Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 17019 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 17019 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME
NOME> nato a Taranto il 28/12/1955
avverso la sentenza del 23/09/2024 della Corte di appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto annullarsi il provvedimento impugnato, limitatamente alla provvisionale, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano e dichiararsi lo stesso inammissibile nel resto;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente Avv. NOME COGNOME che ha chiesto che la Corte di cassazione voglia cassare la sentenza n. 4857/2024 R.g. Sent. pronunciata il 23.09.2024 dalla Corte d’Appello di Milano, sez. IV penale (depositata il successivo 11.11.2024 con termine di 90 giorni per il deposito delle motivazioni), disponendo per i conseguenti provvedimenti di rito.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 settembre 2024 la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia con la quale il Tribunale di Milano, ad esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di usura commesso in danno di NOME COGNOME costituitosi parte civile, e lo aveva condannato alla pena di un anno, quattro mesi di reclusione e 3.000 euro di multa (pena base: tre anni di reclusione e 6.750 euro di multa, diminuita con le attenuanti generiche a due anni di reclusione e 4.500 euro di multa, ridotta per il rito alla pena finale).
La pena veniva sospesa subordinatamente al pagamento della provvisionale entro un anno dal passaggio in giudicato della sentenza.
Il giudizio abbreviato, condizionato all’acquisizione di documenti e all’esame di un testimone di polizia giudiziaria, era stato chiesto e ammesso ai sensi dell’art. 519, comma 1, cod. proc. pen. a seguito della modifica dell’imputazione effettuata dal Pubblico ministero dopo l’assunzione in dibattimento delle prove testimoniali indicate dalle parti.
Ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, chiedendo l’annullamento della sentenza in ragione dei seguenti motivi.
2.1. Contraddittorietà e/o illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione della credibilità della persona offesa circa la natura del rapporto con l’imputato, risultando il vizio dal testo della sentenza impugnata, dalle dichiarazioni testimoniali rese in dibattimento da NOME COGNOME e dal teste NOME COGNOME dall’annotazione dei Carabinieri di Gorgonzola del 18 luglio 2018, dalla documentazione prodotta sull’attività imprenditoriale della persona offesa.
La Corte di appello, ritenendo arbitrariamente e immotivatamente veritiere le affermazioni con cui la parte offesa ha qualificato il rapporto con COGNOME come mutuo, ha omesso di attribuire il dovuto rilievo a una serie di ulteriori dati probatori – quali l’annotazione dei Carabinieri di Gorgonzola, le dichiarazioni del teste NOME COGNOME od ancora l’assenza di trasparenza dell’attività imprenditoriale di NOME COGNOME, avente quest’ultima valenza dimostrativa indiretta – volti a provare il contrario e cioè come tra l’imputato e la persona offesa non sussistesse un vincolo derivante da un contratto di mutuo, onerato da interessi usurari, bensì un rapporto di concordata compartecipazione nell’attività di compravendita di materiali plastici, svolta da COGNOME con il contributo finanziario di COGNOME, finalizzato alla divisione dei guadagni.
La stessa persona offesa, in dibattimento, per la prima volta ha ammesso tale circostanza, – salvo poi ridimensionarla sotto il profilo tem-porale, affermando che detta forma di collaborazione era durata solo due o tre mesi.
2.2. Contraddittorietà e/o illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta credibilità e sincerità della persona offesa sulla natura del rapporto con l’imputato, risultando il vizio dal testo della sentenza impugnata, dall’atto di appello, dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa in dibattimento e dalla citata annotazione dei Carabinieri di Gorgonzola.
NOME COGNOME non ha mai riferito spontaneamente degli accordi con COGNOME in merito all’attività di compravendita poiché priva di trasparenza sul piano fiscale, come dimostrato anche dalla documentazione prodotta dalla difesa.
Dall’annotazione dei Carabinieri del 18 luglio 2018 risulta che, durante l’incontro avvenuto tra il ricorrente e la parte civile presso l’abitazione d quest’ultima, alla presenza dei suoi familiari, COGNOME aveva spiegato le ragioni e le caratteristiche del rapporto con COGNOME, riferendo degli accordi sulla ripartizione degli utili, senza che questi avesse eccepito alcunché.
2.3. Omessa motivazione con riferimento all’attività lavorativa della persona offesa e in ogni caso motivazione illogica e contraddittoria risultante dal testo della sentenza impugnata, dall’atto di appello, dalla documentazione prodotta dalla difesa, compresa quella bancaria riguardante i conti correnti di tutti i componenti della famiglia COGNOME.
La circostanza di un’anomala e poco trasparente gestione dell’attività imprenditoriale da parte di COGNOME, desumibile anche dalla omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi, incide notevolmente sulla valutazione della sua credibilità.
La persona offesa aveva più di un motivo per denunciare COGNOME accusandolo di un reato mai commesso, non fosse altro per fornire ai propri familiari una giustificazione allo sperpero del patrimonio, trovando anche un modo per reagire alle loro pressioni.
Le dichiarazioni di COGNOME sono state erroneamente ritenute attendibili, pur a fronte di materiale probatorio difforme rappresentato dalle informazioni desunte dalla documentazione bancaria prodotta.
2.4. Contraddittorietà e/o illogicità della motivazione con riferimento alla consegna di gioielli da parte della persona offesa all’imputato, risultando il vizio dal testo della sentenza impugnata, dall’atto di appello, dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dalla stessa annotazione dei Carabinieri di Gorgonzola.
La Corte territoriale non ha considerato le incertezze e le ambiguità nella ricostruzione fornita da NOME COGNOME peraltro solo in dibattimento e dopo che il figlio NOME ne aveva parlato durante la sua deposizione.
La consegna dei monili d’oro non ha mai costituito un pegno del credito usurario, atteso che, se la- ricezione degli stessi da parte di COGNOME avesse realmente avuto luogo a garanzia del prestito, non si sarebbe giustificata la loro restituzione prima del soddisfacimento del credito. La consegna spontanea come ha spiegato l’imputato – avvenne invece perché COGNOME intendeva conseguire maggiore fiducia da parte di COGNOME.
2.5. Contraddittorietà e/o illogicità della motivazione nonché omesso esame e conseguente omessa motivazione con riferimento alla ritenuta attendibilità della persona offesa circa le dazioni di denaro e delle quote di interessi asseritamente richiesti, risultando il vizio dal testo della sentenza impugnata, dall’atto di appello, dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa nelle s.i.t. e in dibattimento.
La Corte di appello ha valutato l’attendibilità intrinseca della vittima, basandosi su elementi incerti, insufficienti e non decisivi, come l’asserito debito residuo di 14.000 euro, senza che sia mai stato specificato se si trattasse di un importo da restituire a titolo di capitale o di interessi; l’ammontare del denaro corrisposto ad COGNOME (40.000 o 50.000 euro), che non trova conforto in alcun dato documentale o dichiarativo; l’arbitraria e non comprovata divisione tra la quota capitale e la quota di interessi, operata solo sui nove assegni documentati e due riferite consegne in contanti, prive di riscontro dimostrativo.
La sentenza impugnata ha obliterato le plurime contraddizioni, emergenti soprattutto dalle varie integrazioni effettuate in sede di denuncia-querela, nonché i continui ripensamenti della persona offesa in relazione alla quantità, alle tempistiche delle dazioni di denaro, allo specifico criterio di calcolo, di volt in volta illogicamente e confusamente rimodulato, del quale la persona offesa si è servita ai fini dell’individuazione della percentuale di interessi asseritamente pretesa. Da ciò e dall’ulteriore considerazione che COGNOME avrebbe dichiarato di non aver mai tenuto nota delle dazioni e dei relativi interessi corrisposti consegue la conferma della sua inattendibilità e l’impossibilità di accertare il reato di usura.
2.6. Contraddittorietà e/o illogicità della motivazione rispetto alla ritenuta inattendibilità e non credibilità di COGNOME, risultando il vizio dal testo del sentenza impugnata, dall’atto di appello, dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dall’imputato in dibattimento nonché dalla citata annotazione dei Carabinieri di Gorgonzola.
La Corte territoriale, in sostanza, ha erroneamente ritenuto che la mancanza di interlocuzioni tra i contraenti e il ricorrente e l’assenza di una conoscenza, da parte di quest’ultimo, dei clienti o dei mezzi usati dalla persona offesa nello svolgimento dell’attività dovessero escludere la sua credibilità, senza considerare
che, non essendo l’imputato né socio né gestore dell’attività, il suo esclusivo interesse era quello di finanziarla nell’ottica del- guadagno personale. –
La citata annotazione dei Carabinieri conferma la sussistenza di un rapporto di collaborazione, come spiegato da COGNOME in occasione dell’incontro del 18 luglio 2018, non contrastato da alcuno dei familiari presenti.
L’assenza di una contabilizzazione da entrambe le parti si giustifica con le modalità delle operazioni delle compravendite del materiale plastico che avvenivano in rapida successione ed è invece incompatibile con prestiti a tasso usurario.
2.7. Contraddittorietà e/o illogicità della motivazione (e, di fatto, omessa motivazione) rispetto alla ritenuta inattendibilità e non credibilità di COGNOME circa la natura della consegna in pagamento di ventotto titoli cambiari, risultando il vizio dal testo della sentenza impugnata, dall’atto di appello e dalle dichiarazioni rese dall’imputato in dibattimento.
La dazione dei ventotto titoli cambiari va riferita alla cessione di un campione di pellicce di cui l’imputato disponeva e che NOME COGNOME, per anni pellicciaio di professione, aveva chiesto di poter rivendere.
Risulta arbitraria la motivazione della sentenza impugnata là dove si afferma che COGNOME non si sarebbe mai dedicato a questo affare per via delle sue difficoltà economiche. Peraltro, tali titoli cambiari costituivano una modalità di dazione del denaro totalmente differente dal tipo di relazione che la persona offesa aveva denunciato.
2.8. Violazione della legge penale (art. 644 cod. pen.), omessa motivazione o, in ogni caso, motivazione contraddittoria e/o illogica rispetto alla sussistenza del delitto di usura, risultando il vizio dal testo della sentenza impugnata, dall’atto di appello, dalla sentenza di primo grado, dalle risultanze investigative della Guardia di Finanza e dalle dichiarazioni della persona offesa.
La Corte di appello ha impropriamente ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi del delitto di usura in base a un approssimativo calcolo aritmetico del tasso di interessi, eseguito in relazione a un importo capitale erroneamente determinato perché aumentato da varie e successive richieste di denaro da parte di COGNOME. Sono del tutto assenti una corretta quantificazione del capitale, una puntuale individuazione dei tempi delle singole dazioni e un congruo calcolo degli interessi.
La contestazione suppletiva, a seguito della quale l’imputato ha chiesto il rito abbreviato, è risultata assolutamente indeterminata a causa di un aumento del quantum delle somme corrisposte all’imputato operato senza alcuna distinzione tra quota capitale e quota interessi.
2.9. Violazione della legge penale (art. 644 cod. pen.), omessa motivazione -o, in ogni caso, motivazione contraddittoria e/o illogica con travisato esame delle risultanze istruttorie rispetto al criterio di accertamento del tasso usurario, risultando il vizio dal testo della sentenza impugnata, dall’atto di appello, dalla sentenza di primo grado, dalle risultanze investigative della Guardia di Finanza nonché dalle dichiarazioni della persona offesa.
Le operazioni di calcolo svolte dalla Guardia di Finanza, poste dalla Corte di appello a fondamento della propria decisione, risultano falsate in quanto rimangono ancorate ai dati emergenti dalle contraddittorie e confuse dichiarazioni della persona offesa, in particolare ai soli nove assegni menzionati nella denuncia, in relazione ai quali la determinazione dell’importo degli interessi non è mai stata congruamente dimostrata bensì solo asserita. Anche il totale dell’importo capitale rimane sfornito di riscontri probatori, avendo COGNOME dichiarato di avere chiesto e restituito il denaro di volta in volta per poi averne richiesto ancora altro.
La motivazione della decisione impugnata, inoltre, si pone in contrasto con quella di primo grado, poiché si fonda essenzialmente sul calcolo svolto dalla Guardia di Finanza in relazione al singolo tasso di interesse per ciascuno dei nove titoli, eseguito però solo sulla base del dichiarato della persona offesa. Il Tribunale, invece, aveva richiamato in sentenza solo il primo ipotetico calcolo del tasso di interesse operato dalla Guardia di Finanza, secondo il quale il versamento della somma di 50.000 euro ad COGNOME sarebbe avvenuto il 20 febbraio 2015, in unica soluzione, contrariamente alle dichiarazioni della stessa persona offesa, la quale ha specificato di avere chiesto il denaro a COGNOME più volte e in tempi diversi, con continue restituzioni e frequenti nuove richieste.
Pertanto, non è stata raggiunta la prova della onerosità del prestito né, tanto meno, della usurarietà degli asseriti interessi.
2.10. Violazione della “legge penale” (nello specifico art. 539 cod. proc. pen.), omessa motivazione o, in ogni caso, motivazione contraddittoria e/o illogica con travisato esame delle risultanze istruttorie rispetto alla condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile e alla previsione di una provvisionale immediatamente esecutiva, risultando il vizio dal testo della sentenza impugnata, dall’atto di appello, dalla sentenza di primo grado, dalle risultanze investigative della Guardia di Finanza nonché dalle dichiarazioni della persona offesa.
La Corte d’appello ha confermato anche su questo punto la decisione del primo Giudice, pur in assenza dei presupposti necessari per il riconoscimento di una provvisionale, non risultando compiutamente accertati né l’ammontare del
prestito né l’ammontare dell’asserita quota di interessi pretesa e ricevuta dall’imputato:
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione proposta ai sensi dell’art. 611, commi 1-bis e 1-ter, del codice di rito.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, alle quali ha replicato la difesa del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata va annullata con rinvio in ragione della parziale fondatezza dei motivi di ricorso (l’ottavo e il nono) riguardanti l’accertamento del tasso usurario, risultando assorbito l’ultimo motivo inerente alla quantificazione della provvisionale.
Sono infondate, invece, le censure proposte con i primi sette motivi, relative tutte alla valutazione da parte della Corte di appello della credibilità della persona offesa e all’attendibilità delle sue dichiarazioni.
La sentenza impugnata ha esaminato le doglianze difensive sul punto e le ha disattese, applicando correttamente il principio affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo il quale occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilità soggettiva ed oggettiva della persona offesa, specie se costituita parte civile, accertando l’assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettività, senza la necessità, però, della presenza di riscontri esterni, stabilita dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. per il dichiarante coinvolto nel fatto (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214 – 01; Sez. 4, n. 410 del 09/11/2021, dep. 2022, Aramu, Rv. 282558 – 01; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279070 – 01; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312 – 01; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 274489 – 01).
Va poi ricordato che «la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni» (così Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, cit.; più di recente v. Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609 – 01), circostanza assente nel caso di specie.
La Corte d’appello, infatti, ha evidenziato vari profili indicativi della veridicit e spontaneità della narrazione del teste e, per contro, della inattendibilità delle
dichiarazioni dell’imputato, condividendo e arricchendo le argomentazioni del Tribunale.
Nella motivazione della sentenza sul punto non emergono le contraddizioni o illogicità denunciate dal ricorrente. Pur avendo formalmente espresso censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, la difesa, in realtà, non ha lamentato una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione delle prove asseritamente contrastante con quanto emerso in dibattimento: tuttavia, a questa Corte è preclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504 – 01; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 – 01; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 – 01).
Il ricorrente, in sostanza, ha proposto una valutazione della credibilità della persona offesa alternativa a quella della Corte d’appello, che tuttavia risulta immune dai vizi denunciati e sorretta da adeguata e logica motivazione, considerato anche che in sede di legittimità non è censurabile ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la sentenza per il silenzio su una specifica doglianza proposta con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della motivazione (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284096 – 01; Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, COGNOME, Rv. 282097 – 01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275500 01; Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, COGNOME, Rv. 256340 – 01).
3. La Corte territoriale ha logicamente escluso che il rapporto fra COGNOME e COGNOME, durato anni, si fosse sostanziato in una sorta di compartecipazione del secondo nell’attività di compravendita di plastica svolta dal primo, genericamente asserita dall’imputato in dibattimento, che da una parte – come ricordato in sentenza (pagg. 6-8) – ha affermato di avere accompagnato la persona offesa presso le aziende “tante volte…a vendere”, ma dall’altra non ha mai avuto “un rapporto personale con il primo venditore o il cliente finale, mai una interlocuzione con il contraente, mai l’indicazione di un cliente, di una d di una controparte, delle stesse località operative”.
Peraltro, già nel corso delle sommarie informazioni testimoniali rese il luglio 2018 ai Carabinieri di Gorgonzola, che lo avevano convocato dopo le
denunce sporte lo stesso giorno dai suoi figli, NOME COGNOME riferì di un rapporto di mutuo con COGNOME, non già di una sua compartecipazione, come sempre ribadito nelle successive dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari, non inficiate dalla precisazione fatta in dibattimento (“la cosa che mi prestava i soldi con la divisione degli utili è andata avanti per due e tre mesi e basta….e in più voleva interessi e io siccome avevo bisogno di lavorare accettavo”), evidentemente marginale in ragione del ben più lungo arco temporale durante il quale la persona offesa ricevette dall’imputato veri e propri prestiti, svincolati dall’attività commerciale svolta.
La sentenza ha rimarcato che la reale natura della relazione con COGNOME fu da COGNOME riferita ai Carabinieri già in quella occasione, quando egli disse espressamente di non voler presentare alcuna denuncia nei confronti del conoscente di lunga data, non essendo stato vittima di alcun reato.
Nella medesima circostanza egli riferì di un debito residuo di circa 14.000 euro, venendo poi riscontrato sul punto dalla richiesta fatta due giorni dopo da COGNOME ad COGNOME e al suo nucleo familiare nel corso di un incontro monitorato dagli stessi Carabinieri, la cui annotazione non è stata logicamente ritenuta dalla Corte di merito determinante ai fini della ricostruzione del rapporto fra le parti.
La sentenza, invece, ha evidenziato, a supporto della credibilità della persona offesa, la circostanza che in occasione di quell’incontro COGNOME portò con sé e restituì, in previsione del saldo del debito, gioielli della moglie di COGNOME che questi gli aveva consegnato in garanzia, risultando incongruente e inattendibile la spiegazione fornita dall’imputato (“i monili mi sono stati consegnati, poca roba, a fronte di aumentare la fiducia che lui voleva dare a me”).
La motivazione non è illogica né contraddittoria neppure in relazione alla ritenuta inattendibilità dell’altra giustificazione di COGNOME circa il rilascio da pa di COGNOME di ventotto cambiali da mille euro l’una, tutte pagate alla scadenza, che a suo dire avrebbero costituito il corrispettivo di un lotto di pellicce residuo della sua precedente attività, ceduto ad COGNOME perché a sua volta lo rivendesse. Ha osservato la Corte d’appello che le gravi difficoltà finanziare di quest’ultimo “non gli avrebbero consentito di impegnare una così rilevante somma di denaro in un’operazione del tutto estranea al proprio lavoro e dall’esito tutt’altro che certo” (pag. 7).
Neppure è censurabile la valutazione del Giudice di secondo grado in merito alla irrilevanza del disordine nell’organizzazione dell’attività commerciale svolta da COGNOME e alla poca trasparenza sul piano fiscale ai fini della valutazione della sua credibilità rispetto alle dichiarazioni inerenti al rapporto avuto con COGNOME la cui evoluzione nel tempo (dalle prime s.i.t. alle successive denunce) è stata ritenuta indice di affidabilità del teste e non già di un suo intento calunnioso,
radicalmente escluso nelle sentenze di merito con motivazione in questa sede incensurabile.
La circostanza che la persona offesa non avesse tenuto una contabilità su ammontare e date dei prestiti ricevuti dall’imputato, suo vecchio conoscente, non è stata ritenuta un elemento tale da inficiare la credibilità della persona offesa, anche alla luce degli acquisiti riscontri di natura documentale (assegni e cambiali) e dichiarativa (deposizioni dei figli, ai quali COGNOME, messo alle strette, rivelò dei prestiti ricevuti con altissimi tassi di interesse).
Tuttavia, come ora si dirà, si tratta di un aspetto non trascurabile ai fini della valutazione del tasso usurario.
La valutazione sul punto espressa nelle sentenze di merito è incensurabile in ordine alla prima parte dell’imputazione (quella originaria, prima della modifica effettuata dal Pubblico ministero), riguardante la consegna ad COGNOME, fra il 20 febbraio 2015 e il 22 luglio 2016, di somme di denaro varie da parte di COGNOME e l’incasso, dopo venti giorni, dei nove assegni ricevuti in garanzia con un importo pari al capitale prestato maggiorato di interessi con il tasso, variabile dal 304,2% al 701,9%, indicato nella tabella riportata nel capo d’accusa.
La persona offesa, in sede di integrazione della denuncia, in data 27 luglio 2018, ha consegnato la documentazione relativa ai predetti titoli ricordando per ciascuno di essi la minor somma ricevuta da COGNOME e quindi consentendo alla Guardia di Finanza di effettuare il semplice calcolo degli interessi in ragione dell’importo capitale ricevuto da COGNOME venti giorni prima dell’incasso.
Il tasso sopraindicato, avuto anche solo riguardo a quello minimo, superiore al 300%, è stato con fondamento indicato nella sentenza impugnata come “smisuratamente debordante dal noto limite di liceità” (pag. 8): in proposito risulta pertinente il principio affermato di recente da questa Corte, secondo il quale, in tema di usura, la testimonianza della persona offesa in ordine alla natura esorbitante degli interessi praticati sui prestiti può costituire, di per sé, l prova dell’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, senza che sia necessaria, nella motivazione della sentenza, l’indicazione degli elementi di dettaglio del prestito usurario (Sez. 2, n. 10191 del 15/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286053 – 01). Nel caso di cui qui si tratta, peraltro, NOME COGNOME è stato in grado di indicare l’entità delle somme ricevute e i tempi della loro restituzione, con la maggiorazione risultante dall’importo dei titoli acquisiti.
Non altrettanto incensurabile, invece, è la valutazione della sentenza impugnata, conforme anche su questo punto a quella di primo grado.
Il Tribunale ha osservato che la Guardia di Finanza, “quantificando il capitale iniziale ricevuto dall’Annoni, al 20 febbraio 2015, in C 50.000, ha accertato –
utilizzando il metodo di calcolo più favorevole all’imputato – che al prestito in questione -è stato applicato un -tasso di interesse pari al 22,04% ovverosia superiore al tasso soglia d’usura che per il periodo sopra indicato era pari al 17,2375%” (pag. 4); pertanto, in ordine alla “misura del tasso applicato (superiore al tasso soglia su base annua pari al 17,2375%”) il primo Giudice riteneva “sufficiente rilevare che a fronte della dazione della somma di 50.000 euro, il Grassi tra il 20 febbraio 2015 ed il 12 luglio 2018 ha ricevuto la somma di 104.850,00” (pag. 6).
La Corte d’appello, richiamando tale accertamento, ha affermato che “l’abisso” tra le somme versate da COGNOME (50.000 euro) e quelle restituite (104.850 euro) “costituisce di per sé l’indice di una prassi usuraria”.
In ordine a questa conclusione sono fondate le doglianze avanzate dalla difesa.
In primo luogo, considerata la differenza riscontrata dalla Guardia di Finanza fra tasso legale e tasso praticato, non è consentito parlare di una sproporzione “abissale”, a differenza di quanto si è visto per i nove assegni.
Ciò che più rileva, però, è che il metodo di calcolo recepito dai Giudici di merito è errato, perché sulla base di quanto logicamente dichiarato da NOME COGNOME, questi non ricevette i 50.000 euro il 20 febbraio 2015 per poi restituire a COGNOME 104.850 euro il 12 luglio 2018, essendosi ovviamente trattato di prestiti e restituzioni diluiti nel corso degli anni, come avvenuto per i primi nove assegni della originaria imputazione.
Neppure è stato ben chiarito in che modo siano stati considerati nel calcolo del tasso gli importi di cui ai nove titoli, pure richiamati nella seconda parte dell’imputazione: “a fronte di prestiti per un ammontare pari a 40/50 mila euro, si faceva restituire da COGNOME tra il 20.02.2015 e il 12.07.2018 la somma pari ad euro 104.850 (importo complessivo nel quale sono comprese le somme indicate nella tabella di cui sopra”).
La omessa indicazione del tasso praticato, quanto a questa parte, conferma che il calcolo è stato approssimativo. In ogni caso, dalla motivazione delle sentenze di merito non emerge che le lacune nell’accertamento svolto nella fase delle indagini preliminari siano state colmate nel corso del dibattimento.
Le sentenze, in particolare, non hanno chiarito se la persona offesa abbia dichiarato che la prassi abituale dei prestiti, quanto alle modalità di consegna e restituzione e agli importi, fosse quella indicata nei soli due casi, risalenti all’anno 2018, riportati nelle motivazioni sulla base di quanto ha riferito in dibattimento da NOME COGNOME.
Va poi considerato che, sia pure per un limitato periodo di tempo (due o tre mesi), il rapporto fra imputato e parte civile – secondo quanto dichiarato anche
da quest’ultima, come si è detto – fu più complesso rispetto a una semplice
-dazione di somme in prestito.
5. La sentenza impugnata, pertanto, va annullata con rinvio in relazione all’affermazione di responsabilità inerente ai prestiti contestati nella seconda
parte dell’imputazione, risultante dalla modifica operata dal Pubblico ministero in dibattimento.
L’ultimo motivo di ricorso, relativo alla entità della provvisionale, è assorbito in quanto condizionato dalla decisione che adotterà il Giudice del rinvio sul punto
oggetto dell’annullamento.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso il 17/04/2025.