Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2347 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2347 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 24/09/2023 del TRIBUNALE DEL RIESAME di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le richieste del PG ASSUNTA COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile; sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma, in funzione di Tribunale del riesame, ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Roma, quale giudice del dibattimento, aveva a sua volta rigettato la richiesta di revoca della misura cautelare della custodia in carcere disposta, ma a tutt’oggi non eseguita, nei suoi confronti, in relazione ai delitti di cui agli artt. 81-110-64 bis, 648-ter, 648-bis, 648-ter.1 cod. pen.
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Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo un unico, articolato motivo di ricorso, con cui eccepisce, dopo una lunga premessa, la violazione di legge e il vizio di motivazione, per non essere stato adeguatamente considerato il rilevante ridimensionamento della gravità indiziaria.
Dal momento che, come emerso in dibattimento (in particolare all’esito della deposizione del maresciallo COGNOME), il debito tributario per il 2004 sarebbe stato estinto prima degli accrediti sul conto del ricorrente della somma che si assume oggetto di riciclaggio, quest’ultimo delitto non potrebbe ritenersi neppure astrattamente configurabile, nella sopravvenuta inesistenza del suo oggetto materiale. Rispetto a tale riflessione, risulterebbe inconferente l’argomento in iure evidenziato dal Tribunale del riesame, che sottolinea la natura istantanea della fattispecie. In ogni caso, le somme ricondotte in ipotesi al riciclaggio del PREU 2004, e, in misura limitatissima rispetto all’intero, poi accreditate a NOME COGNOME, non avrebbero mai «girovagato» sui conti correnti nella titolarità del medesimo ricorrente (Motivo di ricorso, identificato nell’atto di impugnazione come Ic.aa.).
Quanto al riciclaggio dell’omesso versamento del PREU 2006, osserva la difesa, come il ricorrente non potesse sapere che il denaro trasferitogli derivasse dall’inadempimento tributario del 2006 e non da un lecito risparmio fiscale, a fortiori dato che altre consistenti somme erano state percepite legittimamente (euro 1.600.000 circa, siccome ricollegabili al PREU 2004), e, inoltre, come risulti trascurata dai giudici della cautela l’avvenuto rimborso al RAGIONE_SOCIALE da parte sua della somma di oltre euro 900.000 (Motivo di ricorso, identificato nell’atto di impugnazione come Ic.bb.).
L’ordinanza impugnata si disinteressa poi della contestazione di autoriciclaggio, peraltro in concreto non configurabile, essendo stati imputati trasferimenti di denaro tracciati su conti riconducibili al ricorrente e pari al valo del prezzo riscosso, oltre alle avvenute restituzioni e alle spese di ristrutturazione dell’appartamento, evidenziate anche nell’istanza di dissequestro e comunque idonee a comprimere le plusvalenze in ipotesi oggetto di riciclaggio (Motivo di ricorso, identificato nell’atto di impugnazione come Ic.cc.).
In ultima analisi, come evidenziato anche nell’istanza di dissequestro, avuto riguardo alla spontaneità delle restituzioni suaccennate, emergerebbero elementi da cui desumere fondatamente una «incontrovertibile condotta resipiscente». Sulla scorta delle riflessioni che precedono, d’altronde, apparirebbe del tutto inadeguata anche la misura custodiale, ormai sproporzionata per eccesso alla vicenda in esame.
Il ricorrente ha depositato una memoria scritta, con la quale si ribadisce «la implosione o comunque il serissimo ridimensionamento del quadro di gravità indiziaria», in forza della «insussumibilità genetica o derivata dei riciclaggi, di c ai capi I), J) ed F) della imputazione provvisoria», della «insussumibilità o irrilevanza dell’autoriciclaggio, oggetto del capo K)».
Con il medesimo atto difensivo, si auspica un pronunciamento esplicito, vòlto a correggere o emendare il non condivisibile precedente sulla medesima vicenda, reso da questa Sezione in materia cautelare reale nei confronti di altro coimputato (n. 45084/2023).
All’odierna udienza camerale, le parti hanno concluso come da epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Per quanto attiene alla gravità indiziaria, il Tribunale del riesame muove dalla ricostruzione della vicenda storica, sulla base dell’ipotesi accusatoria e del compendio istruttorio agli atti, ancora in via di compiuta definizione. Un’associazione per delinquere, dunque, a cui è estraneo l’odierno ricorrente, avrebbe avuto quale programma delittuoso la commissione di una serie di reati di peculato, riciclaggio e violazioni tributarie, appropriandosi poi in effetti di ol euro 85.000.000, corrispondenti al mancato versamento di quanto dovuto dalla concessionaria RAGIONE_SOCIALE (società di diritto olandese) a titolo di Prelievo erariale unico (PREU), gravante sugli incassi delle slot machines gestite da reti telematiche; questa liquidità, così illecitamente accumulata, sarebbe stata in gran parte trasferita verso conti correnti olandesi e britannici di altre società del medesimo gruppo e poi in un complesso susseguirsi di transazioni finanziarie, anche su conti off shore, così da ostacolare l’identificazione della legittima provenienza del denaro e reimpiegarlo in acquisizioni immobiliari e attività economiche e finanziarie. Il primo dei reati fin è costituito, per l’appunto, dal peculato, commesso dai rappresentanti italiani di RAGIONE_SOCIALE, delle ingenti somme che avrebbero dovuto essere versate all’erario per il PREU per gli anni 2004 e 2006, viceversa immediatamente trasferite, nei termini sopra specificati, su conti esteri.
Il Tribunale del riesame dà atto che, successivamente, il PREU 2004 è stato versato (ratealmente, dal 21 giugno 2006 al 13 agosto 2007, di modo che la locuzione “non versato” contenuta in imputazione è stata evidentemente interpretata come “non versato tempestivamente”), mentre per il PREU 2006 sono stati versate, dal 21 ottobre 2010 al 31 ottobre 2014, solo una parte delle rate dovute.
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All’esito di una articolatissima movimentazione bancaria, una parte di tali somme è infine transitata sui conti di NOME COGNOME e dei suoi figli NOME e NOME. In particolare, una cospicua parte del PREU 2004 evaso (euro 25.238.450, su complessivi euro 33.937.436) era trasferito tra il novembre 2004 e il febbraio 2005 su conti esteri. Una piccola parte di queste somme è stata trasferita, dopo precedenti passaggi intermedi, su un conto corrente di NOME COGNOME acceso presso una banca monegasca (il 9 luglio 2019, oggetto delle condotte di cui al capo f) di imputazione, relativo al delitto di riciclaggio di denaro provento di associazione per delinquere e peculato). Un’altra più consistente frazione dell’importo originario (euro 2.400.000) è stata accreditata, con la causale «liquidation foreign assets», il 24 novembre 2009 su un conto intestato a NOME COGNOME – definito dal Tribunale del riesame «dipendente RAGIONE_SOCIALE in pensione, privo di spessore imprenditoriale» – acceso il 13 novembre 2009 ed estinto il 23 aprile 2010 (con accensione di altro conto, aperto il 14 aprile 2010, denominato «conto utilizzato per l’appoggio di capitali rientrati da Estero», su cui veniva indirizzata l suddetta provvista). Questa somma è stata poi trasferita in parte al figlio, odierno ricorrente, sul medesimo conto corrente (il 2 aprile 2013, oggetto delle condotte di cui al capo j) di imputazione, relativo al delitto di riciclaggio di denaro provento di riciclaggio e corruzione).
Quanto al PREU evaso per l’anno 2006, gli associati si erano appropriati di euro 25.400.000, che sono stati, in parte e in via mediata, poi trasferiti a plurime società off shore riconducibili a NOME COGNOME e alla sorella NOME (euro 327.295,43 il 7 luglio 2008; euro 360.149,55 il 30 settembre 2008; euro 400.044,87 il 15 luglio 2008; euro 500.055,46 il 4 novembre 2008). Successivamente NOME COGNOME ha spostato sul proprio suindicato conto corrente acceso a Montecarlo circa euro 400.000. Tutte queste condotte sono state ascritte al ricorrente al capo e), relativo al delitto di concorso in riciclaggi denaro proveniente da associazione per delinquere e peculato. È infine contestato a NOME ed NOME COGNOME, al capo k), ai sensi dell’art. 648-ter.1 cod. pen., di avere impiegato le somme così ricevute per acquistare, indirettamente, un appartamento nel Principato di Monaco, di cui era pertanto divenuti proprietari di fatto; dopo che l’immobile è stato a sua volta venduto, gli imputati hanno posto in essere ulteriori transazioni bancarie, anche su conti esteri, con le quali una parte del prezzo loro corrisposto (euro 1.259.390) era nuovamente sostituita o trasferita per ostacolarne l’identificazione.
2. Salvo sopravvenuti fatti processuali non rappresentati al Collegio, in primo luogo, il capo i) come ben precisato nell’ordinanza impugnata (cfr. p. 4) e come emerge anche dal diretto esame della rubrica imputativa, all. 1 alla memoria del ricorrente – non ha per oggetto un delitto di riciclaggio (come affermato alle pp.
10 e 13-14 dell’atto di impugnazione), ma il diverso reato di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, di cui all’art. 648-ter cod. pen.
Per quanto attiene dunque a tale specifico delitto, le censure dell’imputato risultano dunque del tutto aspecifiche, in quanto prive di correlazione con l’ordito motivazionale dei giudici della cautela.
L’ordinanza impugnata indica chiaramente, all’esito dell’istruttoria espletata in dibattimento (confermativa del compendio investigativo già agli atti), che, al momento della ipotizzata commissione dei reati ascritti al ricorrente, il PREU era stato versato integralmente, sia pure in forte ritardo, per quanto riguarda gli importi dovuti per l’anno 2004, e, almeno in parte, anche per quelli relativi all’anno 2006. Si osserva altresì correttamente come il reato di riciclaggio si consumi nel momento di realizzazione delle condotte dissimulatorie, senza che assumano poi rilievo i sopravvenuti saldi tardivi – integrale per il 2004 e parziale per il 2006 – delle rate PREU. L’affermazione è coerente con il costante insegnamento di legittimità, in ordine alla natura di reato istantaneo (ed eventualmente permanente, cfr. Sez. 2, n. 29611 del 27/04/2016, COGNOME, Rv. 267511; Sez. 2, n. 34511 del 29/04/2009, COGNOME, Rv. 246561), di modo che la rilevanza penale del fatto deve essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica. Nel caso di specie, infatti, i fatti di riciclaggio contestati al ricorrente, singolarmente o in concorso con terzi, sub e) e j), non hanno come reato presupposto il peculato commesso all’inizio della vicenda delittuosa dai vertici di RAGIONE_SOCIALE e come oggetto le somme in tal modo sottratte all’imposizione fiscale in Italia, ma i successivi delitti di riciclaggio eventuali ulteriori distinti reati – e i loro proventi (cioè, la complessiva liqui transitata via via nei vari flussi finanziari, risultando non corretta e non ragionevole la limitazione ai soli profitti, postulata dal ricorso). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
I profili di censura incentrati sul venir meno dell’oggetto materiale del reato presupposto non si confrontano, dunque, con la diversa ricostruzione in fatto e in diritto della complessa sequela criminosa, come contestata dal Pubblico ministero e come ritenuta sussistente, nei limiti della soglia probatoria prevista per l’incidente cautelare, dai giudici del merito, e risultano pertanto insuperabilmente generici e comunque manifestamente infondati.
Dubita inoltre il ricorrente della ribadita sussistenza anche dell’elemento soggettivo del riciclaggio di cui al capo e), visti i plurimi accrediti di diversa natura e provenienza e i successivi rimborsi.
Quanto alla asserita difficoltà di discernere la liceità dei trasferimenti d denaro, implicitamente ma chiaramente disattesa dal Tribunale del riesame laddove ricostruisce una complessa operazione criminosa fisiologicamente sorretta dal dolo, le doglianze – al pari di quelle che contestano, in maniera invero generica,
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le ipotizzate dinamiche dei flussi finanziari – si pongono in una posizione di mera contrapposizione dimostrativa, sollecitando irritualmente questa Corte di legittimità a una nuova globale valutazione delle emergenze procedimentali. Il ricorso per cassazione per vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400).
La già sottolineata natura di fattispecie a consumazione anticipata del delitto di cui all’art. 648-bis cod. pen. rende poi ultroneo, per quanto rileva in questa sede cautelare in ordine alla gravità indiziaria, l’esame di eventuali circostanze post factum.
Quanto al delitto di autoriciclaggio di cui al capo k), l’ordinanza impugnata – non disinteressandosene, al contrario di quanto prospetta il ricorrente – colloca la perpetrazione del reato, quale suo logico segmento (perpetrato mediante le compravendite immobiliari e le successive operazioni di movimentazione bancaria, così delineando un unico reato a formazione progressiva e consumazione prolungata), nella sequenza delittuosa posta in essere dai plurimi soggetti coinvolti.
L’effettiva idoneità dissimulatoria della condotta, salva l’ipotesi estrema di cui all’art. 49 cod. pen., non è comunque un requisito del fatto tipico e, d’altronde, la complessità delle investigazioni e dell’istruttoria evidenzia il laborioso lavoro d ricerca degli inquirenti (cfr. Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Fabbri, Rv. 279407, secondo cui, in tema di autoriciclaggio, il criterio da seguire ai fini dell’individuazione della condotta decettiva è quello della idoneità ex ante, sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione, ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, senza che il successivo disvelamento dell’illecito per effetto degli accertamenti compiuti, anche grazie alla tracciabilità delle operazioni, determini automaticamente una condizione di inidoneità dell’azione)
I motivi di ricorso sul punto, quindi, risultano meramente confutativi e comunque manifestamente infondati. Peraltro, il passaggio del ricorso che richiama la precedente istanza di dissequestro si incentra sull’individuazione del profitto, in maniera pertinente laddove si verta in tema di misure reali, ma, come già accennato in precedenza, connotandosi di genericità per quanto riguarda i
gravi indizi di colpevolezza, che hanno riguardo non al quantum sequestrabile, ma agli elementi costitutivi del reato.
6. In conclusione, il ricorrente, principalmente sulla base dei motivi inerenti la gravità indiziaria e valorizzando altresì i parziali spunti di ravvedimento individuabili nelle suaccennate restituzioni, si duole anche della ritenuta permanente sussistenza delle esigenze cautelari.
Il Tribunale del riesame condivide la posizione del giudice dibattimentale, che, non riconoscendo i sintomi di resipiscenza (ovvero comunque non privilegiandoli rispetto ad altri elementi di segno contrario, a partire dal mezzo milione di euro non ancora restituito), esclude, ai fini dello scrutinio sull’attualità del periculum, il periodo di volontaria sottrazione all’esecuzione dell’ordinanza restrittiva, che cristallizza invece per facta concludentia la sussistenza del requisito al momento stesso in cui insorge lo stato di latitanza. Il percorso argomentativo è coerente con i principi di diritto reiteratamente espressi da questa Corte regolatrice (cfr. Sez. 1, n. 41334 del 14/07/2022, Duri, Rv. 283679; Sez. 2, n. 25740 del 01/07/2021, COGNOME, Rv. 281466) e scevro di vizi logico-giuridici, risultando dunque intangibile nel giudizio di cassazione. Il ricorso che deduca assenza delle esigenze cautelari è ammissibile solo quando denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884).
7. La struttura e la funzione del giudizio di cassazione – diretto unicamente a verificare la sussistenza nel provvedimento impugnato degli erro res in procedendo o in iudicando dedotti dalle parti nei limiti dettati tassativamente dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen. – impediscono, infine, di prendere in considerazione elementi istruttori non presenti nel fascicolo al momento della decisione censurata con il ricorso.
Non è dunque ritualmente valutabile l’ulteriore documentazione in ordine alle istanze presentate alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma datate 2 ottobre 2022 e 23 ottobre 2023, allegate in limine dal ricorrente a sostegno dei motivi di impugnazione, con la memoria ex art. 611, comma 1, c.p.p. richiamata al paragrafo 3 del Ritenuto in fatto.
Ogni circostanza sopravvenuta, d’altronde, potrà essere ritualmente sottoposta all’attenzione del Giudice della cautela.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma
in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21 dicembre 2023
Il Csiliere ìstensore
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l Presidente