Reato di Truffa: Quando la Menzogna Diventa un Crimine Secondo la Cassazione
Il reato di truffa è una delle fattispecie più comuni e, allo stesso tempo, complesse del nostro ordinamento. Ma quando una semplice bugia si trasforma in un comportamento penalmente rilevante? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre spunti preziosi per comprendere i confini degli ‘artifici e raggiri’ necessari a configurare questo illecito.
I Fatti di Causa: Una Messa in Scena per Evitare il Conto
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda due persone condannate nei primi due gradi di giudizio per truffa. La loro condotta consisteva in una precisa strategia ingannatoria: si presentavano in esercizi pubblici rappresentando una disponibilità economica non corrispondente al vero e, per rafforzare la loro credibilità e intimidire le vittime, lasciavano intendere di appartenere a una nota famiglia criminale.
L’obiettivo? Ottenere un ingiusto profitto, che si concretizzava non solo nel mancato pagamento dei conti, ma anche nella possibilità di allontanarsi indisturbati e di non consegnare i propri documenti per l’identificazione. Una condotta che la Corte d’Appello aveva già ritenuto pienamente rientrante nella nozione di truffa.
Il Motivo del Ricorso e la Difesa degli Imputati
Nonostante la doppia condanna, gli imputati hanno deciso di ricorrere alla Corte di Cassazione. Il loro unico motivo di impugnazione si basava su un punto cruciale: a loro dire, il comportamento tenuto non integrava gli ‘artifici e/o i raggiri’ richiesti dalla legge per il perfezionamento del reato di truffa. Sostanzialmente, sostenevano che la loro condotta non fosse sufficientemente elaborata da poter essere considerata un vero e proprio inganno penalmente rilevante.
Le Motivazioni sul Reato di Truffa in Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo motivazioni che sono un’importante lezione sia di diritto sostanziale che processuale. In primo luogo, i giudici hanno osservato che il motivo del ricorso non era altro che una riproposizione della stessa identica questione già sollevata e correttamente risolta dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva già evidenziato la ‘valenza ingannatoria’ nel rappresentare una falsa realtà economica e nell’evocare legami con ambienti criminali per conseguire il proprio scopo illecito.
In secondo luogo, e questo è l’aspetto più significativo, la Cassazione ha ribadito i limiti del proprio giudizio. Il suo ruolo non è quello di effettuare una nuova valutazione dei fatti o delle prove, come se fosse un terzo grado di merito. Non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici che l’hanno preceduta, né può ‘saggiare la tenuta logica’ della sentenza di appello confrontandola con altri possibili modelli di ragionamento. Il compito della Suprema Corte è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, non ricostruire la vicenda.
Conclusioni: L’Inammissibilità e le Implicazioni Pratiche
La decisione si conclude con una dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La lezione che ne deriva è duplice. Da un lato, viene confermato che mentire sulla propria condizione economica e millantare appartenenze pericolose per non pagare un servizio costituisce pienamente il reato di truffa. Dall’altro, si ribadisce un principio fondamentale della procedura: il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato come un’ulteriore occasione per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, ma deve concentrarsi su specifiche violazioni di legge o vizi di motivazione.
Cosa si intende per ‘artifici e raggiri’ nel reato di truffa secondo questa ordinanza?
Secondo l’ordinanza, rappresentare una disponibilità economica non veritiera e presentarsi come appartenenti a una nota famiglia criminale per non pagare i conti e sottrarsi all’identificazione sono comportamenti che integrano pienamente gli artifici e i raggiri richiesti per il reato di truffa.
È possibile fare ricorso in Cassazione riproponendo le stesse argomentazioni già respinte in Appello?
No, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile proprio perché era una mera reiterazione di una questione già correttamente risolta dalla Corte d’Appello. Un ricorso del genere non può essere accolto.
Qual è il ruolo della Corte di Cassazione nella valutazione dei fatti di una causa?
La Corte di Cassazione non ha il compito di riesaminare i fatti o di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella dei giudici dei gradi precedenti. Il suo ruolo è garantire la corretta applicazione della legge e controllare la logicità della motivazione della sentenza impugnata, non agire come un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6414 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6414 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato a ROMA il 03/08/1990
NOME COGNOME nato a ROMA il 14/05/1991
avverso la sentenza del 08/05/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi presentati congiuntamente nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME
rilevato che con un unico motivo d’impugnazione i ricorrenti sostengono che la condotta contestata non configura gli artifici e/o i raggiri richiesti per i perfezionamento del reato di truffa;
considerato che il motivo si risolve in una valutazione delle emergenze dibattimentali alternativa e antagonista a quella prospettata dai giudici di merito oltre che reiterativa dell’identica questione sollevata con il gravame e correttamente risolta dalla Corte di appello alla pagina 11 della sentenza impugnata, dove è stata rimarcata la valenza ingannatoria insita nel rappresentare una disponibilità economica non corrispondente alla realtà e nel presentarsi quali appartenenti a una nota famiglia criminale, al fine di consguire l’ingiusto profitto individuato non solo nel mancato pagamento dei conti, ma anche nel fatto di allontanarsi indisturbati dai locali e nel non consegnare i documenti che sarebbero serviti alla loro identificazione;
ritenuto, pertanto, che i motivi sono inammissibili, stante la preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260);
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, 21 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
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