Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11643 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11643 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato il 07/04/1999 NOME COGNOME NOME nato il 20/03/1983
avverso la sentenza del 20/09/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME e NOME NOME COGNOME ricorrono, con due se arati ricorsi, a mezzo dei rispettivi difensori, avverso la sentenza di cui in epigra e deducendo il primo violazione di legge e vizio motivazionale in relazione al marcato riconosci-, mento dell’ipotesi di reato di cui ail’art. 73 comma 5, D.P.R. 309/90 sul principale rilievo del mancato inserimento dell’imputato in una rete organizZativa, dell’abitualità del fatto, tenendo conto della sua incensuratezza e della mancanza di relazioni con il mercato di riferimento; il secondo con un primo motivo difetto di motivazione in punto di affermazione di penale responsabilità nella parte in cui la sentenza ha ritenuto irrilevante la chat whatsapp del telefono sequestrato con la quale si voleva dimostrare che era stato solo contattato per il trasporto degli altri due a fronte di un compenso di centoventi curo; e con un secondo motivo anch’egli vizio motivazionale in punto di diniego dell’ipotesi di reato più lieve di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90. Chiedono, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione). Ne deriva che i proposti ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
I ricorrenti, in concreto, non si confrontano adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità.
3.1. Quanto al motivo comune ai due ricorsi, relativi al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73 co. 5 d.P.R. 309/90, i giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine all’esclusione dell’ipotesi lieve in ragione delle modalità dell’azione emerse dagli atti processuali, in particolare alla circostanza che i tre imputati erano partiti da Grosseto per recarsi appositamente in una nota zona di spaccio, vicino Civitavecchia, non potendosi escludere che questo fatto sia legato all’intervento delle forza dell’ordine avvenuto in quella stessa zona, con lo scopo di mettere in sicurezza da un possibile sequestro il denaro e lo stupefacente.
La sentenza impugnata opera sul punto un corretto governo ella opera un buon governo della pluriennale giurisprudenza di questa Corte Supr ma in materia di possesso di sostanze stupefacenti ad uso non esclusivamente p rsonale.
Va ricordato che la valutazione in ordine alla destinazione de la droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del onsumo, deve essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto (cfr. Sez. 4, n. 7191/2018, Rv. 272463, conf., Sez. 6, n. 44419/2008, Rv. 241604). E questa Corte di legittimità ha costantemente affermato – e va qui ribadito- che in tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dall’art. 73-bis, comma primo, lett. a), del d.P.R. n. 309 del 1990 non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione (cfr. ex multis, Sez. 3, n. 46610 del 9/10/2014, COGNOME, Rv. 260991). Tuttavia, il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dall’art. 73, comma primo bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990 se da solo non costituisce prova decisiva dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, può comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione (così Sez. 6, n. 11025 del 6/3/2013, COGNOME ed altro, rv. 255726, fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso avverso la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto l’illiceità penale della detenzione dell’equivalente di 27,5 dosi di eroina anche in considerazione della accertata incapacità economica dell’imputato ai fini della costituzione di “scorte” per uso personale; conf. Sez. 6, n. 9723 del 17/1/2013, COGNOME, Rv. 254695). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.2 In ordine alla doglianza in punto di responsabilità proposta nell’interesse del Danca, la stessa si palesa manifestamente infondata in quanto i giudici del gravame del merito hanno ricordato come già il primo giudice avesse rilevato che l’analisi dei tabulati telefonici non aveva riscontrato la versione dell’imputato, non essendo stata rinvenuta prova della conversazione asseritamente avvenuta la mattina del 12 dicembre. E quanto al rilievo difensivo che la conversazione dovrebbe essere avvenuta via Whatsapp e, pertanto, non sarebbe rilévabile tramite l’esame dei tabulati telefonici, osserva la Corte territoriale che tal evenienza risulta del tutto improbabile, considerato che i due marocchini non parlano la lingua italiana e non risulta che Danca conosca l’arabo; e che appare poco credibile che vi sia stata una conversazione telefonica o uno scambio di messag i tra Mossaid e
danca per accordarsi sulle modalità del viaggio. In sentenza viene anche evidenziato che i due coimputati non avevano con sé telefoni cellulari, dato questo che non solo corrobora la non veridicità delle affermazioni del Danca, ma lascia inferire che fosse proprio quest’ultimo a gestire i contatti con i fornitori degli stupefacenti in Civitavecchia
In secondo luogo, si ricorda in sentenza che i tre imputati sono partiti insieme da Grosseto per un viaggio che avrebbe occupato gran parte della giornata e che avrebbe previsto una sosta nel luogo di consegna dello stupefacente, e che risulta, dunque, del tutto logico che COGNOME fosse pienamente consapevole di quanto stesse accadendo e della ragione del viaggio a Civitavecchia. E che l’attività di tassista in nero svolta dal COGNOME non e stata minimamente provata, al contrario, e emerso che l’imputato aveva un’attività lavorativa stabile. Inoltre, si rileva ancora in sentenza, Danca ha dichiarato di aver ricevuto 120 euro di acconto quando si trovava a Tolfa, ma il denaro non e stato rinvenuto dagli operanti in sede di perquisizione
In conclusione, priva di aporie logiche appare la motivazione della sentenza impugnata laddove conclude che non vi sono in atti elementi da cui desumere la veridicità di quanto affermato dall’imputato, viceversa, la partenza da Grosseto unitamente ai due coimputati – persone senza fissa dimora e prive di attività lavorativa, non parlanti la lingua italiana o romena – il possesso dell’unico telefono cellulare, la sosta a Civitavecchia per rifornirsi di sostanza stupefacente e il rientro verso Grosseto con a bordo lo zaino contenente la droga forniscono la prova, al di la del dubbio ragionevole, della responsabilità dell’imputato
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto
Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della dassa delle ammende. Così deciso il 11/03/2025