Reato Impossibile: la Cassazione chiarisce quando la falsa dichiarazione è sempre reato
Il concetto di reato impossibile rappresenta una delle questioni più dibattute nel diritto penale. Quando un’azione, pur essendo diretta a commettere un reato, è così palesemente inadeguata da non poter mai raggiungere il suo scopo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento su questo tema, analizzando il caso di una falsa dichiarazione resa alle Forze dell’Ordine da un soggetto che, tuttavia, portava con sé i propri documenti veri.
I Fatti del Caso: La Falsa Dichiarazione e il Documento Nascosto
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato in primo e secondo grado per il delitto di cui all’art. 495 del codice penale, ovvero per aver fornito false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulla propria identità. L’imputato, nel tentativo di eludere l’identificazione, aveva comunicato generalità non veritiere alle Forze dell’Ordine.
Successivamente, però, nel corso di una perquisizione, gli agenti avevano rinvenuto nel suo borsellino il suo documento d’identità autentico, riuscendo così a risalire alle sue esatte generalità.
Il Ricorso in Cassazione: La Tesi del Reato Impossibile
La difesa dell’imputato ha basato il proprio ricorso in Cassazione sulla tesi del reato impossibile, disciplinato dall’articolo 49 del codice penale. Secondo l’avvocato, l’azione del suo assistito era “radicalmente inidonea” a trarre in inganno le autorità, proprio perché il possesso del documento d’identità nel borsellino avrebbe comunque garantito la sua corretta identificazione. In altre parole, l’evento lesivo (l’inganno) non si sarebbe mai potuto verificare, rendendo l’azione non punibile.
Le Motivazioni della Suprema Corte sul Reato Impossibile
La Corte di Cassazione ha respinto con fermezza questa interpretazione, dichiarando il ricorso inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nella corretta modalità di valutazione dell’idoneità dell’azione. I giudici hanno specificato che tale valutazione deve essere compiuta “ex ante”, cioè basandosi sulla situazione esistente al momento in cui la falsa dichiarazione è stata resa, e non “ex post”, ovvero alla luce di ciò che è accaduto dopo.
Nel momento in cui l’imputato ha fornito le false generalità, la sua azione era astrattamente capace di ingannare i pubblici ufficiali. Il fatto che l’inganno sia stato sventato non è dipeso da un’intrinseca inefficacia dell’azione stessa, ma esclusivamente dalla diligenza e dall’accuratezza degli agenti che hanno proceduto con una perquisizione.
La Corte ha sottolineato che, se non fosse stata eseguita la perquisizione, la finalità ingannatoria si sarebbe potuta realizzare. Pertanto, l’azione non era affatto “impossibile”, ma semplicemente non ha avuto successo grazie a un fattore esterno e successivo: l’intervento investigativo delle Forze dell’Ordine.
Conclusioni: L’Idoneità dell’Azione Valutata ex ante
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per configurare il reato impossibile, l’inidoneità dell’azione deve essere assoluta e originaria, tale da escludere fin dal principio qualsiasi possibilità di ledere il bene giuridico tutelato. Non rientra in questa categoria il caso in cui il reato viene sventato solo grazie all’efficacia dell’attività di contrasto o a circostanze fortuite.
Di conseguenza, la condanna dell’imputato è stata confermata, con l’aggiunta del pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione serve da monito: mentire sulla propria identità è un reato grave, e sperare di cavarsela perché si possiede un documento vero nascosto non è una strategia difensiva valida.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproponeva una censura già adeguatamente respinta dalla Corte d’Appello e perché la tesi del reato impossibile era manifestamente infondata nel caso di specie.
Quando una falsa dichiarazione può essere considerata un reato impossibile?
Secondo la Corte, si potrebbe parlare di reato impossibile solo se l’azione fosse, fin dall’inizio e in modo assoluto, inidonea a produrre l’inganno. Non è questo il caso se la verità viene scoperta solo grazie a un’attività successiva e diligente, come una perquisizione.
Qual è il criterio per valutare l’idoneità dell’azione in questi casi?
L’idoneità dell’azione deve essere valutata con un giudizio ‘ex ante’, cioè riportandosi al momento in cui la condotta è stata posta in essere. Se in quel momento l’azione aveva la potenzialità di ingannare, il reato sussiste, anche se l’evento non si verifica per cause esterne.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47108 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47108 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il 21/01/1969
avverso la sentenza del 27/05/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
Rilevato che con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino ha confermato la condanna di NOME per il delitto di cui all’art. 495 cod. pen.;
Considerato che mediante l’unico motivo proposto l’imputato deduce violazione dell’art. 49 cod. pen. e vizio di motivazione assumendo che l’azione radicalmente inidonea alla produzione dell’evento poiché egli aveva indosso proprio documento di identità nel borsellino che avrebbe (ed aveva po effettivamente) consentito alle Forze dell’Ordine di individuarne le es generalità;
Rilevato che il motivo proposto è reiterativo di analoga censura spiegata i sede di gravame rispetto alla quale la Corte territoriale ha congruamente osserv che non può essere applicato nella fattispecie concreta l’art. 49, secondo comm cod. pen., atteso che la produzione dello scopo era stata impedita s dall’accurata perquisizione eseguita, con conseguente idoneità dell’azione, ex ante, a raggiungere la finalità divisata;
Ritenuto che la memoria depositata dal difensore del ricorrente in data 21 novembre 2024 non consente di pervenire ad una differente valutazione rispetto al motivo proposto;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con l condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma d euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 27/11/2024