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Reato di riciclaggio: la prova dell’origine illecita

La Corte di Cassazione conferma una misura cautelare per il reato di riciclaggio, stabilendo che l’origine illecita del denaro può essere desunta da elementi logici e indiziari. Tra questi, la mancanza di capacità reddituale dell’indagato e l’uso di canali clandestini per il trasferimento di ingenti somme all’estero, anche senza l’individuazione specifica del reato presupposto.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato di Riciclaggio: Come si Prova l’Origine Illecita del Denaro?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 15157 del 2024, offre importanti chiarimenti sulla configurabilità del reato di riciclaggio anche quando non sia stato precisamente individuato il reato da cui provengono le somme di denaro. Il caso analizzato dimostra come l’origine illecita possa essere provata attraverso un ragionamento logico basato su una serie di indizi gravi, precisi e concordanti.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Roma, che applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari a un soggetto, gravemente indiziato del reato di riciclaggio. L’accusa si fondava sulla consegna di una somma complessiva di quasi 130.000 euro a un cittadino cinese, con lo scopo di trasferire il denaro all’estero eludendo i canali ufficiali.

La difesa dell’indagato aveva presentato istanza al Tribunale del riesame, contestando principalmente due aspetti: la mancata individuazione del reato presupposto da cui derivava il denaro e la carenza di prove concrete. Il Tribunale del riesame, pur accogliendo parzialmente l’istanza e sostituendo gli arresti domiciliari con l’obbligo di dimora, aveva confermato la gravità indiziaria. Contro questa decisione, l’indagato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando che il provvedimento non avesse adeguatamente motivato la provenienza illecita delle somme, limitandosi a valorizzare la mera consegna di denaro.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la solidità dell’impianto accusatorio e la correttezza del ragionamento seguito dal Tribunale del riesame. Secondo gli Ermellini, il Tribunale ha correttamente valorizzato una serie di elementi fattuali che, letti congiuntamente, permettevano di desumere in modo logico e coerente la provenienza illecita del denaro.

Le Motivazioni della Sentenza sul reato di riciclaggio

Il cuore della decisione risiede nel metodo utilizzato per provare l’elemento chiave del reato di riciclaggio: l’origine delittuosa dei fondi. La Corte ha spiegato che, sebbene non sia stato identificato uno specifico reato (es. una rapina, un’estorsione, ecc.) commesso dall’indagato, la provenienza illecita del denaro è stata dedotta da un quadro indiziario complessivo e coerente. Gli elementi decisivi sono stati:

1. L’intermediario: Il soggetto cinese destinatario del denaro era già sotto osservazione degli investigatori come collettore di fondi di provenienza delittuosa, legati a traffici di stupefacenti, destinati all’estero.
2. La sproporzione economica: L’indagato non aveva capacità reddituali o lavorative tali da giustificare la disponibilità di una somma così ingente in contanti.
3. Le modalità di trasferimento: L’utilizzo di un sistema clandestino, una vera e propria “centrale di riciclaggio”, sottratto a qualsiasi controllo valutario e bancario, è stato considerato un forte indicatore della volontà di occultare la natura illecita dei fondi.

Il Tribunale, secondo la Cassazione, ha correttamente dedotto da questi fatti che il denaro affidato dall’indagato non poteva che avere un’origine illegale. La condotta dell’indagato, consistente nell’affidare fiduciariamente il denaro a un soggetto noto per tali operazioni, integrava pienamente gli elementi oggettivo e soggettivo del reato di riciclaggio.

La Corte ha inoltre respinto la tesi difensiva della “legittima detenzione” del denaro, definendola del tutto indimostrata e in palese contrasto con i dati fattuali emersi dalle indagini. In assenza di qualsiasi spiegazione alternativa e plausibile fornita dall’indagato, il ragionamento del giudice di merito è stato ritenuto privo di vizi logici.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di reato di riciclaggio: la prova della provenienza delittuosa del denaro non richiede necessariamente l’accertamento giudiziale del reato presupposto. Essa può essere desunta logicamente da elementi di fatto che rendano palesemente anomala la detenzione di ingenti somme di denaro, come la sproporzione rispetto al reddito, l’assenza di giustificazioni lecite e l’impiego di canali opachi per la movimentazione dei fondi. La decisione sottolinea come il sistema giudiziario possa contrastare efficacemente le attività di ripulitura del denaro sporco basandosi su un’attenta analisi del contesto e delle modalità operative, anche in assenza di una confessione o della prova diretta del crimine originario.

Per configurare il reato di riciclaggio è necessario provare da quale specifico crimine proviene il denaro?
No, secondo la sentenza non è indispensabile l’individuazione esatta del reato presupposto. La provenienza delittuosa del denaro può essere desunta in modo logico da un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti.

Quali elementi possono dimostrare l’origine illecita di una somma di denaro?
La Corte ha valorizzato elementi come: la sproporzione tra la somma di denaro e la capacità reddituale di chi la possiede, l’affidamento dei soldi a intermediari coinvolti in attività criminali e l’utilizzo di sistemi di trasferimento clandestini che eludono i controlli bancari e valutari.

Avere la fedina penale pulita è sufficiente a escludere un’accusa di riciclaggio?
No. Sebbene l’incensuratezza sia un elemento da valutare, non è di per sé sufficiente a giustificare la detenzione di ingenti somme di denaro in assenza di una spiegazione lecita e comprovata, specialmente quando le modalità di gestione di tale denaro sono anomale e sospette.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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