Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22922 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22922 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato il DATA_NASCITA in NOMEgal avverso la sentenza del 17/04/2023 della Corte d’appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che la sentenza sia annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Lec:ce, in riforma della sentenza di primo grado, esclusa la recidiva, rideterminava la pena irrogata nei confronti di NOME ex art. 334 cod. pen., per aver soppresso o comunque
disperso un’autovettura sottoposta a sequestro dall’autorità amministrativa, allo stesso affidata in custodia giudiziaria.
Ha presentato ricorso NOME per il tramite dell’AVV_NOTAIO, deducendo i seguenti quattro motivi.
2.1. Vizio di motivazione quanto alla responsabilità per il delitto di cui all’ar 334, comma 2, cod. pen., per aver i Giudici dell’appello travisato fatti accertati nella sentenza di primo grado, avendo ritenuto che il Giudice di primo grado avesse riqualificato l’originaria imputazione nel reato di cui all’art. 334, comma 2, cod. pen., nonché per non aver risposto al primo motivo dell’atto di appello.
Il reato contestato dal pubblico ministero, mai oggetto di riqualificazione giuridica, era l’art. 334, comma 1, cod. pen.; la sentenza del Tribunale confermava tale qualificazione giuridica, richiamando nel dispositivo il reato contestato; l’imputato, nell’atto d’appello, deduceva l’insussistenza del delitto di cui all’ar 334, comma 1, cod. pen., per aver disperso o distrutto dolosamente l’autovettura di proprietà di altri (NOME COGNOME), affidatagli in custodia giudiziale.
Invece, la Corte d’appello ha ritenuto che il Giudice di primo grado avesse fondato la condanna sull’art. 334, comma 2, cod. pen.
Tuttavia, il Tribunale – che aveva inflitto una pena (un anno di reclusione) compatibile con gli editti di entrambe le ipotesi di cui all’art 334 cod. pen. – aveva specificato di aver usato i parametri dell’art. 334, comma 2, cod. pen. ai soli fini della dosimetria della pena. Sarebbe stato, dunque, travisato un atto processuale, e cioè la sentenza di primo grado.
Premesso, d’altronde, che i due commi dell’art. 334 cod. pen. contemplano due fattispecie distinte, nel caso di specie, l’imputato era mero possessore del bene sicché mai avrebbe potuto realizzare l’ipotesi del comma 2.
In conseguenza dell’errore commesso, il giudice dell’appello avrebbe anche trascurato di pronunciarsi sullo specifico motivo di gravarne che riguardava l’insussistenza dell’elemento soggettivo in relazione all’art. 334, comma 1, cod. pen.
2.1. Errata applicazione della legge penale per errata qualificazione giuridica dei fatti.
La Corte di appello ha ritenuto che i fatti contestati nel capo di imputazione siano, di fatto, ricompresi nell’art. 334, comma 2, cod. pen., che tuttavia può essere commesso soltanto dal proprietario del bene, trattandosi di reato proprio.
Invece l’imputato, come risulta dagli atti e dalle sentenze di merito, è mero possessore del bene e non proprietario.
2.3. Vizio di motivazione per omessa pronuncia su un motivo di appello; eccessività della pena in ragione della riqualificazione del fatto.
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Con il secondo motivo dell’atto di appello si era sostenuto che il reato dovesse essere qualificato ex art. 335 cod. pen., trattandosi di violazione colposa, giacché il bene oggetto di sequestro e di affido in custodia giudiziale era custodito in un luogo che non era di proprietà dell’imputato che, quindi, non poteva esercitare un effettivo controllo così da evitare la sottrazione o la dispersione dello stesso.
La Corte di appello, tuttavia, non si è pronunciata su questo profilo.
La pena irrogata risentirebbe, poi, dell’errore nella qualificazione dei fatti, essendo stata fissata nella misura massima erogabile per il fatto colposo di cui all’alt 335 cod. pen. e risultando, dunque, palesemente sproporzionata e ingiustificata.
2.4. Violazione dell’art. 545-bis cod. proc, pen. e vizio di motivazione, quanto alla mancata applicazione delle pene sostitutive.
Al momento dell’irrogazione della pena in grado di appello era entrata in vigore la riforma cosiddetta Cartabia, che fa obbligo al giudice di avvisare l’imputato della possibilità di sostituire la pena, con la conseguenza che avrebbe dovuto applicarsi l’art. 545-bis cod. proc. pen., essendo peraltro l’ad 20-bis cod. pen. norma di favore che vale, quindi, retroattivamente.
Tuttavia, il giudice di appello non ha avvisato l’imputato della possibilità di sostituire la pena. Peraltro, l’applicazione della pena pecuniaria sostitutiva non richiede il consenso dell’imputato e può essere irrogata dal giudice anche d’ufficio. Né la sentenza d’appello spiega le ragioni per cui la pena non è stata sostituita.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta, nei termini ivi previsti, di discussione orale, il AVV_NOTAIO generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
Il ricorrente ha presentato conclusioni in cui ci si riporta ai motivi di ricors e, in alternativa al loro accoglimento, chiede sia dichiarata l’estinzione del reato, in quanto prescritto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Dalle sentenze di merito emerge che, dopo il sequestro amministrativo del veicolo guidato dal ricorrente, in quanto sprovvisto di assicurazione, il NOME, nominato custode giudiziario, si impegnava a custodire l’auto, che risultava di proprietà della sua compagna, nel garage di questa.
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Di seguito, la Prefettura emetteva ordinanza di confisca con l’obbligo per il NOME di trasferire il veicolo entro trenta giorni a proprie spese.
Trascorso tale lasso di tempo e non avendo il NOME ottemperato, la Prefettura disponeva il trasferimento coatto.
A quel punto, i Carabinieri si recavano sul posto dove avrebbe dovuto essere l’auto, ma non vi trovavano né questa, né gli interessati.
Così ricostruita la vicenda concreta, infondati appaiono i primi tre motivi di ricorso, non ravvisandosi errori nella qualificazione giuridica del fatto né divergenze tra quanto statuito nelle due sentenze di merito.
2.1. Muovendo dal terzo motivo, relativo alla qualificazione del fatto come colposo ed al connesso eccesso nel trattamento sanzionatorio, va recisamente escluso che la condotta sia riconducibile al tipo dell’art. 335 cod. pen., come peraltro già implicitamente argomentato dal giudice dell’appello che dalle note del fatto, e in assenza di persuasive allegazioni difensive in senso contrario, ha correttamente inferito la connotazione volontaria e quindi dolosa della condotta, già dalla sentenza di primo grado ritenuta funzionale a sottrarre il bene all’esecuzione della confisca.
2.2. Quanto alla configurabilità di un comma, piuttosto che dell’altro, del medesimo art. 334 cod. pen., va precisato che l’imputazione concerneva l’ipotesi di cui all’art. 334, comma 1, cod. pen.
Il Giudice di primo grado (p. 4 della sentenza del Tribunale), dopo aver richiamato la differenza tra le due ipotesi di reato, si è espressa nel senso che la condotta accertata nel caso concreto «deve ritenersi inquadrabile nel reato di quell’articolo 334, comma 1, cod. pen.» ed irrogava «la pena di un anno e quattro mesi e 300 euro di multa (un anno di reclusione ed euro duecento di multa, calibrando la pena sul limite edittale di cui all’art. 334, comma 2, ed aumentata ai sensi dell’art. 99 cod. pen.)», ravvisando, infine, la responsabilità per il reat ascritto.
La sentenza di secondo grado afferma che «di fatto è stata riconosciuta dal primo giudice l’ipotesi di cui all’art. 334, comma 2, cod. pen. (se sulla sanzione per tale reato è stata calibrata la pena), posto che l’imputato non era proprietario ma comunque possessore del veicolo prima sottoposto a sequestro con lui alla guida e poi a confisca».
Quindi, esclusa la recidiva perché i precedenti reati erano di natura diversa, confermava «nel resto» l’impugnata sentenza.
In ragione del rilevato ricorso alla locuzione «di fatto» e dell’avvenuta conferma della condanna, deve ritenersi che anche i Giudici dell’appello abbiano sussunto la condotta dell’imputato – pur con argomentazione non cristallina – la
condanna del NOME nella fattispecie dell’art. 334, comma 1, cod. pen.: senza che, peraltro, un suo ipotetico alternativo inquadramento nell’ipotesi dell’art. 334, comma 2, cod. pen. avrebbe viziato la motivazione.
Infatti, oltre ad essere punita tale ipotesi meno gravemente dell’altra e, quindi, pur prescindendo dalla possibile carenza di interesse in capo al ricorrente, la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 334, comma 1, cod. pen., non sarebbe stata scorretta, se si considera che, in virtù della c.d. concezione autonomistica penale in materia di patrimonio e secondo il risalente e pacifico insegnamento di questa Corte, nell’art. 334 cod. pen., il termine ‘proprietario è usato in senso più ampio di quello che esso ha nel diritto privato e comprende qualsiasi soggetto che si trovi rispetto alla cosa in un rapporto di padronanza, come il rappresentante del proprietario, il possessore e il semplice detentore (Sez. 6, n. 53 del 10/12/1966, dep. 1967, COGNOME, Rv. 103222), richliedendosi, in definitiva, ai fini dell’integrazione della fattispecie, la mera disponibilità del bene (Sez. 6, n. 1226 del 20/11/1980, dep. 1981, Gallo, Rv. 147655).
2.3. Il primo e secondo motivo di ricorso sono, quindi, infondati.
La valutazione del quarto motivo di ricorso – concerneni:e il mancato avviso in ordine alla sostituibilità della pena (art. 545-bis cod. proc. pen.), c presupporrebbe, quindi, la conferma della condanna – è preclusa dall’estinzione del reato, che deve essere dichiarata in considerazione dell’avvenuto decorso del termine di prescrizione.
Essendo stata la condotta realizzata il 10/12/2015 e considerato il termine di sette anni e mezzo, cui vanno aggiunti sessantaquattro giorni di sospensione per causa COGNOME, il reato risulta, infatti, prescritto in data 13/08/2023.
Per tale ragione, si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 07/05/2024