Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32829 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 32829 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CERIGNOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/04/2024 della CORTE di APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 10 aprile 2024 la Corte d’Appello di Bari, in parziale riforma della sentenza emessa il 14 settembre 2022 dal Giudice per l’Udienza preliminare del Tribunale di Roma, appellata dall’imputato COGNOME NOME, rideterminava la pena inflitta, frutto di un errore di calcolo, confermando la statuizione di responsabilità in relazione al reato di riciclaggio, contestato all’imputato per avere il medesimo compiuto operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa della vettura BMW indicata nell’imputazione, provento di furto, in particolare per avere occultato la vettura all’interno di un capannone e per averla sollevata su un carrello elevatore e smontata.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando sei motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva violazione degli artt. 192, 533 e 603 cod. proc. pen., travisamento della prova e illogicità della motivazione in relazione all’attendibilità della persona offesa e alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Assumeva, in particolare, che la Corte territoriale non aveva provveduto a valutare la credibilità soggettiva della persona offesa, proprietaria della vettura riciclata, e l’attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni.
Deduceva che la motivazione del provvedimento impugnato era contraddittoria nella parte in cui, ai fini dell’affermazione della responsabilità del COGNOME, aveva considerato la presenza, all’interno del capannone nel quale la vettura era stata smontata, di uno jammer, dispositivo capace di inibire il funzionamento del segnale GPS, senza evidenziare che in realtà nel caso di specie l’antifurto GPS installato sulla vettura aveva messo in stato di allerta le forze dell’ordine, risultando una mera congettura il fatto che lo jammer fosse stato interessato da un malfunzionamento momentaneo.
Richiamava le dichiarazioni della parte offesa per evidenziare le molteplici contraddizioni nelle quali la stessa era incorsa ed evidenziava che l’imputato era in possesso della carta di circolazione e della chiave di accensione della vettura, che le erano state consegnate dal proprietario e che a propria volta aveva consegnato nell’immediatezza ai Carabinieri intervenuti sul luogo, con ciò manifestando la propria buona fede.
Evidenziava che alcune parti della vettura non erano state rinvenute nella disponibilità dell’imputato e che, considerato che la stessa era stata rinvenuta nell’immediatezza della denuncia di furto, ciò era segno evidente del fatto che l’auto era stata consegnata all’imputato dal proprietario già smontata e mancante di alcune parti.
Deduceva inoltre che, se effettivamente la vettura fosse stata sottratta a Barletta, come dichiarato dal proprietario in sede di denuncia di furto, l’antifurto avrebbe indicato, quale localizzazione, l’abitato di Barletta, e non Cerignola, comune in cui era situato il capannone ove era stata rinvenuta la vettura, ciò che stava a significare che il proprietario l’aveva consegnata all’imputato per farla demolire e denunciarne falsamente il furto alla compagnia di assicurazione.
Deduceva, ancora, che era contraddittoria la motivazione resa dalla Corte d’Appello in punto di diniego della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, assumendo che il concetto di “assoluta necessità” ai fini della rinnovazione non andava inteso quale “manifesta decisività” della prova oggetto di rinnovazione, bensì come capacità di tale prova di incidere sulla valutazione potenziale del complesso degli elementi acquisiti, anche soltanto eliminando potenziali incongruenze o evidenziando la falsità di informazioni già raccolte; rassegnava anche che le prove testimoniali richieste nel caso di specie dovevano essere considerate nuove prove, in quanto conosciute solo all’esito della deposizione testimoniale della persona offesa, deposizione alla quale era stata subordinata la scelta del giudizio abbreviato.
Con il secondo motivo deduceva violazione degli artt. 110, 624 e 648 bis cod. pen., assumendo che la Corte d’Appello non aveva motivato in relazione alla ritenuta autonomia della condotta dell’imputato rispetto a quella degli autori del furto, considerato che il possesso da parte del COGNOME di un inibitore di segnale GPS avrebbe dovuto logicamente comportare che attraverso tale strumento l’imputato avrebbe fornito il proprio contributo alla sottrazione della vettura.
Con il terzo motivo deduceva violazione degli artt. 43, 56 e 648 bis cod. pen., travisamento della prova e vizio di motivazione in ordina alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di riciclaggio.
Assumeva che tale reato doveva ritenersi nella forma tentata nel caso in cui, come nella specie, la condotta si fosse arrestata prima che si fosse determinata la perdita della connessione con i dati identificativi del mezzo; osservava che nell’ipotesi in esame gli agenti operanti avevano rinvenuto nello stesso luogo le targhe, il blocco motore, le centraline e la scocca della vettura, così che non vi era stata perdita di connessione con i dati identificativi del veicolo, ciò che faceva ritenere anche l’assenza del dolo del reato contestato.
Con il quarto motivo deduceva violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e illogicità della motivazione, assumendo che non potevano essere tratti elementi ostativi alla concessione delle circostanze attenuanti generiche dalle dichiarazioni dell’imputato, che si era protestato innocente e aveva offerto una ricostruzione alternativa dei fatti non palesemente falsa.
Con il quinto motivo deduceva violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. per omessa motivazione in ordine alla richiesta di applicazione della circostanza
attenuante di cui all’art. 648 bis, comma 4, cod. pen., assumendo che la Corte territoriale non aveva reso alcuna motivazione sul punto.
Con il sesto motivo deduceva violazione dell’art. 99 cod. pen. e motivazione apparente in relazione alla valutazione della capacità criminale dell’imputato quale presupposto per l’applicazione della recidiva, osservando che solo apparentemente la Corte territoriale aveva motivato sul punto facendo riferimento a un unico precedente risalente al 1991 e al fatto che nel 1996 l’imputato era stato sottoposto per un anno alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, della quale non si conoscevano i presupposti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile in quanto non consentito, essendo teso a una rivalutazione nel merito delle prove assunte, inammissibile nella presente sede.
La Corte d’Appello ha reso una motivazione immune da vizi in relazione alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni accusatorie della parte offesa COGNOME NOME, che aveva presentato denuncia di furto della propria autovettura, poi rinvenuta, smontata, nella disponibilità del COGNOME il quale, dal canto suo, ha sostenuto che la stessa gli sarebbe stata consegnata dallo stesso proprietario, con conseguente falsità del denunciato furto.
Riguardo alla accertata disponibilità da parte dell’imputato di uno jammer (dispositivo capace di inibire il funzionamento dell’apparecchio GPS installato su una vettura), risulta improntata a logica l’affermazione della Corte di merito secondo la quale dal disponibilità del detto dispositivo da parte del COGNOME “non è una circostanza trascurabile e … dimostra che l’imputato ne aveva bisogno al fine di occultare la presenza dell’auto in quel luogo” (v. pag. 8 del provvedimento impugnato).
Quanto al possesso in capo all’imputato, della carta di circolazione e della chiave di accensione della vettura, premesso che la carta di circolazione viene di norma custodita all’interno delle autovetture, in relazione alla chiave la Corte territoriale ha osservato, ancora una volta in maniera del tutto logica, che la persona offesa, in sede di denuncia aveva negato che le chiavi di accensione, al momento del furto, si trovassero a bordo della vettura e che la menzogna sul punto era risultata ben comprensibile in relazione al tentativo da parte del proprietario del mezzo di non compromettere irrimediabilmente ogni pretesa
risarcitoria; ha precisato altresì la Corte che era stato lo stesso COGNOME ad ammettere di non aver dichiarato il vero e, dopo essersi consultato con un assicuratore, di avere desistito da ogni pretesa risarcitoria (v. pag. 7 della sentenza impugnata).
Né risulta decisiva la circostanza che solo alcune parti della vettura non fossero state rinvenute nella disponibilità del COGNOME, nonostante il mezzo fosse stato rinvenuto nell’immediatezza della denuncia di furto, e neppure quella relativa al luogo di sottrazione dell’auto, trattandosi di circostanze entrambe ben spiegabili attraverso molteplici ricostruzioni alternative dei fatti che non escludono, tuttavia, l’avvenuta sottrazione della vettura.
La Corte d’appello ha reso una motivazione immune da vizi anche in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, osservando congruamente che il processo era stato trattato con le forme del giudizio abbreviato, “per il quale l’audizione di testi nuovi è comunque incompatibile con l’economia processuale propria del rito prescelto” (v. pag. 5 della sentenza impugnata), e ritenendo comunque la sollecitata rinnovazione istruttoria non necessaria ai fini della decisione, “non esistendo, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, lacune concernenti punti decisivi della decisione”.
Né la difesa ha chiarito, con il ricorso, in che termini la prova testimoniale sollecitata avrebbe il carattere di decisività, richiesto per attivare il sollecitato potere officioso del giudice, sicché il motivo, sotto tale profilo, appare generico.
La sentenza impugnata risulta, dunque, congruamente motivata proprio sotto i profili dedotti in questa sede dalla difesa del ricorrente e la motivazione adottata al riguardo non è certo apparente, né “manifestamente” illogica e tantomeno contraddittoria. Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. Deve tuttavia essere ricordato che a questa corte di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema,
anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta – giudice della motivazione. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965). Parte ricorrente sostanzialmente critica la valutazione di attendibilità del dichiarato delle persone offese ma è appena il caso di ricordare che «In tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni» (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, Terrusa, Rv. 257241), vizio, quest’ultimo, non rinvenibile nel caso in esame. Deve inoltre essere ricordato che nel caso in esame la versione fornita dall’imputato tende a proporre una ricostruzione alternativa a quella operata dalla Corte di appello, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 primo comma lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto un’ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata in sentenza (cfr. con riferimento a massime di esperienza alternative, Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, COGNOME, Rv. 212054) dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fattoreato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non ad elementi meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259204; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260409). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Parimenti inammissibile, in quanto manifestamente infondato, è il secondo motivo, dovendosi osservare che la qualificazione giuridica del fatto
risulta corretta alla luce delle circostanze valutate dal giudice di merito e che, a fronte di ciò, l’imputato non ha reso alcuna dichiarazione riguardo a una sua partecipazione al furto della vettura.
Anche il terzo motivo è manifestamente infondato, e pertanto inammissibile.
Risulta invero, e trattasi di circostanza pacifica nel processo, che l’imputato era stato sorpreso nella disponibilità solo di alcuni pezzi del veicolo già smontati, mentre altri risultavano mancanti, sicché deve ritenersi, in ragione di ciò, che nel caso di specie risultasse ostacolata la provenienza delittuosa della vettura (cfr., in tema, ex multis, Sez. 2, n. 6586 del 11/01/2024, Pepe, Rv. 285909 – 01, secondo cui è configurabile il tentativo di riciclaggio, in quanto la fattispecie di reato di cui all’art. 648-bis cod. pen., nella vigente formulazione, non è costruita come delitto a consumazione anticipata. Nella specie la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione del delitto nella forma consumata, posto che i pezzi del veicolo di provenienza furtiva erano stati disassemblati, trasferiti da un furgone a un autoarticolato e confusi con beni di origine lecita da destinare alla rivendita all’estero, di tal che risultava ostacolata l’identificazione della loro provenienza delittuosa).
È del pari inammissibile, in quanto manifestamente infondato, il quarto motivo, dovendosi ritenere che la Corte di merito abbia reso una motivazione immune da vizi in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, con il richiamo (v. pag. 10 della sentenza impugnata) all’assenza di elementi positivamente valutabili per l’imputato, alla irrilevanza, per il fine di interesse, della scelta del rito abbreviato, e alla condotta processuale del COGNOME, volta a sostenere una “artefatta ricostruzione della vicenda, rivelatasi infondata”, sicché, in relazione a tale ultima considerazione, correttamente la Corte ha ritenuto non sussistente un comportamento collaborativo dell’imputato quale elemento positivo di valutazione ai fini della concessione del beneficio in discorso.
Il quinto motivo è manifestamente infondato, e pertanto inammissibile, non essendo applicabile al caso di specie la circostanza attenuante di cui all’art. 648-bis, comma 4, cod. pen. (che contempla il caso del reato presupposto punito con pena inferiore nel massimo a cinque anni), dovendosi individuare, nel caso di specie, quale reato presupposto il furto aggravato, che prevede nel massimo edittale una pena superiore a cinque anni di reclusione
È, infine, manifestamente infondato, e pertanto inammissibile, anche il sesto motivo, dovendosi ritenere che la Corte di merito abbia reso una motivazione immune da vizi anche in relazione alla ritenuta recidiva, avendo effettuato un richiamo del tutto congruo, al fine di ritenere la maggior pericolosità dell’imputato, al fatto che il COGNOME era stato sottoposto alla misura di sicurezza della sorveglianza speciale “e malgrado ciò è tornato a delinquere dimostrando di essere a contatto con ambienti dediti a furti di autovetture per i quali si presta ad attività di riciclaggio” (v. pag. 10 del provvedimento impugnato).
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 02/07/2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente