Reato Impossibile e False Dichiarazioni: L’Analisi della Cassazione
Con l’ordinanza n. 47200 del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso interessante che tocca temi cruciali del diritto e della procedura penale, tra cui la valutazione delle prove e la configurabilità del cosiddetto reato impossibile. La vicenda riguarda un ricorso presentato da un imputato condannato in appello per resistenza a pubblico ufficiale e false dichiarazioni sulle proprie qualità personali. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti importanti sui limiti del giudizio di legittimità e sulla struttura di alcuni reati.
I Fatti del Processo
L’imputato, a seguito di una condanna della Corte di Appello di Ancona che riformava parzialmente la sentenza di primo grado, decideva di presentare ricorso per Cassazione. La condanna riguardava i delitti di cui agli artt. 337 (resistenza a pubblico ufficiale) e 495 (false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulle proprie qualità personali) del codice penale. Un’ulteriore contravvenzione era stata invece dichiarata prescritta.
Il ricorso si fondava su tre motivi principali:
1. Una presunta violazione di norme processuali relative alla valutazione delle dichiarazioni delle persone offese.
2. Il cosiddetto “travisamento del fatto”, ovvero un presunto errore di percezione dei fatti da parte dei giudici di merito.
3. L’invocazione della figura del reato impossibile in relazione al delitto di false dichiarazioni, sostenendo che l’azione fosse inidonea a trarre in inganno il pubblico ufficiale.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato tutte le doglianze, dichiarando il ricorso inammissibile. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La decisione si basa su una rigorosa analisi dei motivi di ricorso, giudicati non conformi ai canoni previsti dalla legge per l’accesso al giudizio di legittimità.
Le Motivazioni della Sentenza: Analisi del Reato Impossibile e dei Vizi Dedotti
La Corte ha esaminato ciascun motivo di ricorso, spiegando nel dettaglio le ragioni dell’inammissibilità.
Primo Motivo: Valutazione delle Prove e Vizi Processuali
La Cassazione ha ritenuto il primo motivo inammissibile sotto più profili. In primo luogo, ha chiarito che l’art. 606, comma 1, lett. b) del codice di procedura penale, invocato dal ricorrente, riguarda la violazione di norme sostanziali e non processuali. Gli errori procedurali, invece, devono rientrare nelle specifiche categorie previste dalla successiva lettera c) (nullità, inutilizzabilità, etc.), cosa che nel caso di specie non avveniva. Inoltre, la Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato, citando una sentenza delle Sezioni Unite (la nota sentenza “Bell’Arte”): le dichiarazioni della persona offesa non necessitano di riscontri esterni per essere poste a fondamento di una decisione di condanna, essendo sufficiente una valutazione positiva sulla loro credibilità.
Secondo Motivo: Il “Travisamento del Fatto”
Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ricordato che il “travisamento del fatto” non rientra tra i vizi che possono essere fatti valere in sede di legittimità. La Cassazione, infatti, è giudice del diritto e non dei fatti: il suo compito non è rivalutare le prove, ma verificare che i giudici di merito abbiano applicato correttamente la legge.
Terzo Motivo: L’Infondatezza del Reato Impossibile
Il punto più interessante della pronuncia riguarda il terzo motivo, relativo al reato impossibile. L’imputato sosteneva che le sue false dichiarazioni non avrebbero potuto ingannare il pubblico ufficiale, rendendo l’azione penalmente irrilevante. La Corte ha definito questo motivo “manifestamente infondato”.
I giudici hanno spiegato che il reato impossibile presuppone un’inefficienza causale originaria dell’azione, cioè l’incapacità intrinseca dell’atto di produrre l’evento lesivo. Nel caso del delitto di cui all’art. 495 c.p. (false dichiarazioni), il reato si perfeziona nel momento stesso in cui le dichiarazioni mendaci vengono rese al pubblico ufficiale. È del tutto irrilevante che quest’ultimo possa essere o meno tratto in inganno in concreto. La norma, infatti, tutela il bene giuridico della fede pubblica e l’affidabilità delle attestazioni rese a un’autorità, non la protezione dall’inganno del singolo funzionario. Pertanto, è sufficiente che la falsa dichiarazione venga pronunciata per integrare il reato.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza della Corte di Cassazione offre spunti di riflessione importanti. In primo luogo, ribadisce il rigore formale necessario per adire la Suprema Corte, che non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. In secondo luogo, conferma la validità probatoria delle dichiarazioni della persona offesa, la cui valutazione è rimessa alla prudente analisi del giudice di merito. Infine, e soprattutto, chiarisce la portata applicativa del reato impossibile in relazione ai reati di falso, stabilendo che per le false dichiarazioni a un pubblico ufficiale, la consumazione del reato avviene con la semplice enunciazione della menzogna, senza che sia necessario un effettivo inganno.
Quando una dichiarazione falsa a un pubblico ufficiale costituisce reato, anche se non lo inganna?
Secondo la Corte, il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale (art. 495 c.p.) si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione mendace viene resa. È irrilevante che il pubblico ufficiale sia stato effettivamente tratto in inganno, poiché è sufficiente l’atto della dichiarazione stessa per integrare il reato.
La testimonianza della persona offesa in un processo penale ha bisogno di altre prove per essere valida?
No. La Corte di Cassazione, richiamando un principio consolidato delle Sezioni Unite, ha ribadito che le dichiarazioni della persona offesa non richiedono necessariamente elementi di riscontro esterni. La loro validità dipende esclusivamente dalla valutazione di credibilità operata dal giudice.
Perché il cosiddetto “travisamento del fatto” non è un motivo valido per ricorrere in Cassazione?
Il “travisamento del fatto” non è considerato un vizio deducibile davanti alla Corte di Cassazione perché essa è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto, non riesaminare i fatti del processo come accertati nei gradi precedenti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47200 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47200 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a ASCOLI PICENO il 08/07/1973
avverso la sentenza del 15/03/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la condanna dell’imputato per i delitti di cui agli artt. 337 cod. pen. (capo B) e 495 cod. pen. (capo D), mentre ha dichiarato estinta per prescrizione la contravvenzione di cui al capo C), procedendo alla conseguente rideterminazione della pena;
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, che deduce ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. la violazione degli artt. 192, commi 1 e 2, 533 comma 1 e 358 cod. proc. pen. in punto di valutazione delle dichiarazioni dele persone offese e di mancanza di riscontri, sono inammissibili sotto vari e concorrenti profili: l’art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen. riguarda l’inosservanza di norme sostanziali, non processuali; l’error in procedendo è previsto dalla successiva lettera c) dell’art. 606, che però afferisce a norme stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, e tali non sono le disposizioni citate; le dichiarazioni delle persone offese non richiedono riscontri (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214 – 01);
Ritenuto che il secondo motivo, che deduce “travisamento de fatto”, non rientra nel novero dei vizi deducibili;
Considerato che il terzo motivo, che invoca la figura del “reato impossibile” in relazione al capo D), è manifestamente infondato poiché il reato impossibile presuppone la inefficienza causale originaria dell’azione, inefficienza che, con riferimento al delitto di false dichiarazioni a pubblico ufficiale sulle proprie qualità personali, non può prospettarsi, poiché per il perfezionamento del reato e sufficiente che le false dichiarazioni siano rese e a nulla rileva che da esse in concreto il pubblico ufficiale non possa essere tratto in inganno.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27/11/2024