Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30547 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30547 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME
NOMENOME> nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
COGNOME NOME
NOME
nato a GENOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/07/2023 della CORTE DI APPELLO DI TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto che la Corte di cassazione annulli la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e ai fatti di cui ai capi 11, 2 e 7 (successivi al 18 dicembre 2010) per cui non è ancora, alla data del 14 maggio 2024, maturata la prescrizione, nei confronti del COGNOME con rinvio alla Corte d’appello di Torino; annulli la sentenza impugnata limitatamente ai fatti di cui ai capi, 11, 2 e 7, successivi al 18 dicembre 2010, per le quali è maturata al 14 maggio 2024 la prescrizione, perché estinti per prescrizione (con conferma delle statuizioni civili); annulli la sentenza impugnata limitatamente
alla condanna nei confronti dell’COGNOME con rinvio alla Corte d’appello di Torino per nuovo giudizio; lette le conclusioni del difensore delle parti civili AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; lette le conclusioni del difensore dei ricorrenti AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 settembre 2018, emessa ad esito del giudizio abbreviato, il G.u.p. del Tribunale di Novara condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME alle pene ritenute di giustizia, il primo per un reato di riciclaggio e il secondo per diciannove furti aggravati commessi in danno di clienti della banca nella quale egli prestava la propria attività quale promotore finanziario.
Con sentenza del 6 luglio 2023 la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della decisione del primo giudice, dichiarava non doversi procedere nei confronti di COGNOME per una serie di furti per intervenuta prescrizione o per mancanza di querela e rideterminava la pena per i residui reati in quattro anni e quattro mesi di reclusione e 1.000,00 euro di multa; la sentenza del G.u.p. veniva confermata quanto alla posizione di COGNOME, condannato in primo grado alla pena di due anni di reclusione (condizionalmente sospesa) e 2.800,00 euro di multa.
Avverso la sentenza di appello hanno proposto distinti ricorsi gli imputati, a mezzo del comune difensore, chiedendone l’annullamento.
Il ricorso di COGNOME denuncia violazione della legge penale e vizio della motivazione sotto due distinti profili.
3.1. In primo luogo, è stato erroneamente disatteso il motivo di gravame con il quale si era sostenuta la mancanza sia dell’elemento oggettivo sia dell’elemento soggettivo del reato di riciclaggio.
La Corte d’appello ha ritenuto il ricorrente responsabile del suddetto delitto per avere messo a disposizione il proprio conto corrente per ricevere un bonifico proveniente da NOME COGNOME, madre di NOME COGNOME, concorrente in alcuni furti aggravati, poi trasferito con la causale di un finanziamento soci su un conto corrente della RAGIONE_SOCIALE, società della quale NOME era amministratore di diritto e NOME amministratore di fatto.
La motivazione è illogica perché non spiega la ragione per la quale det operazione consenta di ritenere occultato il denaro, non essendo sufficiente la causale del bonifico.
La COGNOME, poi, che avrebbe per prima ricevuto il denaro di provenienza illecita, non è stata imputata di riciclaggio né lo è stato COGNOME per autoriciclaggio laddove si volesse ipotizzare che fosse stato solo lui a movimentare il conto corrente della madre.
Quanto al profilo soggettivo, dalla sentenza non si evince per quale motivo COGNOME dovesse sospettare che il denaro bonificato sul proprio conto corrente non appartenesse legittimamente alla COGNOME, nota e facoltosa imprenditrice.
L’aumento di capitale conseguente al finanziamento soci, poi, non sarebbe stato a vantaggio di NOME, che della RAGIONE_SOCIALE era amministratore di fatto ma non socio e che – come riconosciuto dal primo giudice – non aveva la possibilità di operare sul conto corrente della società.
3.2. In secondo luogo è stato erroneamente escluso il concorso di COGNOME nel reato di furto con COGNOME e NOME: quest’ultimo, secondo la tesi accusatoria, avrebbe compiuto le stesse operazioni di COGNOME, mettendo a disposizione di COGNOME il conto corrente della madre, ma è stato accusato di concorso nel furto e non di riciclaggio.
La Corte di appello, poi, non ha risposto alla doglianza inerente all’applicazione dell’aggravante della minorata difesa, riferibile ai furti commessi in danno delle anziane persone offese e non al reato di riciclaggio.
Anche il ricorso di COGNOME lamenta violazione della legge penale e vizio della motivazione ed è articolato in due motivi.
4.1. La Corte erroneamente non ha riqualificato i reati cli furto aggravato in appropriazioni indebite, avendo equiparato la figura del funzionario bancario a quella del promotore finanziario, quale era COGNOME, che operava senza vincolo di subordinazione e poteva disporre delle somme depositate sui conti correnti dei clienti, avendo ricevuto dagli stessi le credenziali di accesso senza limitazioni.
4.2. In ordine alla quantificazione della pena la Corte ha commesso vari errori, in primo luogo lasciando inalterata la pena base per il più grave reato di cui al capo 11), nonostante abbia rilevato la prescrizione per una parte delle condotte contestate in tale capo.
In secondo luogo, è stato apportato un aumento di pena per la continuazione per i due reati, contestati ai capi 4) e 9), per i quali è stata emessa sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione o per difetto di querela.
Infine, anche a prescindere dalle suddette violazioni, la sentenza ha errato il calcolo della pena nella parte in cui ha sommato la pena base a quella determinata a titolo di continuazione.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, in. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito nella legge 23 febbraio 2024, n. 18), in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, il difensore delle parti civili e quello dei ricorrenti hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza va annullata senza rinvio limitatamente alla determinazione della pena per NOME COGNOME per le ragioni di seguito esposte.
2. Ricorso COGNOME.
Il ricorso va dichiarato inammissibile perché proposto con motivi manifestamente infondati o in carenza di interesse.
2.1. Con il primo motivo la difesa ha contestato la sussistenza del reato di riciclaggio, avuto riguardo anche all’elemento oggettivo, costituito dal concreto ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa del bene (nel caso di specie: denaro provento dei furti commessi in danno dei coniugi COGNOME e COGNOME), in relazione al quale il criterio da seguire è quello della idoneità ex ante della condotta: «ciò significa che l’interprete, postosi al momento di effettuazione della condotta, deve verificare sulla base cli precisi elemerTh di fatto se in quel momento l’attività posta in essere aveva tale astratta idoneità dissimulatoria e ciò indipendentemente dagli accertamenti successivi e dal disvelamento della condotta illecita che non costituisce mai automatica emersiore di una condizione di non idoneità della azione per difetto di concreta capacità decettiva» (così Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020′ Fabbri, Rv. 279407-01; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 2, n. 36121 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 276974 nonché Sez. 2, n. 16908 del 05/03/2019, Ventola, Rv. 276419).
Si evince, infatti, dal dato testuale della norma (là dove si parla di «ostacolare») e dall’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, che integra il reato di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo a impedire in modo
definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, cosicché neppure rileva che le operazioni realizzate fossero tracciabili, in quanto l’obiettivo illecito ben può essere realizzato anche attraverso condotte che non escludono affatto l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine delittuosa del bene, dal momento che queste ultime evenienze non costituiscono l’evento del reato (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 23774 del 13/07/2020, Aatifi, Rv. 279586; Sez. 5, n. 21925 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273183; Sez. 2, n. 26208 del 09/03/2015, COGNOME, Rv. 264369; Sez. 2, n. 1422 del 14/12/2012, dep. 2013, Atzori, Rv. 254050; Sez. 2, n. 3397 del 16/11/2012, dep. 2013, Anemone, Rv. :254314).
In particolare, il passaggio del denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario a un altro, intestato a un terzo, costituisce una tipica modalità di ostacolo (Sez. 2, n. 21687 del 05/04/2019, COGNOME, I2v. 276114; Sez. 5, n. 21925 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273183; Sez. 2, n. 30265 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 270302; Sez. 2, n. 43881 del 09/10/2014, COGNOME, Rv. 260694; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 259487).
Anche da ultimo questa Corte ha ribadito che «integra di per sé un autonomo atto di riciclaggio, essendo il reato di cui all’art. 648-bis cod. pen. a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, ed anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato ed acceso presso un differente istituto di credito» (Sez. 2, n. 10939 del 12/01/2024, COGNOME, Rv. 286140).
Non è poi ravvisabile alcuna violazione di legge o vizio motivazionale, peraltro genericamente denunciato, neppure in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Secondo la incensurabile ricostruzione in fatto dei giudici di merito, effettuata sulla base dei risultati di prova acquisiti nella fase delle indagini, larga parte documentali, è emerso che dal conto corrente intestato a NOME COGNOME, madre di NOME COGNOME, che aveva la delega a operare sul conto, partirono due distinti bonifici a favore di COGNOME, uno in data 20 ottobre 2011 e l’altro in data 8 novembre 2011, contestualmente alla ricezione di bonifici in entrata da parte dei coniugi COGNOME e NOME, clienti della banca e vittime dei furti.
I due bonifici, dell’importo, rispettivamente, di ventimila euro e trentacinquemila euro, confluirono sul conto personale di COGNOME, il quale, lo stesso giorno, girò tali somme, con la causale “finanziamento socio futuro aumento”, alla società RAGIONE_SOCIALE, di cui egli era amministratore di diritto
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ma che di fatto era amministrata dall’NOME, il quale, dunque, poteva agire sul relativo conto corrente, circostanza ammessa dallo stesso ricorrente nell’interrogatorio reso in data 11 gennaio 2016: COGNOME confermava che “NOME aveva emesso assegni dal conto della società RAGIONE_SOCIALE a sua insaputa e aveva altresì richiesto una carta di credito” (pag. 20 della sentenza impugnata).
La società, poi, era inattiva e ad essa gli istituti di credito non concedevano esposizioni debitorie.
Pertanto, con logiche argomentazioni, i giudici di merito hanno tratto la prova della consapevolezza in capo ad NOME della illecita provenienza del denaro, proveniente dal conto corrente della madre di NOME, sul quale lo stesso operava, e alla fine, con i descritti passaggi, allo stesso nuovamente pervenuto.
Il ricorrente, in sede di interrogatorio, non ha saputo spiegare a quale titolo la COGNOME gli avrebbe versato la somma di 55.000 euro nell’arco di venti giorni; inoltre, sono proprio i tempi e le modalità nel passaggio del denaro nonché gli strettissimi rapporti fra COGNOME e NOME a rendere logica la valutazione dei giudici di merito circa la sussistenza della consapevolezza del primo in ordine alla provenienza delittuosa del denaro. Va ribadito sul punto che anche nel reato di riciclaggio è configurabile il dolo eventuale, inteso come rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza del denaro da delitto, desumibile dalle circostanze di fatto dell’azione (Sez. 2, n. 36893 del 28/05/2018, COGNOME Rv. 274457; Sez. 5, n. 21925 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273185; Sez. 2, n. 8330 del 26/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259010).
Dalla ricostruzione del fatto risulta evidente che la madre di NOME è stata ritenuta estranea ai fatti in quanto sul suo conto operò il figlio, verosimilmente non indagato per autoriciclaggio in ragione della mera utilizzazione o del godimento personale del denaro (art. 648-bis, quinto comma’ cod. pen.): in ogni caso la scelta dell’accusa non ha alcun rilievo ai fini dell’affermazione di responsabilità del ricorrente.
2.2. È privo di fondamento anche il secondo motivo, là dove si è sostenuto che eventualmente COGNOME avrebbe dovuto concorrere nel reato presupposto di furto aggravato.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, COGNOME non concorse nella sottrazione del denaro da parte del promotore finanziario COGNOME, supportato in alcune occasioni da complici (quale NOME), ma si limitò “ad accettare che il conto corrente intestato alla società da lui amministrata in realtà solo formalmente, di fatto dall’NOME, fungesse da conto di passaggio per ostacolare la provenienza delittuosa di tali somme” (pag. 21 della sentenza impugnata).
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio, ribadito anche da ultimo da questa Corte, secondo il quale integra il delitto di riciclaggio la
condotta di chi abbia attivato, anche anteriormente alla perpetrazione del delitto presupposto, un conto corrente al fine di ostacolare l’accertamento della delittuosa provenienza delle somme da altri ricavate, a condizione che l’agente sia inconsapevole delle modalità di consumazione del delitto presupposto, produttivo dell’illecito profitto (v. Sez. 2 n. 8793 del 14/02/2024, COGNOME, Rv. 286052, nonché Sez. 2, n. 19125 del 26/04/2023, COGNOME, Rv. 284653).
Nel caso di specie, peraltro, il conto corrente era già preesistente ed COGNOME non ha mai riferito o comunque fornito un qualsiasi elemento per ritenerlo concorrente nel reato presupposto.
2.3. É inammissibile, per carenza di interesse, invece l’impugnazione dell’imputato in relazione alla circostanza aggravante della minorata difesa, considerato che già il primo giudice aveva riconosciuto le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.
Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, non vi è interesse – nel caso di specie neppure indicato – a ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante quando la stessa sia stata già ritenuta subvalente nel giudizio di comparazione (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 3680 del 24/11/2022, dep. 2023, Damiano, Rv. 284309; Sez. 1, n. 43269 del 25/09/2019, R., Rv. 277144; Sez. 4, n. 20328 del 11/01/2017, B., Rv. 269942; Sez. 4, n. 27101 del 21/04/2016, NOME, 267442; Sez. 2, n. 38697 del 24/06/2015, NOME, Rv. 264803).
3. Ricorso COGNOME.
Il ricorso è fondato limitatamente alle censure inerenti alla determinazione della pena per la continuazione.
3.1. È manifestamente infondato il primo motivo, inerenl:e alla qualificazione giuridica del fatto.
La sentenza impugnata ha richiamato e correttamente applicato la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale «affinché, nel caso di denaro depositato in banca possa ritenersi sussistente in capo al fun2:ionario che dispone del denaro la interversione del possesso che integra l’appropriazione indebita è necessario che vi sia una delega del correntista, che definisca precisi vincoli relativi alla gestione delle somme depositate e che tali vincoli non siano rispettati; in assenza di delega, il funzionario che dispone del denaro semplicemente depositato sul conto corrente consuma il reato di furto» (così Sez. 2, n. 2098 del 03/11/2022, dep. 2023, Maniscalco, Rv. 283897; in senso conforme, v. Sez. 4, n. 23129 del 12/05/2022, COGNOME, Rv. 283280).
L’elemento dirimente per applicare l’una o l’altra fattispecie di reato non è costituito dal ruolo ricoperto dall’agente (funzionario di banca o promotore
finanziario), bensì dalla presenza di una delega a operare sul conto dei clienti che nel caso di specie – secondo la incensurabile ricostruzione in fatto dei giudici di merito – il ricorrente non aveva, tant’è che compilò anche assegni con firme false, non rilevando che non siano non siano stati contestati reati di falso, verosimilmente per la depenalizzazione della falsità in scrittura privata.
Il ricorrente, dunque, non aveva alcuna disponibilità giuridica delle somme dei propri clienti, risultando così corretta la qualificazione giuridica dei fatti qua furti aggravati.
3.2. È parzialmente fondato, invece, il secondo motivo inerente alla quantificazione della pena.
Non sussiste la prima violazione denunciata dal ricorrente.
Il G.u.p., infatti, aveva indicato la pena base (cinque anni e sei mesi di reclusione e 1.200 euro di multa prima della riduzione per l’abbreviato) indicando quale reato più grave il furto relativo all’operazione di bonifico per 61.000 euro del 4 gennaio 2011, determinando poi in due anni e sei mesi di reclusione e 900 euro di multa l’aumento per la continuazione per gli altri reati di furto, compresi quelli di cui al capo 11).
La Corte di appello ha indicato la stessa pena di cinque anni e sei mesi di reclusione e 1.200 euro di multa comprendendo però non solo il furto legato al suddetto bonifico ma anche tutti gli altri (numerosi) contestati all’interno del medesimo capo 11), commessi dopo il 18 dicembre 2010, per i quali non era maturata la prescrizione. Nella determinazione dell’aumento per la continuazione, infatti, la Corte territoriale non ha considerato gli altri reati di c al capo 11), ma solo quelli, commessi sempre dopo la suddetta data, contestati ai capi 2), 4), 7) e 9).
Tuttavia – come osservato dalla difesa – per i reati di cui ai capi 4) e 9) è intervenuta dichiarazione di “sopravvenuta improcedibilità per difetto di querela”, come si legge in dispositivo, cosicché l’aumento disposto ex art. 81, secondo comma, cod. pen. per detti reati è stato illegittimamente computato e va eliminato, dovendosi altresì emendare l’errore di calcolo denunciato nel ricorso.
Pertanto, la pena base di cinque anni e sei mesi di reclusione e 1.200 euro di multa va aumentata solo per i reati sub 2) e 7), commessi dopo il 18 dicembre 2010, nella misura già determinata dalla Corte di appello (un mese di reclusione e 75 euro di multa per ogni capo e così, in totale, due mesi di reclusione e 150 euro di multa).
La pena complessiva di cinque anni e otto mesi di reclusione e 1.350 euro di multa va poi ridotta di un terzo per il rito alla pena finale di tre anni, nove mesi dieci giorni di reclusione e 900 euro di multa.
La fondatezza del ricorso, dunque, riguarda solo l’aumento di pena calcolato a titolo di continuazione, essendo invece manifestamente infondata – per le ragioni già indicate – la doglianza relativa alla determinazione della pena base per il più grave reato di furto commesso il 4 gennaio 2011, contestato all’interno del capo 11). Su questo capo il ricorso è inammissibile, cosicché non rileva il tempo decorso dopo la sentenza di appello, in quanto l’annullamento riguarda solo la pena di due reati satellite che viene eliminata.
Ciò in applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/5/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966).
Si è poi precisato che detto principio va applicato solo nei casi in cui il ricorso – come nella fattispecie – sia ritenuto inammissibile in relazione al capo avente ad oggetto il reato considerato dai giudici di merito come il più grave, per il quale sia determinata la pena base (Sez. 2, n. 16022 del 22/03/2023, Sili, Rv. 284524; per un caso sovrapponibile a quello di cui qui si tratta v. Sez. 2, n. 22365 del 24/03/2023, D., Rv. 284742).
La sentenza, pertanto, va annullata senza rinvio nei confronti di COGNOME, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., con l’eliminazione della pena erroneamente inflitta per due reati satellite e la conseguente rideterminazione della pena nei termini sopra indicati.
Alla inammissibilità dell’impugnazione proposta da COGNOME segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Non vengono liquidate le spese alle parti civili, in quanto la difesa si è limitata a rassegnare le conclusioni senza contrastare i motivi di impugnazione proposti o apportare comunque alcun contributo.
Il Collegio condivide il principio secondo il quale, nel giudizio di legittimità celebrato con il rito camerale non partecipato, nella vigenza della normativa
introdotta per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile, in difetto di richiesta di trattazione orale, ha diritto di ottener liquidazione delle spese processuali purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un util contributo alla decisione (Sez. 2, n. 33523 del 16/06/2021, D., Rv. 281960; Sez. 2, n. 24619 del 02/07/2020, Puma, Rv. 279551).
L’orientamento si è consolidato (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 12654 del 07/03/2024, COGNOME, non mass.) dopo la pronuncia con la quale le Sezioni Unite di questa Corte, richiamando un principio espresso in una risalente sentenza (Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716), hanno di recente ribadito che nel procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di cassazione in camera di consiglio nelle forme previste dagli artt. 610 e 611 cod. proc. pen., ovvero con rito camerale “non partecipato”, quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, ne va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, purché, in sede di legittimità, la stessa parte civile abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa dell’imputato per la tutela dei propri interessi (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, COGNOME, non mass. sul punto).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME in ordine alla pena inflitta per i capi 4) e 9) che elimina. Ridetermina la pena in anni 3, mesi 9 e giorni 10 di reclusione ed euro 900,00 di multa con riguardo ai residui reati. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Rigetta la richiesta di spese delle parti civili. Così deciso il 14/05/2024.