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Reato impossibile: quando è inammissibile il ricorso

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per false dichiarazioni a pubblico ufficiale. Viene chiarito che non si configura il reato impossibile quando la falsità della dichiarazione è di per sé sufficiente a integrare il delitto, a prescindere dal fatto che il pubblico ufficiale sia stato o meno tratto in inganno. La Corte ribadisce inoltre i rigorosi limiti dei vizi deducibili in sede di legittimità.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Impossibile e False Dichiarazioni: L’Analisi della Cassazione

Con l’ordinanza n. 47200 del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso interessante che tocca temi cruciali del diritto e della procedura penale, tra cui la valutazione delle prove e la configurabilità del cosiddetto reato impossibile. La vicenda riguarda un ricorso presentato da un imputato condannato in appello per resistenza a pubblico ufficiale e false dichiarazioni sulle proprie qualità personali. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti importanti sui limiti del giudizio di legittimità e sulla struttura di alcuni reati.

I Fatti del Processo

L’imputato, a seguito di una condanna della Corte di Appello di Ancona che riformava parzialmente la sentenza di primo grado, decideva di presentare ricorso per Cassazione. La condanna riguardava i delitti di cui agli artt. 337 (resistenza a pubblico ufficiale) e 495 (false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulle proprie qualità personali) del codice penale. Un’ulteriore contravvenzione era stata invece dichiarata prescritta.

Il ricorso si fondava su tre motivi principali:
1. Una presunta violazione di norme processuali relative alla valutazione delle dichiarazioni delle persone offese.
2. Il cosiddetto “travisamento del fatto”, ovvero un presunto errore di percezione dei fatti da parte dei giudici di merito.
3. L’invocazione della figura del reato impossibile in relazione al delitto di false dichiarazioni, sostenendo che l’azione fosse inidonea a trarre in inganno il pubblico ufficiale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato tutte le doglianze, dichiarando il ricorso inammissibile. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La decisione si basa su una rigorosa analisi dei motivi di ricorso, giudicati non conformi ai canoni previsti dalla legge per l’accesso al giudizio di legittimità.

Le Motivazioni della Sentenza: Analisi del Reato Impossibile e dei Vizi Dedotti

La Corte ha esaminato ciascun motivo di ricorso, spiegando nel dettaglio le ragioni dell’inammissibilità.

Primo Motivo: Valutazione delle Prove e Vizi Processuali

La Cassazione ha ritenuto il primo motivo inammissibile sotto più profili. In primo luogo, ha chiarito che l’art. 606, comma 1, lett. b) del codice di procedura penale, invocato dal ricorrente, riguarda la violazione di norme sostanziali e non processuali. Gli errori procedurali, invece, devono rientrare nelle specifiche categorie previste dalla successiva lettera c) (nullità, inutilizzabilità, etc.), cosa che nel caso di specie non avveniva. Inoltre, la Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato, citando una sentenza delle Sezioni Unite (la nota sentenza “Bell’Arte”): le dichiarazioni della persona offesa non necessitano di riscontri esterni per essere poste a fondamento di una decisione di condanna, essendo sufficiente una valutazione positiva sulla loro credibilità.

Secondo Motivo: Il “Travisamento del Fatto”

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ricordato che il “travisamento del fatto” non rientra tra i vizi che possono essere fatti valere in sede di legittimità. La Cassazione, infatti, è giudice del diritto e non dei fatti: il suo compito non è rivalutare le prove, ma verificare che i giudici di merito abbiano applicato correttamente la legge.

Terzo Motivo: L’Infondatezza del Reato Impossibile

Il punto più interessante della pronuncia riguarda il terzo motivo, relativo al reato impossibile. L’imputato sosteneva che le sue false dichiarazioni non avrebbero potuto ingannare il pubblico ufficiale, rendendo l’azione penalmente irrilevante. La Corte ha definito questo motivo “manifestamente infondato”.

I giudici hanno spiegato che il reato impossibile presuppone un’inefficienza causale originaria dell’azione, cioè l’incapacità intrinseca dell’atto di produrre l’evento lesivo. Nel caso del delitto di cui all’art. 495 c.p. (false dichiarazioni), il reato si perfeziona nel momento stesso in cui le dichiarazioni mendaci vengono rese al pubblico ufficiale. È del tutto irrilevante che quest’ultimo possa essere o meno tratto in inganno in concreto. La norma, infatti, tutela il bene giuridico della fede pubblica e l’affidabilità delle attestazioni rese a un’autorità, non la protezione dall’inganno del singolo funzionario. Pertanto, è sufficiente che la falsa dichiarazione venga pronunciata per integrare il reato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza della Corte di Cassazione offre spunti di riflessione importanti. In primo luogo, ribadisce il rigore formale necessario per adire la Suprema Corte, che non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. In secondo luogo, conferma la validità probatoria delle dichiarazioni della persona offesa, la cui valutazione è rimessa alla prudente analisi del giudice di merito. Infine, e soprattutto, chiarisce la portata applicativa del reato impossibile in relazione ai reati di falso, stabilendo che per le false dichiarazioni a un pubblico ufficiale, la consumazione del reato avviene con la semplice enunciazione della menzogna, senza che sia necessario un effettivo inganno.

Quando una dichiarazione falsa a un pubblico ufficiale costituisce reato, anche se non lo inganna?
Secondo la Corte, il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale (art. 495 c.p.) si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione mendace viene resa. È irrilevante che il pubblico ufficiale sia stato effettivamente tratto in inganno, poiché è sufficiente l’atto della dichiarazione stessa per integrare il reato.

La testimonianza della persona offesa in un processo penale ha bisogno di altre prove per essere valida?
No. La Corte di Cassazione, richiamando un principio consolidato delle Sezioni Unite, ha ribadito che le dichiarazioni della persona offesa non richiedono necessariamente elementi di riscontro esterni. La loro validità dipende esclusivamente dalla valutazione di credibilità operata dal giudice.

Perché il cosiddetto “travisamento del fatto” non è un motivo valido per ricorrere in Cassazione?
Il “travisamento del fatto” non è considerato un vizio deducibile davanti alla Corte di Cassazione perché essa è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto, non riesaminare i fatti del processo come accertati nei gradi precedenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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