LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Reato di riciclaggio: la Cassazione e il dolo eventuale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30547/2024, conferma una condanna per il reato di riciclaggio a carico di un amministratore di società. La Corte chiarisce che per integrare il delitto è sufficiente il dolo eventuale, ossia la consapevolezza della concreta possibilità della provenienza illecita del denaro, senza che sia necessaria la certezza. La sentenza distingue inoltre il furto aggravato dall’appropriazione indebita nel caso di un promotore finanziario che sottrae fondi ai clienti senza averne delega.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato di riciclaggio: basta il sospetto per la condanna?

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi sul reato di riciclaggio, offrendo chiarimenti cruciali sulla linea di confine tra la consapevolezza e il semplice sospetto. Il caso analizzato riguarda un amministratore di società accusato di aver ‘ripulito’ denaro proveniente dai furti commessi da un promotore finanziario ai danni dei suoi clienti. La pronuncia è di grande interesse perché ribadisce come, per la condanna, non sia necessaria la certezza assoluta sulla provenienza illecita dei fondi, ma sia sufficiente il cosiddetto ‘dolo eventuale’.

I fatti di causa

La vicenda trae origine dalle attività illecite di un promotore finanziario, il quale, approfittando del suo ruolo, aveva sottratto ingenti somme di denaro dai conti correnti di numerosi clienti. Parte di questi proventi illeciti venivano poi trasferiti sul conto corrente della madre di un complice. Successivamente, questo denaro veniva girato sul conto personale di un imprenditore, amministratore di una società di servizi, e da qui, con la causale ‘finanziamento soci’, trasferito sul conto della società stessa, di fatto inattiva e amministrata solo formalmente dall’imprenditore ma gestita dal suo complice. L’imprenditore, condannato in primo e secondo grado per reato di riciclaggio, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo di non essere stato a conoscenza dell’origine criminale del denaro e che la semplice operazione di trasferimento non era sufficiente a nasconderne la provenienza.

L’analisi della Corte sul reato di riciclaggio

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’amministratore, confermando la sua responsabilità penale. I giudici hanno sottolineato due aspetti fondamentali del reato di riciclaggio:

1. L’elemento oggettivo: La condotta tipica del riciclaggio consiste nel compiere operazioni volte a ostacolare, anche solo a rendere più difficile, l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro. Nel caso di specie, il passaggio dei fondi dal conto di un terzo (la madre del complice) a quello personale dell’imputato e, infine, a quello di una società di comodo, è stato ritenuto un classico schema operativo finalizzato proprio a ‘schermare’ e a interrompere il legame tra i soldi e il reato presupposto (i furti).

2. L’elemento soggettivo (il dolo eventuale): Questo è il punto più significativo della sentenza. La Corte ha ribadito che per il reato di riciclaggio non è richiesto il dolo specifico, ovvero l’intenzione di riciclare, né il dolo diretto, cioè la certezza della provenienza illecita dei fondi. È invece sufficiente il ‘dolo eventuale’. Ciò significa che è penalmente responsabile chi, pur non avendo la certezza, si rappresenta la concreta possibilità che il denaro provenga da un’attività criminale e, ciononostante, accetta il rischio e compie l’operazione. Nel caso in esame, i giudici hanno ritenuto che l’imprenditore non potesse non sospettare, date le circostanze: l’accredito di una somma ingente (55.000 euro in venti giorni) da parte di un soggetto con cui non aveva rapporti commerciali, i rapidi trasferimenti e gli stretti legami con il complice, gestore di fatto della società.

La distinzione tra furto e appropriazione indebita

La sentenza ha anche affrontato la posizione del promotore finanziario. Quest’ultimo sosteneva che il suo reato dovesse essere qualificato come appropriazione indebita e non come furto aggravato, dato il suo ruolo professionale. La Cassazione ha respinto anche questa tesi, chiarendo un principio fondamentale: la differenza risiede nella disponibilità giuridica del bene. Il promotore non aveva alcuna delega o autorizzazione a disporre delle somme sui conti dei clienti. Pertanto, la sua condotta integrava una sottrazione di beni altrui, tipica del furto, e non l’appropriazione di beni di cui aveva già legittimo possesso, come richiesto per l’appropriazione indebita.

Le motivazioni della decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Il passaggio di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente a un altro, intestato a un terzo, costituisce una tipica modalità di ostacolo all’identificazione della sua origine. La Corte ha specificato che non rileva il fatto che le operazioni siano tracciabili; l’obiettivo illecito del riciclatore è quello di rendere più complessa la ricostruzione del flusso finanziario, e anche un semplice trasferimento può raggiungere questo scopo. Per quanto riguarda la colpevolezza dell’amministratore, la motivazione si basa su una valutazione logica degli indizi: i rapporti stretti con il soggetto che di fatto movimentava il denaro, la rapidità delle operazioni e l’incapacità di fornire una spiegazione lecita per l’ingente somma ricevuta sono stati elementi sufficienti a dimostrare che egli si era rappresentato la possibilità della provenienza illecita del denaro e ne aveva accettato il rischio.

Le conclusioni

La sentenza n. 30547/2024 della Corte di Cassazione invia un messaggio chiaro: nel contesto del reato di riciclaggio, la giustificazione del ‘non sapevo’ ha confini molto stretti. Gli operatori economici, e in particolare gli amministratori di società, hanno il dovere di prestare attenzione a operazioni finanziarie anomale, specialmente quando coinvolgono soggetti terzi e società utilizzate come ‘schermo’. La pronuncia conferma che la legge non richiede la prova di una piena consapevolezza, ma considera sufficiente l’accettazione del rischio che dietro a un’operazione opaca si celi un’origine criminale. Un monito importante sulla responsabilità e sulla diligenza richieste a chiunque gestisca flussi di denaro.

Quando un semplice trasferimento di denaro tra conti correnti integra il reato di riciclaggio?
Secondo la Cassazione, anche un trasferimento tracciabile integra il reato di riciclaggio se la sua finalità è quella di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro. Il passaggio di fondi su un conto intestato a un terzo è considerato una tipica modalità per raggiungere questo scopo.

È necessario avere la certezza della provenienza illecita del denaro per essere condannati per riciclaggio?
No, non è necessaria la certezza. La sentenza ribadisce che è sufficiente il ‘dolo eventuale’, ovvero la situazione in cui un soggetto si rappresenta la concreta possibilità che il denaro provenga da un’attività illecita e, nonostante ciò, accetta il rischio e compie l’operazione.

Qual è la differenza tra furto e appropriazione indebita per un promotore finanziario che sottrae fondi ai clienti?
La differenza fondamentale risiede nella disponibilità giuridica dei fondi. Se il promotore, come nel caso di specie, non ha alcuna delega o autorizzazione specifica per operare sui conti dei clienti, la sua azione è una sottrazione e si qualifica come furto. Se invece avesse avuto il possesso legittimo del denaro in virtù di un mandato e lo avesse distratto per fini personali, si sarebbe trattato di appropriazione indebita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati