NOME COGNOME, il quale conclude chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso del PG e l’accoglimento di quello dell’imputato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’8 giugno 2023, la Corte militare di appello, in parziale riforma di quella emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Napoli il 18 novembre 2022, ha dichiarato non doversi procedere a carico di NOME COGNOME in ordine al reato militare di ingiuria ad inferior limitatamente all’episodio verificatosi il 10 novembre 2021, essendo esclusa la punibilità per la particolare tenuità del fatto, ed ha, invece, confermato la decisione di primo grado, di non luogo a procedere per insussistenza dell’addebito, in relazione al fatto verificatosi il 7 novembre 2021.
Il procedimento penale nell’ambito del quale sono state emesse le sentenze testé menzionate è scaturito dal contegno serbato da NOME COGNOME, ufficiale della Marina militare in servizio presso la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di Napoli, nei confronti di NOME COGNOME, assegnata allo stesso ufficio e sua sottoposta, concretatosi:
nel chiederle insistentemente, la sera del 7 novembre 2021, di vedere un film insieme a lui e nell’agitare, per mera celia, al suo indirizzo, una bottigliett d’acqua, condotta che i giudici di merito hanno concordemente stimato priva di connotazione ed attitudine ingiuriose;
nell’offendere la COGNOME (la quale, il 10 novembre 2021, avendo appreso dell’esito positivo di un concorso da lei sostenuto, si era lasciata andare, mentre l’unità era impegnata in una delicata operazione di soccorso, ad una vivace esclamazione) intimando, alla sua presenza, al personale insieme a cui egli aveva effettuato una serie di flessioni a terra sulle braccia di pronunciare, ad ogni piegamento, le parole «Grazie NOME» per poi affermare, al termine dell’esercizio, «mentre il peso di un soccorso gravava sulle mie spalle vi era qualcuno che starnazzava per lungo periodo al RAGIONE_SOCIALE; un applauso a NOME che, nel frattempo, vince il concorso».
Con riferimento all’episodio più recente, la Corte militare di appello, andando in contrario avviso rispetto al primo giudice – a cui giudizio COGNOME aveva agito senza la coscienza e la volontà di offendere l’onore e la dignità dell’inferiore, intendendo egli, piuttosto, indottrinare i militari, richiamandoli alla delicatezz dei loro compiti – ha ritenuto che l’iniziativa dell’imputato, vagliata alla luce d quanto accaduto tre giorni prima, ha costituito plateale manifestazione di risentimento nei confronti della COGNOME, che egli ha inteso, anche attraverso l’applauso finale, malizioso e privo dei tratti di autentico compiacimento ed apprezzamento, mettere alla berlina.
tel
La Corte militare di appello ha, nondimeno, disatteso la richiesta, ribadita dal pubblico ministero, di rinvio a giudizio dell’ufficiale, perché ha reputato la particolare tenuità del fatto, che ha desunto sia dalla circostanza che le parole che i militari sono stati indotti a pronunciare durante le flessioni («grazie NOME»), pur spiacevoli, non appaiono eccessivamente lesive e che l’applauso tendeva solo a mettere a disagio la vittima, sia dalla brevità e occasionalità della condotta, posta in essere da soggetto incensurato e mai protagonista, in passato, di analoghi comportamenti e produttiva di un danno parimenti esiguo.
Il Procuratore generale militare della Repubblica presso la Corte militare di appello propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale eccepisce violazione di legge, sostanziale e processuale, sul rilievo dell’erronea qualificazione del fatto commesso da COGNOME come reato militare.
Sostiene, al riguardo, che la condotta dell’imputato, in quanto del tutto scollegata dall’area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina, integra, con specifico riferimento alla costrizione dei militari ad un facere tipica manifestazione del deprecabile fenomeno comunemente inteso come «nonnismo» – il reato comune di violenza privata.
Ne discende, aggiunge, il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria militare, che avrebbe dovuto declinarla e trasmettere gli atti a quella ordinaria.
NOME COGNOME propone, a sua volta, ricorso per cassazione, sottoscritto dall’AVV_NOTAIO COGNOME e pure vertente su unico motivo, con il quale lamenta violazione di legge.
Ascrive al giudice di appello di avere travisato le risultanze istruttorie, univocamente attestanti che l’iniziativa da lui assunta la sera del 10 novembre 2021 è stata originata dall’atteggiamento tenuto dalla COGNOME poche ore prima anziché dal rifiuto delle avances da lui implicitamente rivoltele il precedente giorno 7, cui egli, nei tre giorni medio tempore decorsi, non aveva in alcun modo replicato.
Segnala, al riguardo, di avere agito allo scopo di svolgere opera di indottrinamento nei confronti dei militari, invitandoli a riporre la dovuta attenzione alla delicatezza dei compiti loro demandati all’interno della RAGIONE_SOCIALE ed alla necessità che tutti cooperino lealmente per il buon esito delle operazioni.
Deduce, ulteriormente, che le sue parole non hanno gettato discredito sulla persona menzionata ma hanno rappresentato l’espressione di critica per il contegno da lei tenuto poche ora prima, frutto di un approccio non adeguato al servizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi sono inammissibili perché vertenti su censure manifestamente infondate.
Il Procuratore generale militare adombra il difetto di giurisdizione del giudice militare derivante, a suo giudizio, dalla criminosità, sotto un profilo diverso da quello considerato dai giudici di merito, del comportamento di COGNOME il quale, nella circostanza, ha costretto gli astanti (fatta eccezione per la COGNOME) ad effettuare una serie di flessioni sulle braccia, comportamento che – in quanto privo di apprezzabile collegamento con l’area degli interessi connessi alla tutela del servizio ed alla disciplina – integra, a suo modo di vedere, il reato comune di violenza privata.
La doglianza è priva di pregio, atteso che il collegamento tra le flessioni (che lo stesso COGNOME ha personalmente eseguito, insieme ai commilitoni) ed il servizio è, sia pur latannente, ravvisabile e, in ogni caso, che l’episodio non appare, nella sua dimensione complessiva, portato di gratuita e deliberata prevaricazione in pregiudizio dei sottoposti ma, semmai, di una personale concezione dello spirito di corpo.
Tanto, peraltro, in coerenza con le determinazioni assunte dal pubblico ministero, che ha esercitato l’azione penale con riferimento alla sola offesa alla dignità della COGNOME, consistita nel qualificarla – in maniera implicita ma univoca – come oca, in tal modo denigrandola, e nel far ripetere agli altri le parole «grazie NOME», fonte di sicuro, non marginale disagio per la vittima, esposta, in sostanza, al ludibrio dei commilitoni.
A valutazioni non dissimili deve pervenirsi per quanto concerne il ricorso dell’imputato, il quale, posto al cospetto di una motivazione esente da fratture razionali e conseguente al ponderato apprezzamento delle emergenze istruttorie, sollecita una rivisitazione delle evidenze disponibili, da effettuarsi, a suo modo di vedere, nella prospettiva del richiamo ai doveri militari ed al puntuale espletamento delle mansioni assegnata a ciascuno degli appartenenti all’unità.
Così facendo, COGNOME trascura come il ragionamento sotteso alla decisione impugnata, lungi dall’imperniarsi su mere illazioni o non riscontrate supposizioni,
‘.
trova fondamentale riscontro nell’impiego, da parte sua, di espressioni verbali (quale il verbo «starnazzare») la cui attitudine offensiva è autoevidente, nonché nell’esercizio delle facoltà derivanti dal grado e, in ultimo, del potere di comando in forme tali – specificamente, invitando i sottoposti a pronunziare, alla fine di ogni piegamento, le parole «grazie NOME», idonee a mettere a disagio la vittima ed in alcun modo correlabili alla finalità che, a dire del ricorrente, egli intendeva nell’occasione, perseguire – da ledere la dignità della persona offesa.
La decisione impugnata appare, pertanto, ineccepibile nella parte in cui la Corte militare di appello sottopone a revisione critica le conclusioni in proposito raggiunte dal giudice di primo grado, che ribalta con argomentazioni scevre dal benché minimo deficit logico.
Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. e limitatamente al ricorso dell’iputato, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativarnente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale militare.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/03/2024.