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Reato di riciclaggio: la provenienza delittuosa va provata

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per il reato di riciclaggio a carico di un soggetto trovato in possesso di quasi 200.000 euro nascosti nel motore della sua auto. La Corte ha stabilito che, per configurare tale delitto, non è sufficiente il mero sospetto sulla provenienza del denaro, ma è necessario che l’accusa individui almeno la tipologia del reato presupposto da cui i fondi derivano.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato di riciclaggio: la provenienza illecita del denaro va provata, non solo sospettata

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36435 del 2025, interviene su un tema cruciale in materia di reato di riciclaggio: la necessità di individuare il delitto presupposto. La pronuncia chiarisce che il semplice possesso di una grossa somma di denaro, sebbene nascosta con cura, non è di per sé sufficiente a fondare una condanna se l’accusa non fornisce elementi concreti sulla tipologia del reato da cui quel denaro proviene. Analizziamo insieme la decisione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un uomo condannato in primo grado e in appello per il reato di riciclaggio. L’imputato era stato trovato in possesso di una somma di 199.380,00 euro, che aveva ricevuto da un altro soggetto e occultato nel vano motore della propria automobile. Secondo i giudici di merito, questa condotta era finalizzata a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro.

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la condanna fosse illegittima. Il motivo principale del ricorso era la mancata dimostrazione della provenienza illecita del denaro. Secondo il ricorrente, i giudici si erano limitati a supporre l’esistenza di un reato presupposto basandosi su elementi indiziari, come il linguaggio criptico usato dall’imputato e le cautele adottate per nascondere i contanti, senza però mai specificare da quale tipo di attività criminale la somma derivasse.

L’analisi della Corte di Cassazione sul reato di riciclaggio

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di condanna e rinviando il caso a una nuova sezione della Corte d’Appello. Il ragionamento dei giudici di legittimità si fonda su un principio consolidato della giurisprudenza in materia di reato di riciclaggio.

Perché si possa configurare il delitto previsto dall’art. 648-bis del codice penale, è indispensabile che il delitto presupposto (cioè il reato da cui provengono i soldi o i beni “ripuliti”) sia individuato almeno nella sua tipologia. Non è necessario ricostruire il reato originario in ogni suo dettaglio storico e fattuale, ma è imprescindibile indicare a quale categoria criminale esso appartenga (ad esempio, traffico di stupefacenti, evasione fiscale, truffa, ecc.).

La carenza probatoria nel caso di specie

Nel caso esaminato, la Corte ha rilevato che i giudici di merito non avevano fornito alcuna indicazione in tal senso. La condanna si basava sull’assunto che una somma così ingente, di cui l’imputato non sapeva giustificare la provenienza, dovesse necessariamente derivare da un’attività illecita. Tuttavia, questa è una mera congettura che non soddisfa i requisiti probatori richiesti dalla legge.

I giudici hanno sottolineato come affermare che il denaro sia di provenienza delittuosa, senza specificare da quale tipo di delitto, equivale a una “mera asserzione d’ingiustificato possesso”, che non è sufficiente per una condanna per riciclaggio.

Le condotte tipiche del reato di riciclaggio

Un altro punto critico evidenziato dalla Cassazione riguarda la condotta materiale. Il reato di riciclaggio punisce specifiche operazioni (sostituzione, trasferimento o altre attività) finalizzate a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni. Il semplice possesso e occultamento di denaro, sebbene sospetto, non integra automaticamente una di queste condotte tipiche. La Corte ha lamentato la mancanza di motivazione anche su questo aspetto, non essendo stato specificato quale operazione concreta l’imputato avesse posto in essere per “ripulire” il denaro.

Le motivazioni

La motivazione della sentenza della Cassazione si basa sulla necessità di rispettare i principi di tassatività e determinatezza della fattispecie penale. Condannare una persona per riciclaggio sulla base di soli sospetti, senza ancorare l’accusa a un’ipotesi concreta di reato presupposto, violerebbe il diritto di difesa e trasformerebbe il reato di riciclaggio in una sorta di “reato di sospetto”, punendo chiunque non sia in grado di giustificare il possesso di ingenti somme di denaro. La Corte ribadisce che il giudice deve individuare elementi di fatto che permettano di ricondurre la provenienza del denaro a una specifica categoria di delitti. Inoltre, la sentenza impugnata non aveva adeguatamente considerato la “clausola di riserva” dell’art. 648-bis c.p., che esclude la punibilità per riciclaggio di chi ha concorso nel reato presupposto. La Corte d’Appello non aveva spiegato perché si dovesse escludere che l’imputato fosse un partecipe del reato originario, condizione che avrebbe reso inapplicabile l’accusa di riciclaggio.

Le conclusioni

La decisione della Corte di Cassazione riafferma un principio di garanzia fondamentale: una condanna per un reato grave come il riciclaggio deve fondarsi su prove concrete e non su mere presunzioni. Per l’accusa non è sufficiente dimostrare che le circostanze del possesso di denaro sono sospette; è necessario fornire elementi che consentano di collegare quel denaro a una specifica tipologia di attività criminale. Questa sentenza costituisce un importante monito per i giudici di merito a non cedere a facili automatismi, garantendo che ogni condanna per il reato di riciclaggio sia supportata da una motivazione rigorosa e completa, sia sulla condotta tipica che sull’effettiva provenienza delittuosa dei beni.

Per configurare il reato di riciclaggio è sufficiente dimostrare che il possesso di denaro è sospetto?
No, secondo la Corte di Cassazione non è sufficiente. Il mero sospetto o l’incapacità dell’imputato di giustificare la provenienza di una somma di denaro non bastano per una condanna. È necessaria la prova della provenienza delittuosa dei fondi.

Cosa deve specificare l’accusa riguardo al reato da cui proviene il denaro riciclato?
L’accusa deve individuare almeno la tipologia del delitto presupposto. Non è richiesta la ricostruzione di tutti i dettagli storici e fattuali del reato originario, ma è indispensabile indicare a quale categoria di crimini (es. reati fiscali, contro il patrimonio, traffico di droga) esso appartenga.

Il semplice occultamento di una grossa somma di denaro è considerato automaticamente riciclaggio?
No. Il reato di riciclaggio richiede il compimento di operazioni specifiche (sostituzione, trasferimento o altre) volte a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa. Il mero possesso e occultamento, pur essendo un indizio, non integrano di per sé la condotta tipica del reato se non inseriti in un’operazione più complessa di “ripulitura”.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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