Reato Impossibile vs. Tentativo: La Cassazione chiarisce i limiti della punibilità
Quando un’azione criminale fallisce, è sempre punibile? La linea di confine tra un tentativo di reato e un reato impossibile è spesso sottile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’analisi chiara su questo tema, spiegando quando un’azione, seppur non andata a buon fine, costituisce comunque un reato punibile.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato in appello per il delitto di tentata rapina. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua azione non avrebbe mai potuto avere successo e che, pertanto, si sarebbe dovuto configurare un reato impossibile ai sensi dell’art. 49 del codice penale. La difesa argomentava che l’azione era intrinsecamente inidonea a raggiungere lo scopo, rendendo il fatto non punibile.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna per tentata rapina. I giudici hanno ritenuto manifestamente infondata la tesi difensiva, affermando che il giudice di merito aveva correttamente applicato i principi consolidati della giurisprudenza in materia di tentativo e di reato impossibile.
Le Motivazioni della Sentenza: la distinzione cruciale
Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra inidoneità relativa e inidoneità assoluta dell’azione. La Corte chiarisce che per aversi un reato impossibile, l’inefficienza del mezzo utilizzato deve essere “strutturale e strumentale”, cioè assoluta e indipendente da cause esterne. In altre parole, l’azione deve essere del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso, fin dall’inizio.
Nel caso specifico, la Corte ha osservato che la valutazione dell’idoneità degli atti deve essere fatta tramite un giudizio “ex ante”, noto come prognosi postuma: il giudice si colloca idealmente al momento dell’azione per valutare se essa avesse la potenzialità di causare l’evento. L’azione dell’imputato non era assolutamente inidonea. Il fallimento del piano non era dovuto a un’inadeguatezza intrinseca dei mezzi, ma a fattori esterni e contingenti, come la presenza di sistemi di sicurezza e la circostanza, comunicata dalle cassiere, che non vi fosse denaro contante.
La Corte ha stabilito che l’azione avrebbe ben potuto determinare l’evento lesivo in assenza di tali circostanze. Di conseguenza, non si poteva parlare di reato impossibile, ma di un tentativo punibile, poiché la condotta aveva effettivamente messo in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del diritto penale: il semplice fallimento di un’azione criminale non è sufficiente per escluderne la punibilità. Il discrimine è la potenzialità lesiva della condotta. Un tentativo è punibile quando gli atti compiuti sono, di per sé, capaci di condurre al reato, anche se poi, per fattori esterni, l’evento non si verifica. Il reato impossibile, invece, si configura solo in situazioni estreme, in cui l’azione è talmente assurda o inadeguata da non rappresentare mai un reale pericolo. Questa decisione rafforza la tutela dei beni giuridici, punendo le intenzioni criminali che si traducono in un comportamento concretamente pericoloso, a prescindere dal loro esito finale.
Quando un tentativo di reato è considerato ‘reato impossibile’ e quindi non punibile?
Un tentativo è considerato ‘reato impossibile’ e non punibile quando l’azione è caratterizzata da un’inidoneità assoluta, strutturale e strumentale, tale da renderla del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso. Questa inidoneità deve essere intrinseca all’azione stessa e non dipendere da cause esterne.
Come valuta il giudice se un’azione era idonea a commettere un reato?
Il giudice utilizza il criterio della cosiddetta ‘prognosi postuma’, ovvero una valutazione ‘ex ante’. Si posiziona idealmente al momento in cui l’azione è stata compiuta per giudicare se, in base alle circostanze conosciute, gli atti fossero potenzialmente capaci di causare l’evento delittuoso, senza considerare l’esito finale.
Il fatto che in una cassa non ci sia denaro rende automaticamente impossibile il reato di tentata rapina?
No. Secondo la sentenza, l’assenza di denaro contante è una circostanza esterna e contingente. L’azione di tentare una rapina rimane idonea a ledere il bene giuridico tutelato e a creare un pericolo, configurando quindi un tentativo punibile e non un reato impossibile, poiché in altre circostanze avrebbe potuto avere successo.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31410 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31410 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 23/07/1962
avverso la sentenza del 11/11/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che l’unico motivo di ricorso, che lamenta la correttezza della motivazione posta a base dell’affermazione di responsabilità per il delitto di tentata rapina, affermando, in particolare, l’inidoneità dell’azione posta in essere dall’imputato, è manifestamente infondato in presenza di una motivazione esente da evidenti illogicità, ove correttamente sono applicati i principi affermati dal consolidata giurisprudenza di legittimità per la quale, in tema di tentativo l’idoneità degli atti non va valutata con riferimento ad un criterio probabilistico realizzazione dell’intento delittuoso, bensì in relazione alla possibilità che al condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi invece un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 cod. pen., presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, di modo che l’azione, valutata “ex ante” e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacità di attuar il proposito criminoso (Sez. 6, n. 17988 del 06/02/2018, COGNOME, Rv. 272810 – 01; Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015, L.M., Rv. 264567-01);
osservato che il giudice di appello, con congrui e non illogici argomenti, nell’applicare il criterio della c.d. prognosi postuma, ha correttamente ritenuto che l’azione non fosse certamente inidonea ma avrebbe ben potuto determinare l’evento lesivo del bene giuridico tutelato in assenza dei sistemi di sicurezza installati e dell’indicazione da parte delle cassiere della circostanza che non fosse presente denaro contante (si vedano le pagg. 6-7 della sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il giorno 1 luglio 2025.