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Reato immigrazione clandestina: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un cittadino straniero condannato per il reato di immigrazione clandestina. L’appello si basava su tentativi di regolarizzazione successivi alla sentenza di primo grado. La Corte ha stabilito che tali elementi non possono essere considerati e che i motivi di ricorso erano troppo generici, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di un’ammenda.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato di Immigrazione Clandestina: Quando il Ricorso è Inammissibile

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre importanti spunti di riflessione sul reato di immigrazione clandestina e, più in generale, sui requisiti di ammissibilità di un ricorso. Il caso riguarda un cittadino straniero condannato per la sua permanenza irregolare sul territorio italiano, il quale ha visto il suo ricorso respinto per la genericità dei motivi e l’irrilevanza delle prove addotte, poiché successive alla decisione impugnata. Questa pronuncia ribadisce principi fondamentali della procedura penale, evidenziando come la strategia difensiva debba essere tempestiva e ben articolata sin dal primo grado di giudizio.

I Fatti del Caso

Un cittadino straniero veniva condannato dal Giudice di Pace di Faenza per il reato previsto dall’art. 10-bis del Testo Unico sull’Immigrazione, ovvero la permanenza illegale nel territorio dello Stato. La condanna consisteva in una pena di 5.000,00 euro di ammenda. In applicazione dell’art. 16 dello stesso decreto, la pena pecuniaria veniva sostituita con la misura dell’espulsione dal territorio nazionale per una durata di tre anni. Contro questa decisione, l’imputato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione.

I Motivi del Ricorso

La difesa basava il ricorso su due motivi principali. Con il primo, lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione, sostenendo che il giudice di merito non avesse considerato alcune deduzioni difensive fondate su atti allegati al ricorso stesso. Tali atti, relativi a una precedente espulsione amministrativa e alle sue condizioni di soggiorno, includevano una richiesta presentata alla Questura di Ravenna in data 15 febbraio 2022, ovvero una settimana dopo la pronuncia della sentenza impugnata (datata 8 febbraio 2022).

Con il secondo motivo, la difesa contestava in modo generico l’adeguatezza della valutazione del giudice di merito riguardo alla ‘severità’ della decisione di espulsione, riproponendo di fatto le stesse argomentazioni del primo motivo.

L’Analisi della Cassazione sul Reato di Immigrazione Clandestina

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando punto per punto le argomentazioni difensive. L’analisi della Corte si è concentrata sulla tempistica e sulla natura delle prove prodotte e sulla specificità dei motivi di ricorso, elementi cruciali per la validità di qualsiasi impugnazione. Questo approccio riafferma che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di merito dove riesaminare i fatti, soprattutto se basato su elementi nuovi o irrilevanti. La decisione mette in luce come, nel contesto del reato di immigrazione clandestina, la condizione di irregolarità al momento dell’accertamento sia il fulcro della valutazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha fondato la sua decisione di inammissibilità su due pilastri. In primo luogo, ha evidenziato che la documentazione prodotta dal ricorrente, in particolare la richiesta alla Questura, non solo era successiva alla sentenza, ma non costituiva nemmeno un’effettiva richiesta di regolarizzazione. Di conseguenza, non poteva in alcun modo smentire quanto accertato in sentenza, ovvero la condizione di irregolarità del ricorrente alla data dell’accertamento del reato (20 novembre 2020) e la successiva, permanente assenza di titoli idonei al soggiorno.

In secondo luogo, il secondo motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile per la sua manifesta genericità. La Corte ha sottolineato che contestare genericamente l’adeguatezza di una valutazione discrezionale del giudice, senza indicare vizi specifici e limitandosi a riproporre argomentazioni già ritenute irrilevanti, non soddisfa i requisiti di legge per un valido motivo di ricorso. In pratica, la difesa non ha specificato quali errori di diritto o di logica avrebbe commesso il Giudice di Pace, ma si è limitata a esprimere un dissenso generico.

Le Conclusioni

La pronuncia si conclude con la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Come conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende, a causa dei profili di colpa nell’aver proposto un’impugnazione priva dei requisiti minimi di ammissibilità.

Le implicazioni pratiche di questa ordinanza sono chiare: ogni elemento a difesa deve essere presentato e provato nel corso del giudizio di merito. Non è possibile introdurre in Cassazione documenti nuovi, specialmente se successivi alla decisione impugnata, sperando di ottenere una revisione dei fatti. Inoltre, i motivi di ricorso devono essere specifici, tecnici e puntuali, indicando con precisione le violazioni di legge o i vizi logici della motivazione, e non possono limitarsi a una generica doglianza.

È possibile utilizzare in un ricorso per cassazione documenti formatisi dopo la sentenza che si sta impugnando?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che gli elementi di prova o le richieste formulate dopo la data della sentenza non possono essere presi in considerazione per valutarne la correttezza, poiché il giudice di merito non poteva esserne a conoscenza al momento della decisione.

Cosa succede se un motivo di ricorso in Cassazione è formulato in modo generico?
Un motivo di ricorso formulato in modo generico, che non specifica i vizi di legge o di motivazione della sentenza impugnata ma si limita a riproporre le stesse argomentazioni in modo vago, viene dichiarato inammissibile. Questo comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Nel reato di immigrazione clandestina, è sufficiente dimostrare di aver avviato un’iniziativa difensiva per evitare la condanna?
No, non è sufficiente. Secondo la Corte, l’iniziativa difensiva deve rappresentare un’effettiva richiesta di regolarizzazione e, soprattutto, deve essere valutata in relazione alla situazione esistente al momento dell’accertamento del reato. Iniziative successive e non risolutive non possono smentire lo stato di illegalità precedentemente accertato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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